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SPAZIO OKKUPATO

Mondi paralleli

Giacomo Papi

Travolti dall’immaginario digitale, vacilla il muro tra vero e falso, realtà e rappresentazione

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Ogni volta che penso all’America mi viene in mente il Partenone di Nashville, Tennessee, la copia in scala 1:1, intatta e variopinta come in origine, di quello di Atene, che però sorge in un parco pieno di scoiattoli invece che in cima all’Acropoli. Il Partenone di Nashville mi è tornato in mente vedendo su Netflix “Death to 2020”, il falso documentario realizzato dai creatori di “Black Mirror” che riassume l’anno incredibile che abbiamo vissuto: gli incendi in Australia, Greta Thunberg a Davos e lo scoppio dell’epidemia, naturalmente, il contagio, le città deserte e Trump che consiglia iniezioni di candeggina, Black Lives Matter and so on. Nel film Hugh Grant interpreta la parte di uno storico inglese saccente e un po’ scemo che ripete così tante volte la frase “E non solo in America, anche nel mondo reale” da insinuare nel pubblico il sospetto che il mondo reale, compresa l’America, tanto reale non sia. Alla vigilia dell’insediamento di Biden alla Casa Bianca mentre Trump continua a strepitare, il sospetto di abitare un universo in cui fantasia e realtà, immaginario e concreto si mescolino senza soluzione di continuità, sta diventando certezza.

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Ogni volta che penso all’America mi viene in mente il Partenone di Nashville, Tennessee, la copia in scala 1:1, intatta e variopinta come in origine, di quello di Atene, che però sorge in un parco pieno di scoiattoli invece che in cima all’Acropoli. Il Partenone di Nashville mi è tornato in mente vedendo su Netflix “Death to 2020”, il falso documentario realizzato dai creatori di “Black Mirror” che riassume l’anno incredibile che abbiamo vissuto: gli incendi in Australia, Greta Thunberg a Davos e lo scoppio dell’epidemia, naturalmente, il contagio, le città deserte e Trump che consiglia iniezioni di candeggina, Black Lives Matter and so on. Nel film Hugh Grant interpreta la parte di uno storico inglese saccente e un po’ scemo che ripete così tante volte la frase “E non solo in America, anche nel mondo reale” da insinuare nel pubblico il sospetto che il mondo reale, compresa l’America, tanto reale non sia. Alla vigilia dell’insediamento di Biden alla Casa Bianca mentre Trump continua a strepitare, il sospetto di abitare un universo in cui fantasia e realtà, immaginario e concreto si mescolino senza soluzione di continuità, sta diventando certezza.

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E’ un’epifania, che non si limita alla politica e ai media, ma coinvolge tutto quello che siamo e facciamo: la lingua che usiamo, le città in cui viviamo, le strade che percorriamo. Da dove vengono, per esempio, le frasi che scelgo scrivendo, pensando, parlando? Chi ha inventato le parole che ci rigiriamo in bocca e in testa? Quanti versi di animali e protolingue e altri esseri umani sono stati necessari per immaginare e depositare, fino a renderli reali, i linguaggi e i codici con cui fingiamo di capirci? E’ più vero il Partenone di Nashville, identico a quello del V secolo a. C., o quello divelto di Atene che con l’originale condivide solo il luogo in cui sorge? E per quale ragione un film o un libro dovrebbero essere prodotti della fantasia, mentre strade, case, città sarebbero reali? Sono più reali I promessi sposi o il Duomo di Milano? Il calendario, Natale, Capodanno, la Befana sono reali o inventati? E i soldi sono reali o immaginari? Se tutto quello che è prodotto dall’uomo è sospeso tra reale e immaginario, la possibilità di comunicare si basa sull’accettazione di questa distinzione, su questa convenzione. Un altro personaggio di “Death to 2020” è una portavoce della Casa Bianca interpretata da Lisa Kudrow, la Phoebe di “Friends”, che nega risolutamente tutto quello che ha appena detto. Alla negazione dell’inconfutabile negli ultimi decenni abbiamo assisto centinaia di volte, anche prima di Trump, anche in Italia. Negare la realtà e rifiutare il principio di non contraddizione è una tattica collaudata di comunicazione politica di fronte a cui istintivamente reagiamo ridendo o alzando le spalle, senza valutarne del tutto la carica eversiva. Quello che i tweet falsi di Trump e la sua ostinata negazione del voto hanno in comune con il complottismo, i no vax e il terrapiattismo è che ignorano programmaticamente la differenza tra vero e falso. Rifiutano, cioè, l’architrave su cui si regge la democrazia, che si fonda proprio sulla fede nel fatto che abitiamo tutti la stessa realtà e ne possiamo parlare fino a capirci o almeno ad accordarci. In nessuna altra epoca l’uomo è stato esposto a una tale quantità di immaginario, di stimoli, merci e informazioni.

 

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Tre secoli di industria, un paio di mass media e tre decenni di digitale fanno scricchiolare il confine tra vero e falso, tra naturale e culturale. La realtà diventa immaginaria. Allo stesso modo diventano fantasmatiche la politica e la storia. Viene quasi il sospetto che nella battaglia pauperista e di retroguardia con cui negli anni Settanta Ugo La Malfa e la Cgil si opposero all’avvento della tv a colori sia balenata, come un oscuro presagio, l’intuizione che con l’avvento del colore l’indistinzione tra reale e immaginario avrebbe travolto la democrazia. Oggi, perfino la selezione dei leader assomiglia a un talent show. La figura concreta del capo – che sia Barack Obama, Donald Trump o Giuseppi Conte – appare la proiezione fantasmagorica di un immaginario collettivo guidato dall’alto e accettato dal basso, come quando i discografici si inventano una boy band. Non è un processo cominciato con Internet e gli smartphone, naturalmente, ma il digitale lo fa esplodere. Negli anni Venti la didascalia di un giornale nazista – Ostara, Briefbücherei der Blonden und Mannesrechtler (Ostara, giornale per biondi e maschilisti) – magnificava i capelli biondi di Hitler nonostante la foto rendesse evidente il contrario. Il problema è che oggi le didascalie sono miliardi e sono ovunque. L’immaginario digitale ci sta travolgendo fino a fare vacillare il muro, che credevamo incrollabile, tra vero e falso, tra realtà e rappresentazione. Donald Trump e i suoi capelli sono reali o immaginari?

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