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NON SONO TUTTI J.K.ROWLING

L’anno delle cancellazioni

Annalena Benini

Catalogo degli errori, delle presunzioni, degli eccessi e dei falsi miti da lasciare per strada come gli uccelli morti per i botti di Capodanno. Il bacio proibito alla Bella addormentata e l’impronunciabile parola che inizia con N

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Il conto alla rovescia, nella maggior parte delle case, è cominciato molto ma molto prima dei cinque minuti a mezzanotte. Con giorni e settimane d’anticipo abbiamo detto addio al 2020, senza rimpianti e senza pietà, abbiamo creato nuove liberatorie forme di vaffanculo, abbiamo bruciato calendari e agende, fatto bilanci in cui non era mai colpa nostra, abbiamo finito tutte le vitamine accumulate dallo scorso marzo, con un po’ di disprezzo perché non possiamo veramente dire se ci siano servite, anche se adesso molti di noi sono stranamente abbronzati nonostante la clausura e la luce ad anello dei selfie. Ma soprattutto ci siamo consegnati anima e corpo, con grande anticipo, a questo 2021, un perfetto sconosciuto probabilmente già pieno di attacchi di panico, chiedendogli con insistenza di venire in fretta a salvarci e a dimostrare il suo valore. Con la ferma convinzione che non potrà andare peggio di così, con la salda certezza che il 2020 vada cancellato. Cancellare, ultimamente, sembra la soluzione a tutto, mi dicevo mentre vincevo a Monopoli, pochi minuti prima del nuovo anno, e vincevo perché gli altri andavano in prigione senza passare dal via tranne me, che invece compravo tutte le case e gli alberghi di Vicolo Stretto e Piazza Della Concordia.

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Il conto alla rovescia, nella maggior parte delle case, è cominciato molto ma molto prima dei cinque minuti a mezzanotte. Con giorni e settimane d’anticipo abbiamo detto addio al 2020, senza rimpianti e senza pietà, abbiamo creato nuove liberatorie forme di vaffanculo, abbiamo bruciato calendari e agende, fatto bilanci in cui non era mai colpa nostra, abbiamo finito tutte le vitamine accumulate dallo scorso marzo, con un po’ di disprezzo perché non possiamo veramente dire se ci siano servite, anche se adesso molti di noi sono stranamente abbronzati nonostante la clausura e la luce ad anello dei selfie. Ma soprattutto ci siamo consegnati anima e corpo, con grande anticipo, a questo 2021, un perfetto sconosciuto probabilmente già pieno di attacchi di panico, chiedendogli con insistenza di venire in fretta a salvarci e a dimostrare il suo valore. Con la ferma convinzione che non potrà andare peggio di così, con la salda certezza che il 2020 vada cancellato. Cancellare, ultimamente, sembra la soluzione a tutto, mi dicevo mentre vincevo a Monopoli, pochi minuti prima del nuovo anno, e vincevo perché gli altri andavano in prigione senza passare dal via tranne me, che invece compravo tutte le case e gli alberghi di Vicolo Stretto e Piazza Della Concordia.

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Gli altri, disperati, sospesi dal gioco, stavano fermi due giri mentre io accumulavo ricchezze e tiravo i dadi di continuo: niente sembrava potere ormai andare storto. Un buon auspicio per il nuovo anno, visto che tutto è un auspicio, anche la luce della luna che il 31 sera era particolarmente splendente. Così, le mani piene di soldi del Monopoli, ho cancellato dalla mente la cartella esattoriale ricevuta poche ore prima da un postino dispiaciuto e solidale, e mi sono affacciata alla finestra per salutare insieme agli altri questo nuovo attesissimo anno. C’erano i botti, come ogni volta, e anche se li odio ho deciso di accettarli in nome della tolleranza e della libertà di espressione, e quest’anno in particolare anche in nome della libertà di gettare dalla finestra, insieme a quegli orribili petardi, la parte peggiore di noi. E’ la specificità del mondo reale, e sarebbe scemo cercare di eluderla, così come è scemo sentirsi ricchi a Monopoli. Il cane e i gatti terrorizzati sotto il letto, ma noi ancora saldi nell’accoglienza di questo 2021 salvifico, con le dosi di vaccino che ci aspettano, con i buoni propositi e la lista lunghissima dei desideri delusi nel 2020. Bene, a mezzanotte e un minuto, quindi dopo un minuto di esaltazione e fiducia nel futuro, la strada era piena, letteralmente, di uccelli morti. Storni caduti, forse per lo spavento, forse presi da infarto per i botti o che si sono scontrati con i cavi dell’alta tensione fuggendo dai botti, o colpiti dai petardi gettati dalle finestre, non lo so, ma erano lì a terra, mentre noi ci urlavamo buon anno buon anno buon anno. Come la mettiamo, adesso, con i buoni auspici? Gli uccelli erano veri, anche se mio figlio sperava che fossero di gomma. Qualcuno però era solo tramortito, e adesso trascinava le ali per terra, indeciso sul da farsi, incredulo e goffo, e almeno non passava nessuna automobile, e con fatica è riuscito a volare via. Ti prego, ti prego, non pensare all’albatros di Baudelaire, hai finito il liceo da quasi trent’anni, cresci, e concentrati su questi quattro stracci di invocazioni al nuovo anno, già paralizzato dalle aspettative, e su questa parola: cancellazione. Cancellare gli uccelli morti dalla strada sotto la mia finestra (ci hanno pensato i netturbini all’alba del nuovo anno, forse sono abituati a cose molto peggiori ma mi è dispiaciuto per loro. La prima cosa che hai fatto nel 2021? Ho raccolto uccelli morti dalla strada. Cancelliamolo, non parliamone più).

  

 

Cancellare il 2020: in “Death to 2020”, commedia riassuntiva dell’anno “così memorabile che hanno raddoppiato il nome”, “il racconto definitivo dell’anno più storico della storia”, naturalmente ci sono Trump e Biden, scienziati, storici, psicologi, gente comune, politici e influencer – è una commedia, lo storico che assomiglia tanto a Hugh Grant con i capelli bianchi è Hugh Grant con i capelli bianchi e ne approfitto per mandargli un bacio –, ma il personaggio migliore, il più perfettamente a suo agio in questo 2020, il più invincibile, è la madre di famiglia, carinissima e fanatica, che costruisce le sue opinioni su Facebook o sulla chat dei genitori di scuola e crede a ogni complotto e a ogni assurdità, piena di dolci sorrisi e violente certezze su chi vada cancellato. “Scusi, ma il modo in cui brandisce quel pennello mi mette a disagio”, dice all’uomo di colore che sta dipingendo un acquerello durante una gita in collina. E vuole controllargli i documenti. “E che cosa le ha insegnato il 2020? “Mi ha insegnato che a volte sono stata troppo generosa! E… anche a pronunciare correttamente sieg heil”. E’ su Netflix, uscito il 31 dicembre, dura poco più di un’ora e pare che la cosa più interessante del 2020 l’abbia imparata Samuel L. Jackson: quanti passi ci sono dal mio divano al frigo. Ma anche “come curare e coltivare un pregiudizio”. Cancellare, oltre a un intero anno andato piuttosto storto, quello che è sbagliato, offensivo, insultante e inadatto. Togliere dalle scuole certi libri ad esempio, come La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne perché può incitare alla misoginia e al puritanesimo invece che rivelarne l’orrore, perché a qualcuno potrebbe venire in mente di cucire una lettera scarlatta addosso a una compagna di scuola, e perché certe cose vanno eliminate e basta. Togliere Omero dagli studi classici, perché incita al suprematismo bianco. Mettere in pensione Il lago dei cigni e Lo schiaccianoci di Cajkovskij dall’Opera di Parigi, perché sono balletti bianchi e bisogna invece adesso riscrivere la Storia, con un metodo però molto simile a quello della madre pazza che tutti evitiamo nelle chat di classe, quella che ci inonda di articoli che spiegano che il coronavirus è stato creato in un laboratorio cinese da Soros in combutta con la Cina, in modo che Bill Gates potesse mettere il vaccino nei microchip per controllarci tutti.

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Da ieri, vorrei chiamarlo anche: metodo degli uccelli morti. Accogliamo il 2021 che stavamo aspettando per specchiarci finalmente in un futuro migliore, e se succede che qualcuno cadrà schiantato a terra, anzi se succederà che l’avremo ammazzato proprio noi, non facciamoci troppo caso, stiamo comunque andando nella direzione giusta: un mondo nuovo, in cui nessuno debba sentirsi a disagio per come quel tizio brandisce un pennello, o per come Ulisse ha abbandonato Didone, o per la fanciulla cigno, Odette, vittima del patriarcato. O anche per quel bacio dato dal Principe alla Bella Addormentata per risvegliarla dal sonno profondo: chi l’ha detto che era consenziente? Dormiva, non c’è alcuna prova che avesse dato il suo consenso al bacio. Si potrebbe continuare per giorni e intanto quest’anno nuovo scapperebbe via veloce nell’elenco di tutte le offese arrecate dall’arte e dalla letteratura, ma, come dice Hugh Grant, cioè lo storico che in “Death to 2020” confonde la Storia con una puntata del Trono di spade, tutto questo avviene “non solo in America, ma anche nel mondo reale”. Non solo in America, ma anche nel mondo reale. Non solo nelle guerre tra gli intellettuali, che sono molto importanti ma a volte molto stancanti, e non solo nei confronti di J.K. Rowling, la scrittrice milionaria creatrice di Harry Potter, accusata di transfobia per aver detto che il sesso è reale: per fortuna lei è molto difficile da cancellare o da buttare a terra con un petardo (ma altre persone, per averle espresso solidarietà, sono state costrette a dimettersi). Queste cose succedono anche nel mondo reale.

 

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A scuola, fra i ragazzi, per esempio. Gli adolescenti ascoltano molto rap, tra le altre cose, e spesso con queste enorme cuffie che escludono i rumori esterni e che trasformano le loro passeggiate fuori casa, o i tragitti verso la scuola, in un thriller angosciosissimo in cui rischiano continuamente la vita perché non sentono nemmeno i clacson o le urla disperate o il rumore dei freni di un’auto che inchioda a dieci centimetri da loro. Comunque, mentre ascoltano la musica con queste cuffie mortali, loro cantano. Non solo in America, anche nel mondo reale. Non solo nelle serie tivù, anche nella vita di mia figlia. Che ha una canzone preferita del momento, “Sensitive” di Serena Isioma. Nel ritornello di questa canzone, c’è per ben due volte la parola con la “N”, la parola impronunciabile (non solo in America, anche nel mondo reale). In RNP (Rich Nigga Problems) del rapper americano Cordae, la parola con la N compare molte più volte, è una specie di intercalare. E il problema di questi ragazzi impegnati a schivare le automobili, i tir e i tombini (esattamente come Joe, il protagonista di “Soul” all’inizio del film, perso nella sua bolla) non è schivare le automobili, i tir e i tombini, ma non pronunciare mai, cantando, la parola con la N. Esempio per chi ha più di mille anni: in “Fiori rosa, fiori di pesco” di Battisti, non si può cantare la parola “fiori”. Bisogna non perdere il ritmo, passare oltre, al posto di fiori cantare “mmmm”. Perché se qualcuno ti sente usare la parola con la N anche solo per ritornello sovrappensiero, può accusarti di razzismo, può dirlo a tutta la scuola, può bloccarti su Instagram, non visualizzare più le tue storie, non sedersi più accanto a te e cancellare la tua vita sociale, metterti in isolamento. E poiché questo è il centro assoluto della vita di un adolescente, e si parla di vita reale, l’immagine degli uccelli morti funziona. In nome di qualcosa di grande, si accetta di far cadere a terra molti piccoli.

 

Il New York Times, ma assicurando che si tratta di vita reale, ha riportato pochi giorni fa, anche con un certo compiacimento, la storia di una studentessa bionda di scuola superiore, che in un video su Snapchat di tre secondi, messaggio privato a un amico, quando aveva quindici anni, ha pronunciato la parola con la N. Un suo compagno di scuola, a cui è stato mandato il video dopo molto tempo, l’ha conservato fino a quando la ragazza bionda ha scelto il college, festeggiato con la famiglia e postato su Instagram un video di solidarietà a #blacklivesmatter. Era passata una settimana dall’uccisione di George Floyd. A quel punto, dopo tre anni, il compagno di scuola ha pubblicato quel video sui social. Il video è rimbalzato ovunque e la ragazza bionda nel giro di pochi giorni è stata espulsa dal college ancora prima di cominciarlo, “per avere usato un linguaggio razzista”. Nonostante le scuse, il pentimento per l’errore dei suoi quindici anni (“non conoscevo ancora il senso della gravità di quella parola”), il tempo passato. E’ stata cancellata, e il suo compagno si è detto soddisfatto “della lezione”. Gli adolescenti adesso sono per certi versi più forti, anche più sicuri (noi ci sentivamo uno schifo totale, io sarei morta anche solo per una felpa troppo corta, e loro sembrano molto più consapevoli: però guardate “Normal People”, la serie tratta dal romanzo di Sally Rooney, per capire quanto tormento in una sola frase, in un solo mancato saluto, quanta umiliazione nello sguardo degli altri). Ma gli adolescenti non sono comunque in nessun caso J.K.Rowling o Julie Burchill, gente capace di difendersi e di fare a botte e ragionare e strepitare sulla diversità di idee, e di arroccarsi in una orgogliosa, mondana solitudine piena di attestazioni private di stima. Gli adolescenti sono uccellini in volo e vanno casino e fanno a sbattere contro i cavi dell’alta tensione. Poiché ci aspettiamo già moltissimo da questo 2021 e l’abbiamo caricato di aspettative, non cambierà granché se gli chiediamo anche un altro vaccino. Il vaccino contro la spaventosa e teatrale tentazione del: diamogli una bella lezione, facciamogli vedere chi ha ragione, cuciamogli una lettera scarlatta sul petto. Sennò che senso aveva rinunciare a insegnare Nathaniel Hawthorne a scuola?

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