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Scivoloni di stato

Quando la piazza sventola bandiere sbagliate: non solo la Georgia a Capitol Hill

Francesco Gottardi

Dal tricolore ungherese di Salvini alle disposizioni – mai osservate – della Carta fondamentale belga: così la gaffe fa la storia (e non serve assalire la democrazia per cascarci)

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Chissà come se la riderebbe Stalin. C’era la sua Georgia – non quella americana, Atlanta, flip state – all’assalto di Capitol Hill. Ma quale spauracchio da guerra fredda scaduta: “Questi hanno fatto clic sul primo risultato su Amazon”, il vessillo di Tbilisi non è scampato al tribunale dei social. È il grottesco con cui si fanno largo i trumpisti. Fra suprematismo e QAnon, il quattro in geografia fa quasi tenerezza. Non stupisce. Guai però a pensare che lo scivolone sulla bandiera sia prerogativa redneck. I precedenti sono in tutto il mondo: inattesi, illustri. Perfino costituzionali.

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Chissà come se la riderebbe Stalin. C’era la sua Georgia – non quella americana, Atlanta, flip state – all’assalto di Capitol Hill. Ma quale spauracchio da guerra fredda scaduta: “Questi hanno fatto clic sul primo risultato su Amazon”, il vessillo di Tbilisi non è scampato al tribunale dei social. È il grottesco con cui si fanno largo i trumpisti. Fra suprematismo e QAnon, il quattro in geografia fa quasi tenerezza. Non stupisce. Guai però a pensare che lo scivolone sulla bandiera sia prerogativa redneck. I precedenti sono in tutto il mondo: inattesi, illustri. Perfino costituzionali.

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Gli stessi States avevano già dato spettacolo. Anche quando non c’era errore. Allo spettro opposto, lo scorso luglio in Michigan, i fanatici della cancel culture avevano costretto The Nordic Pineapple – bed and breakfast di dichiarate origini scandinave – a rimuovere la bandiera norvegese dalla struttura scambiandola per quella confederata. Niente, in confronto allo scandalo salito alla ribalta un paio d’anni fa nelle Grandi, eppur superficialissime Pianure: indagò perfino l’Fbi, quando fra gli avventori di un lago attrezzato del Kansas spuntò una Stars and Stripes “dissacrata dall’insegna dell’Isis”. Piovvero spaventate segnalazioni alle autorità. Peccato però che fosse la bandiera della Malesia, e la presunta cellula terroristica in questione stesse in realtà festeggiando la fine del Ramadan. Straordinario.

 

 

 

Fin qui, casi sporadici dell’entroterra. In Europa si sale sul piano delle istituzioni. Nel settembre 2018 il cancelliere austriaco Sebastian Kurz si recò in visita ufficiale a Skopje per promuovere il referendum che avrebbe cambiato la storia del paese – oggi Repubblica di Macedonia del nord. Fu accolto con la bandiera della Lettonia. E che dire dell’orgoglio italiano di Matteo Salvini? “Sabato 19 ottobre (2019) tutti a Roma!”, twittò il leader della Lega per promuovere la manifestazione contro il Conte bis. Sotto, una locandina con il segretario sorridente, il Colosseo e il tricolore ungherese. “Marcia su Budapest!”, apriti social.

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Certe volte invece l’errore è storico: non per gravità epocale, ma perché davvero così sono andate le cose. Secondo Jogchum Vrielink, dell’Università di Lovanio, il Belgio è “l’unico paese al mondo nel quale la bandiera non segue alla lettera le disposizioni della Costituzione”. In effetti non vi è traccia del leone rampante con la frase l’Union fait la force, come indicato dall’articolo 193. Né l’ordine dei colori è rosso-giallo-nero a bande orizzontali: “nel 1831 si volle differenziarsi dagli antichi occupatori olandesi”, spiega il professore. Voliamo in Argentina e il mistero araldico si infittisce: l’azzurro che fa da cornice al celebre Sol de Mayo sarebbe stato in origine di un blu molto più scuro. È il risultato delle analisi del Conicet – il comitato nazionale per la ricerca scientifica – sui tessuti della più antica bandiera argentina mai ritrovata, del 1814. Oggi è sbiadita nel tempo, come la versione che si sarebbe successivamente affermata, e il dibattito resta aperto. Ma di cambiare non se ne parla – che cacofonia sarebbe, trasformare in albiazul la nazionale di Messi e Maradona.

 

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Già, lo sport che diventa affare di stato. Pechino si infuriò immensamente, quando a Rio 2016 il Comitato olimpico sollevò sui podi della manifestazione una bandiera rossa sbagliata. Con le quattro piccole stelle in semicerchio parallele, anziché orientate verso la grande: dettagli che fanno la differenza, visto che il design fu scelto da Mao in persona e la stella principale rappresenta il partito comunista verso cui tutto punta. E si capisce allora che non sono ammessi cambi di direzione. Quattro anni prima, altra gaffe a cinque anelli, toccò a Pyongyang: prima di Colombia-Nord Corea, gara valida per il torneo di calcio femminile, gli organizzatori di Londra 2012 hanno esposto la bandiera di Seul. E putiferio fu, con la nazionale asiatica che si rifiutò di scendere in campo per oltre un’ora prima di ricevere le scuse ufficiali.

 

C’è chi la prese con più filosofia. Rugby Europe Championship 2018, la Germania padrone di casa ospita la Russia. È il momento degli inni nazionali: dagli altoparlanti parte quello sovietico. Sipario. A parziale discolpa degli addetti ai lavori c’è da dire che la melodia è sempre quella composta da Aleksandrov nel 1944, con il testo originale di Sergej Michalkov riscritto per Putin nel 2000. E per gli increduli rugbisti russi fu così una divertente occasione per rispolverare il vecchio canto delle elementari. L’incidente diplomatico finì lì – e virale su YouTube. Quella volta però almeno la bandiera era giusta. Altrimenti, altro che rivoluzione.

 

 

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