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altro che self partnered

Per il New Yorker il dating in pandemia ricorda i romanzi di Jane Austen (sgrunt)

Simonetta Sciandivasci

La retrocessione agli anni Cinquanta di cui s’è parlato durante il primo lockdown, al nono mese di pandemia è andata ben oltre, s’è spinta fino all’Ottocento

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Ricorderete senz’altro che a un certo punto delle crociate correttive contro il linguaggio, non avendo di meglio da fare e nemmeno qualcuno di cui innamorarci, stabilimmo che single era parola giudicante e crudele. Emma Watson chiedeva allora d’essere definita self partnered, e non single, di modo che si capisse che non era sola: lei stava con se stessa e ne era felice, fiera. Niente ha bastonato quella fiera contentezza più della pandemia. Ogni solitario lo sa, e ne ha avuto prova e controprova a Natale, quando s’è ritrovato a fare pensieri che non condivideva, a dirsi sottovoce e sottoterra che un salotto pieno di gatti non potrà mai sostituirne uno pieno di zie, figli, nipoti, amanti, spingendosi addirittura a riconsiderare un ex, come succede dopo certe chiacchierate con un ginecologo.

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Ricorderete senz’altro che a un certo punto delle crociate correttive contro il linguaggio, non avendo di meglio da fare e nemmeno qualcuno di cui innamorarci, stabilimmo che single era parola giudicante e crudele. Emma Watson chiedeva allora d’essere definita self partnered, e non single, di modo che si capisse che non era sola: lei stava con se stessa e ne era felice, fiera. Niente ha bastonato quella fiera contentezza più della pandemia. Ogni solitario lo sa, e ne ha avuto prova e controprova a Natale, quando s’è ritrovato a fare pensieri che non condivideva, a dirsi sottovoce e sottoterra che un salotto pieno di gatti non potrà mai sostituirne uno pieno di zie, figli, nipoti, amanti, spingendosi addirittura a riconsiderare un ex, come succede dopo certe chiacchierate con un ginecologo.

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La retrocessione agli anni Cinquanta di cui s’è parlato durante il primo lockdown, al nono mese di pandemia è andata ben oltre, s’è spinta fino all’Ottocento, e così come ci siamo riappropriate della bellezza (sgrunt) di fare il pane in casa, adesso probabilmente ci riapproprieremo della bellezza (due sgrunt) di uscire di casa una volta al mese, previa corrispondenza fra noi, il flirtante e i nostri genitori.

 

Il New Yorker ha scritto che il dating in pandemia assomiglia ai romanzi di Jane Austen e lo ha scritto con un entusiasmo rabbrividente, quel tipo di entusiasmo che hanno gli instancabili latopositivisti, quelli che se ti si sfascia la macchina ti dicono che puoi usare la bicicletta, che bello. La maggior parte dei punti che compongono il ridente elenco con il quale il New Yorker apparenta il distanziamento sociale a “Orgoglio e pregiudizio”, un anno e mezzo fa ci avrebbe fatto raggelare, abbracciare il gatto, comprare un’iguana, donare il corpo alla scienza da vivi, trasferirci in montagna, disiscriverci da tutti i social, e invece adesso ci tenta, sobilla, induce a ricorrere a Tinder, sognare paggetti, ricontattare terrificanti ex.

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Gli appuntamenti sono diventati lunghi, “prolungati”, avvengono in spazi pubblici; ci si incontra solo con persone fidate, alle quali è lecito e consigliato domandare dello stato di salute dei loro famigliari; si beve il tè (all’ora del vino c’è il coprifuoco); non ci si tocca; si passeggia moltissimo; le effusioni sono socialmente irresponsabili (che siate Maria Elena Boschi o meno); ci si scrive moltissimo. Un inferno, n’est pas? Eppure ci caschiamo dentro, a quasi nessuna viene più in mente di annuire gioiosamente pensando al futuro: crediamo che finiremo come quell’ultranovantenne che ha chiamato i carabinieri e ha detto venite e brindare con me alla vigilia perché sono solo e depresso, e non più come Sordi, a controbattere a chiunque ci domandasse come mai non fossimo sposate, che noi un estraneo in casa non ce lo volevamo.

 

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E allora eccoci là, sul divano, a scrutare profili Facebook di papabili, a guardare il mobilio nelle foto per calcolare la fascia di reddito del flirtante, a chiedere informazioni sulle famiglie di quelli che ci piacciono, a rispondere a tutti, pure ai revenant che nel primo lockdown scacciavamo, stremate, coi polpastrelli in disuso, il t9 ostile che anziché “mi chiami?” scrive “mi chiavi?” senza che abbiamo la forza di accorgercene – se l’abbiamo, non facciamo in tempo a correggerci che quell’altro ci piomba a casa, anche lui lupo solitario con un grande cuore pentito, pronto a tutto, pure a sposarci.

   

Ha scritto Megan Nolan sul New York Times: voglio tornare alla mia vita di prima, frivola e poetica, intensa e leggera, con gli amanti, il sesso, le cene, il vino, e quando dico che anche i single soffrono, e che questa pandemia li ha trattati come assassini lebbrosi, non voglio venire zittita. Lamentiamoci, self partnered, o finiranno col ridarci l’Inquisizione perché l’avremo chiesta noi.

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