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editoriali

Disastro demografico

redazione

1,4 milioni di abitanti in meno in cinque anni. Agire prima che sia troppo tardi

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Svegliarsi in un paese, il nostro, con una popolazione ritoccata di 616.687 abitanti in meno. Si può, e se è l’Istat a dirlo possiamo crederci. Succede dunque che l’Istat decida di passare dal censimento decennale della popolazione al censimento annuale permanente, svolto ogni anno su 1,4 milioni di famiglie, più abbordabile, snello e sicuro. Primo censimento annuale avviato nell’ottobre 2018 e risultati subito ritoccati a partire dal 31 dicembre di quell’anno: 616.687 abitanti in meno rispetto a quelli derivanti dalla somma dei bilanci comunali della popolazione a quella data – giacché così funziona coi comuni: che si è svelti a segnare gli ingressi in entrata, meno le cancellazioni in uscita, cosicché la popolazione ufficiale è sempre più alta di quella reale. Conclusione: al 31 agosto di quest’anno siamo non già 60 milioni e spiccioli, come pensavamo fino a ieri, ma 59 milioni e 388 mila. Abbiamo sfondato all’indietro il muro dei 60 milioni d’un bel po’. Rispetto ai 60 milioni e 796 mila del 31.12.2014 abbiamo perso in 5 anni e 8 mesi più di 1,4 milioni di abitanti – 800 mila dei quali nel solo Mezzogiorno, che perde abitanti a una velocità quattro volte superiore a quella del nord – che sarebbero stati ben di più se il movimento migratorio negli anni 2015-19 non avesse fatto segnare un saldo positivo complessivo di 800 mila abitanti. Fatti un po’ di conti si capisce come le previsioni degli organismi internazionali, quelle che ci danno alla fine del secolo tra i 30 e i 40 milioni, siano tutt’altro che campate in aria.

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Svegliarsi in un paese, il nostro, con una popolazione ritoccata di 616.687 abitanti in meno. Si può, e se è l’Istat a dirlo possiamo crederci. Succede dunque che l’Istat decida di passare dal censimento decennale della popolazione al censimento annuale permanente, svolto ogni anno su 1,4 milioni di famiglie, più abbordabile, snello e sicuro. Primo censimento annuale avviato nell’ottobre 2018 e risultati subito ritoccati a partire dal 31 dicembre di quell’anno: 616.687 abitanti in meno rispetto a quelli derivanti dalla somma dei bilanci comunali della popolazione a quella data – giacché così funziona coi comuni: che si è svelti a segnare gli ingressi in entrata, meno le cancellazioni in uscita, cosicché la popolazione ufficiale è sempre più alta di quella reale. Conclusione: al 31 agosto di quest’anno siamo non già 60 milioni e spiccioli, come pensavamo fino a ieri, ma 59 milioni e 388 mila. Abbiamo sfondato all’indietro il muro dei 60 milioni d’un bel po’. Rispetto ai 60 milioni e 796 mila del 31.12.2014 abbiamo perso in 5 anni e 8 mesi più di 1,4 milioni di abitanti – 800 mila dei quali nel solo Mezzogiorno, che perde abitanti a una velocità quattro volte superiore a quella del nord – che sarebbero stati ben di più se il movimento migratorio negli anni 2015-19 non avesse fatto segnare un saldo positivo complessivo di 800 mila abitanti. Fatti un po’ di conti si capisce come le previsioni degli organismi internazionali, quelle che ci danno alla fine del secolo tra i 30 e i 40 milioni, siano tutt’altro che campate in aria.

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Certo, ora ci si è messa anche la pandemia ad aggravare la situazione, ma la pandemia è questione del 2020 mentre la malattia della popolazione italiana viene da lontano e ha la sua origine nella bassissima propensione degli italiani a fare figli. La Germania, che cinque-sei anni fa stava più o meno come noi, ha cambiato rotta puntando sull’ingresso di migranti e su forti incentivi ai figli sotto forma di assegni mensili fino alla maggiore età. Non è detto che questa ricetta sia la migliore anche per l’Italia, ma il punto è che una ricetta andrebbe sperimentata subito, il prima possibile. In Italia, nessuno sembra rendersi neppure conto della malattia.

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