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spazio okkupato

A che serve il Natale

Giacomo Papi

L’antico rito dello scambio dei doni fa riaffiorare il nostro primordiale legame alla terra

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Qual è il più bel regalo di Natale che avete ricevuto da quando siete nati? Aggiungo di seguito un po’ di puntini per darvi il tempo di pensarci con calma: ...................................................................................................................................................................... La domanda è banale, quasi ovvia, eppure per quanto mi riguarda non sono riuscito a rispondere, neanche per approssimazione. Un’indagine veloce mi ha confermato che non ci riesce quasi nessuno. Nella mia testa hanno sfilato un’infinità di oggetti alla rinfusa: uno stereo con doppia piastra di registrazione, una maglietta del Milan di Joe Jordan, un accappatoio in lino, l’edizione 1978 del Guinness dei primati, un gatto bianco e nero, un pallone di cuoio arancione, il primo Macintosh Classic, un bastimento di scatole del Subbuteo, un set di richiami per uccelli. Ma come in un baule senza gerarchia né cronologia né dimensioni, nessun regalo si è stagliato sullo sfondo della mia memoria. Ho fatto indagini e ovunque ho riscontrato la stessa indistinzione. L’unico a rispondere è stato mio suocero che, dopo averci pensato, mi ha detto: “Due pistole bellissime, nere, sottili che mi regalò mio nonno quando avevo sei anni nel più bel negozio di Parma. Mi ricordo tutto, com’erano belle e lucenti, ma forse mi sono rimaste impresse perché quando scartai il pacco, mio padre e mia madre si arrabbiarono moltissimo e mi obbligarono a restituirle. Secondo loro erano troppo di lusso per me”. L’unico regalo speciale che ho trovato nella mia breve ricerca – l’unica Rosebud, la slitta al centro dell’esistenza di Charles Foster Kane in “Quarto potere” – continua a essere ricordato settant’anni dopo soltanto perché svanì prima di essere posseduto. 

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Qual è il più bel regalo di Natale che avete ricevuto da quando siete nati? Aggiungo di seguito un po’ di puntini per darvi il tempo di pensarci con calma: ...................................................................................................................................................................... La domanda è banale, quasi ovvia, eppure per quanto mi riguarda non sono riuscito a rispondere, neanche per approssimazione. Un’indagine veloce mi ha confermato che non ci riesce quasi nessuno. Nella mia testa hanno sfilato un’infinità di oggetti alla rinfusa: uno stereo con doppia piastra di registrazione, una maglietta del Milan di Joe Jordan, un accappatoio in lino, l’edizione 1978 del Guinness dei primati, un gatto bianco e nero, un pallone di cuoio arancione, il primo Macintosh Classic, un bastimento di scatole del Subbuteo, un set di richiami per uccelli. Ma come in un baule senza gerarchia né cronologia né dimensioni, nessun regalo si è stagliato sullo sfondo della mia memoria. Ho fatto indagini e ovunque ho riscontrato la stessa indistinzione. L’unico a rispondere è stato mio suocero che, dopo averci pensato, mi ha detto: “Due pistole bellissime, nere, sottili che mi regalò mio nonno quando avevo sei anni nel più bel negozio di Parma. Mi ricordo tutto, com’erano belle e lucenti, ma forse mi sono rimaste impresse perché quando scartai il pacco, mio padre e mia madre si arrabbiarono moltissimo e mi obbligarono a restituirle. Secondo loro erano troppo di lusso per me”. L’unico regalo speciale che ho trovato nella mia breve ricerca – l’unica Rosebud, la slitta al centro dell’esistenza di Charles Foster Kane in “Quarto potere” – continua a essere ricordato settant’anni dopo soltanto perché svanì prima di essere posseduto. 

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Pare che l’usanza di scambiarsi doni in concomitanza con il solstizio di inverno risalga al VI secondo avanti Cristo e sia legata alla dea Strenia, da cui “strenne”, antica divinità della prosperità e della buona fortuna. Molti secoli più tardi, come è noto, i cristiani si impossessarono delle festività dei Saturnali e del Sol Invictus, che cadevano nello stesso periodo, rimodellandole sulla nuova religione. Con l’avvento del cristianesimo arrivarono oro, incenso e mirra, che possono essere considerati i primi “veri” regali (prima si trattava di scambiarsi ramoscelli, più che altro, un po’ come oggi a Pasqua) anche se si tratta di regali ben strani, visti con gli occhi di oggi, per un bambino appena nato. Secondo gli storici, l’oro (che però forse era curcuma) simboleggiava la regalità, l’incenso la divinità e la mirra, che nessuno ha mai saputo bene cosa sia, ma che poteva essere usata come analgesico e serviva soprattutto nella mummificazione dei corpi, annunciava il sacrificio della mortalità. L’aspetto interessante è che nel Vangelo, per la prima volta, i regali sono cose, direi perfino idee, a un tempo preziose e utili.

 

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La data del 25 dicembre in quanto compleanno di Cristo è menzionata per la prima volta nel 336 dopo Cristo, quando l’usanza di farsi regali all’inizio dell’inverno per celebrare Strenia era vecchia almeno di un migliaio di anni. I regali, cioè, sono molto molto più antichi del Natale: risalgono al tempo immemorabile in cui le cose non erano soltanto cose, ma simboli propiziatori e veicoli del sacro. La domanda è se qualcosa di quell’antico rapporto è rimasto nel consumismo che, come ogni religione di successo, si è impossessata delle festività cristiane rimodellandole sulle proprie esigenze, innanzitutto economiche. La domanda è se la distrazione con cui oggi facciamo e scartiamo i regali apparteneva in qualche misura anche agli antichi, che forse come noi il rapporto con il sacro si limitavano a metterlo in scena e a trasformarlo in gesti automatici, come è proprio dei riti. Mi chiedo, cioè, se ancora oggi il Natale non sia un rito a cui ci aggrappiamo per ricordarci ogni anno del nostro rapporto con le cose. Il regalo nella sua forma originaria è l’offerta dell’uomo alla divinità. Istituisce un legame. L’atto di ricevere trasforma ognuno di noi, almeno per un giorno, in un piccolo dio.

 

Forse, la funzione dei riti è proprio quella di rinnovare lo stupore per il mondo attraverso una serie di regole così da trasformarlo in una sequenza di cose, gesti, sapori e profumi – alberi e presepi e lucine e pacchetti – in gesti replicabili e fissi, come se per credere occorra, innanzitutto, fare finta di credere insieme a qualcosa. Per quanto sobrio e distanziato possa essere domani, è incredibile che si creda ancora al Natale e che si continui a metterlo in scena ogni anno, anche in un tempo in cui il consumo è ininterrotto e tutti, perfino i poveri, sono sommersi dalle cose. Il Natale àncora ancòra i desideri e i bisogni alla Terra. E’ strano, per esempio, che in genere non si regalino soldi ma cose, che non contano in quanto tali – infatti si fa fatica a ricordare il regalo più bello che abbiamo ricevuto – ma in quanto gesti che raccontano che il mondo ci serve e che ci servono gli altri. Il Natale, forse, ci serve a sapere che in fondo siamo ancora animali legati alla terra, che siamo accumulatori come scoiattoli, avidi come gazze e ingordi come maiali, e che possiamo essere felici come uccellini quando la madre ritorna con il verme nel nido. Buon Natale.

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