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TRA LA PUDICA NETFLIX E IMPROBABILI MANIFESTI

Guardando la storia delle parolacce si avverte la mancanza di Shakespeare

Mariarosa Mancuso

Dalla parolaccia-zero in poi, Nicolas Cage protagonista dell'ultima webserie che ha banalizzato la lingua inglese

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Gli americani e gli inglesi sono due popoli divisi dalla lingua comune”, diceva Oscar Wilde. In effetti, guardando “History of Swear Words” – la storia delle parolacce, da ieri su Netflix – si avverte ogni momento la mancanza di Shakespeare. Colui che diede alla lingua inglese un gran numero di parole nuove, oltre a una quantità di fantasiosi insulti mai sentiti prima. Ce n’è per tutti. Vi sembra un complimento “La vita è un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e sbraita”? Non lo è, e arriva pure il secondo round: “Una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla”.

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Gli americani e gli inglesi sono due popoli divisi dalla lingua comune”, diceva Oscar Wilde. In effetti, guardando “History of Swear Words” – la storia delle parolacce, da ieri su Netflix – si avverte ogni momento la mancanza di Shakespeare. Colui che diede alla lingua inglese un gran numero di parole nuove, oltre a una quantità di fantasiosi insulti mai sentiti prima. Ce n’è per tutti. Vi sembra un complimento “La vita è un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e sbraita”? Non lo è, e arriva pure il secondo round: “Una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla”.

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Gli americani hanno fatto da soli, e hanno scelto come maestro di cerimonie – per questa serie di sei puntate a cavallo tra comicità e documentario – l’attore Nicolas Cage. Chi pratica il cinema, è brutto dirlo, per prima cosa pensa “e adesso vediamo quale parrucchino si sarà messo in testa”. Tremendo, assieme alla barba da gentiluomo d’altri tempi, seduto su una vecchia poltrona in pelle. Pelle e fregi dorati anche per i libri della biblioteca. Un mappamondo trasformato in mobile bar rivela bottiglie di cristallo. Ci aspettiamo chissà quale performance da fine dicitore, e lui dice “fuck, fuck, fuck, fuck”, da solo e in vario fraseggio. E’ la parolaccia-zero, da cui derivano un’infinità di composti (c’è anche l’albero genealogico, che inizia da “motherfucker”). Il maestro di cerimonie Nicolas Cage si ritira, arriva un eletta schiera di comici – tra cui Sarah Silverman, bentornata. Oltre a filologi e studiosi della lingua. C’è anche un’esperta in parolacce: sul versante professionale sono perlopiù donne, nelle puntate che abbiamo visto noi. Qualcosa deve aver suggerito che sguardi e voci femminili potevano alleggerire la materia, tenuto anche conto del fatto che le brutte parole sono sei – oltre a Fuck, Shit, Bitch, Dick, Pussy, Damn – e Netflix osa scrivere per intero soltanto Bitch e Damn, le altre hanno uno o due asterischi a protezione degli abbonati sensibili.

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Nel giorno in cui gente senza arte né parte ha accusato il film “Grease” di sessismo, siamo andati subito a vedere la voce “Pussy”. Pu**y, per la pudica piattaforma che pure distribuisce il programma. Ci deve essere del vero nella malignità riportata sul Guardian da Charles Bramesco: “Ormai Netlix si interessa a qualsiasi contenuto capace di attirare l’attenzione degli spettatori per più di due minuti”. Titoli di testa, e vediamo Nicolas Cage intento a dipingere. Un fiore rosa, scopriremo poi. Per un attimo pensiamo di essere ricascati nella pubblicità Nuvenia: le pussy canterine, intervallate da qualsiasi cosa – conchiglie, frutta spaccata, orchidee – possa rendere l’idea. Il critico cinematografico Elvis Mitchell (nero, capelli bianchi rasta, sinfonia di blu nell’abbigliamento) su “pussy” ha poco da dire.

 

C’era qualche doppio senso nel vaudeville, quando le ballerine alzavano le gonne mostrando i mutandoni. Al cinema è molto più frequente “fuck” (“il Tom Hanks delle parolacce”, secondo un’intervistata). Detiene il record Jonah Hill, che ha pronunciato la parola 107 volte in “The Woolf of Wall Street” (il vicino di casa e primo socio di Leonardo DiCaprio). Samuel L. Jackson segue distaccato. Veniamo a sapere, di striscio, che l’acronimo MILF ha una precisa data di nascita: il film “American Pie”, 1999. Il manifesto – si fa per dire, non servono più da attaccare ai muri ma esistono ancora – mostra un gallo (con evidente rimando all’episodio “Dick”). Nicolas Cage torna in tempo per parlare di “cosmic pussy”, e chiedersi se evolverà in una supernova o in un buco nero. Chiediamo noi perdono agli astrologi e alle persone di buon gusto.

 

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