PUBBLICITÁ

Così liberi, così soli

La mia generazione lacerata da legami sempre più deboli

Sergio Belardinelli

L'eredità degli anni Sessanta e quella battaglia culturale contro costumi e istituzioni del passato, che ci ha portati a vivere in un altro mondo. Dove le sberle del parroco o del maestro non ci sono piu’

PUBBLICITÁ

Appartengo a una generazione, quella di coloro che sono entrati al liceo negli anni Sessanta del secolo scorso, che non può in alcun modo permettersi di guardare con indifferenza quanto le sta accadendo intorno. E questo per diversi motivi, il primo dei quali è che abbiamo ormai figli e nipoti e quando si hanno figli e nipoti aumentano sensibilmente le nostre preoccupazioni e la nostra sollecitudine per il mondo che abitiamo. Ma anche le generazioni che ci hanno preceduto avevano figli e nipoti, eppure, nonostante le condizioni di vita decisamente peggiori delle nostre, non credo che avessero le nostre stesse apprensioni. Non ricordo di aver mai visto i miei genitori o i miei nonni preoccuparsi di me come faccio io con i miei figli o mio nipote. Né mi sognerei di affermare che da adolescenti eravamo più affidabili degli adolescenti di oggi o che lo fosse il mondo che abitavamo allora. Le mie zie, ad esempio, mi stavano addosso perché quando avevo undici anni mi avevano visto tuffarmi nel fiume da una cascata di cinque metri. Ne erano rimaste terrorizzate. Ma non erano certo i tuffi il peggio che potessimo fare per la nostra incolumità. Né le ore che dicevamo di trascorrere a studiare a casa di un amico erano sempre così innocue come potevano sembrare.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Appartengo a una generazione, quella di coloro che sono entrati al liceo negli anni Sessanta del secolo scorso, che non può in alcun modo permettersi di guardare con indifferenza quanto le sta accadendo intorno. E questo per diversi motivi, il primo dei quali è che abbiamo ormai figli e nipoti e quando si hanno figli e nipoti aumentano sensibilmente le nostre preoccupazioni e la nostra sollecitudine per il mondo che abitiamo. Ma anche le generazioni che ci hanno preceduto avevano figli e nipoti, eppure, nonostante le condizioni di vita decisamente peggiori delle nostre, non credo che avessero le nostre stesse apprensioni. Non ricordo di aver mai visto i miei genitori o i miei nonni preoccuparsi di me come faccio io con i miei figli o mio nipote. Né mi sognerei di affermare che da adolescenti eravamo più affidabili degli adolescenti di oggi o che lo fosse il mondo che abitavamo allora. Le mie zie, ad esempio, mi stavano addosso perché quando avevo undici anni mi avevano visto tuffarmi nel fiume da una cascata di cinque metri. Ne erano rimaste terrorizzate. Ma non erano certo i tuffi il peggio che potessimo fare per la nostra incolumità. Né le ore che dicevamo di trascorrere a studiare a casa di un amico erano sempre così innocue come potevano sembrare.

PUBBLICITÁ

 

Ripensandoci oggi, anche quelli di noi che potevano essere considerati più tranquilli, correvano ogni giorno rischi enormi, senza tuttavia che sentissimo intorno troppa pressione da parte degli adulti. La vita sembrava scorrere secondo canoni ben consolidati. A qualsiasi ceto sociale si appartenesse, era considerato grave non sedersi a tavola per il pranzo a mezzogiorno in punto; molto meno grave avere la testa sanguinante perché ci eravamo presi a sassate tra compagni. Di norma nessuno sindacava su come avevamo trascorso le nostre giornate, salvo che non venissimo colti sul fatto dai genitori o che un qualsiasi conoscente riferisse di qualcosa che non avremmo dovuto fare. A tal proposito temevamo soprattutto il parroco e il maestro, ma anche con i vicini di casa non si scherzava. Bastava che uno di questi avesse qualcosa da ridire su qualsiasi cosa imputabile a noi e sapevamo benissimo come sarebbe andata a finire: sberle e punizioni, variamente dosate a seconda del “reato” commesso, ma senza alcuna indagine preliminare in ordine alla sua fondatezza o meno. Mai e poi mai la parola di un adulto poteva essere messa in discussione da un ragazzino o da un adolescente. E così, passo dopo passo, siamo diventati adulti anche noi e ormai quasi vecchi. Questo mi fa pensare però che il vero motivo delle nostre ansie e delle nostre preoccupazioni nei confronti dei nostri figli e nipoti, non sia semplicemente che siamo diventati genitori e nonni, ma un altro.

 

PUBBLICITÁ

 

Dicevo prima che appartengo alla generazione di coloro che sono entrati al liceo negli anni Sessanta del secolo scorso. Se ci pensiamo bene, almeno in Europa, è forse la prima generazione della storia a non aver conosciuto la guerra, a essere vissuta comoda nell’abbondanza, con l’opportunità di studiare anche per coloro che prima non avrebbero mai potuto farlo. Ma soprattutto siamo forse la prima generazione che ha potuto sperimentare l’ebbrezza di vivere secondo i propri desideri e i propri sogni, anziché assoggettarsi all’ordine prestabilito, diciamo pure al destino, che inchiodava le generazioni precedenti a replicare semplicemente la vita di coloro che le avevano precedute. Un privilegio straordinario che ci ha sicuramente sottratti alla fatalità che incombeva sulla vita dei nostri nonni, ma che forse ha portato con sé esattamente quel surplus di ansia e di apprensione che oggi ci affligge. Cerco di spiegarmi. La battaglia culturale combattuta dalla generazione di cui sto parlando contro le abitudini, i costumi e le istituzioni tradizionali del passato, specialmente la famiglia e la chiesa, nell’arco di un tempo molto breve ci ha portati a vivere letteralmente in un altro mondo, con molta più libertà, certo, con una fiducia incrollabile nel futuro e addirittura con l’idea che in fondo tutto dipendesse da noi, ma anche con legami famigliari e sociali sempre più deboli e un contesto generale che col tempo avrebbe potuto farci sentire anche più soli.

 

Per chi aveva sperimentato gli automatismi (anche opprimenti) e la stabilità di quello che Stefan Zweig definiva “il mondo di ieri”, il suddetto cambiamento fu sicuramente un guadagno secco. Forse senza accorgercene, potevamo sfruttare parassitariamente i vantaggi di quel mondo e godere pienamente di quest’altro. Ma col tempo, consumatasi questa rendita parassitaria, quando non siamo diventati dei poveri narcisisti, abbiamo incominciato a sentire il peso di una responsabilità che gravava come un macigno tutta e soltanto su noi stessi. Abbiamo incominciato a sentirci soli. E quando sono arrivati i figli e poi i nipoti ci siamo resi conto a nostre spese di quanto sia difficile sentirsi responsabili in un mondo che non ammortizza più in alcun modo la nostra responsabilità. Non soltanto non possiamo più confidare che il parroco, il maestro o un vicino esercitino sui nostri figli un qualche controllo sociale, ma quand’anche lo facessero la cosa potrebbe persino non piacerci.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ