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A Natale si fa quel che si può. E non giudicateci

Giuliano Ferrara

Bisogna prepararsi a settimane di vita clandestina in cui tutti scandiremo una nuova intima regola

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Si fa quello che si può. Non accuso nessuno, non condanno nessuno. Agli amici consiglio di saltare il Natale festoso, e la fine d’anno, ché mai come in questo caso bisognerebbe celebrare l’addio a un periodo cupo, confuso, imprevedibile. Ma so che i suggerimenti amorevoli sono come le regole, esigono alla fine tolleranza, questi e quelle. Sono per un’osservanza non cieca, rigorosa ma anche morbida in ogni sua movenza, sono per una sottomissione tranquilla, consapevole, contro i titanismi e le noncuranze. Per sé e per gli altri. Ma è un ritornello, prima che una regola. E so che si farà quello che si può, di più non si è in grado di chiedere figuriamoci ottenere.

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Si fa quello che si può. Non accuso nessuno, non condanno nessuno. Agli amici consiglio di saltare il Natale festoso, e la fine d’anno, ché mai come in questo caso bisognerebbe celebrare l’addio a un periodo cupo, confuso, imprevedibile. Ma so che i suggerimenti amorevoli sono come le regole, esigono alla fine tolleranza, questi e quelle. Sono per un’osservanza non cieca, rigorosa ma anche morbida in ogni sua movenza, sono per una sottomissione tranquilla, consapevole, contro i titanismi e le noncuranze. Per sé e per gli altri. Ma è un ritornello, prima che una regola. E so che si farà quello che si può, di più non si è in grado di chiedere figuriamoci ottenere.

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Il Natale non era così importante una volta, la festa cristiana vera è la Pasqua di resurrezione, ma la pandemia sta per compiere un anno appena e le tradizioni famigliari dell’Avvento sono vecchie, affettuose, il consumismo è grottesco ma fa del bene a tutti (qualcuno lo spieghi a Francesco Papa) e riduce la povertà, trasgredire le tradizioni è in certi casi ai limiti del possibile, dentro il recinto dell’improbabile. Molti faranno i bravi. Alcuni i bravissimi. Altri cederanno. E’ naturale che sia così. E’ successo in estate, conseguenze devastanti, può risuccedere d’inverno. Eppoi è tutto disperatamente confuso. Londra ha chiuso i battenti. La California easy, stonata e temperata fin dal clima, si è piegata. A Sydney sono guai. New York ha la neve che salva la sua solitudine urbana, il suo abbandono, tanta neve, per il resto un disastro. La Germania primissima della classe comincia a contare contagi e morti come una grande Bergamo della primavera scorsa. La Svezia ha fallito con il suo modello, che sembrava un modo interessante e diverso di fronteggiare gli eventi, parola di re. Noi stiamo come stiamo, e si rinvia, si aggiorna, si cambia ogni giorno, si chiacchiera, si verifica, mentre il sistema sanitario è mezzo inceppato, sebbene si sia cercato di essere sorvegliati e stranamente disciplinati, almeno per un certo periodo.

        

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Un giorno considereremo altrimenti la verità di questi tempi di malattia, che poi ognuno le dà il valore che vuole, c’è chi ha più paura e chi meno, il problema è il collasso dei luoghi di cura, la scrematura dei vecchi, l’economia per tutti messa in una situazione di gelo, che però può risultare alla fine meno atroce del previsto, e poi le file per il pane, la povertà di ritorno. Un giorno forse ci accorgeremo che abbiamo fatto molto, che in tempi rapidissimi abbiamo ottenuto un vaccino che in una situazione “normale” ci vorrebbero anni, un giorno capiremo che gli asiatici con i loro sistemi iperdisciplinari hanno fatto molto ma salvo eccezioni quel molto è solo il loro possibile. Non ci sono isole felici. Un giorno torneremo ottimisti, riglobalizzati, dediti ai commerci, e come dicevano le vecchie schede del fascismo che la odiava, “dediti alla stretta di mano”. Ricorderemo il periodo igienico forsennato compiacendoci di mani un po’ sporche o almeno non cotte e stracotte da acqua e sapone. E’ sicuro che abbiamo fatto quanto potevamo, e fare quello che si può è una legge della civiltà, del senso comune buono, della politica, dell’amministrazione, almeno in tempi di virus e di paure serpentine, rivolte romantiche, rifiuti, il famoso denial.

       

Bisogna tutti prepararsi a una paio di settimane, anche tre, in cui molto della vita sarà clandestino, chi per l’intimità delle scelte, chi lo può e lo desidera, chi per fottere il codice della strada vessatorio e utile stabilito dalle autorità sanitarie. Su tutto deve calare un certo relativismo morale, la comprensione, un’intrattabilità affabile, per così dire, quanto all’irresponsabilità che è una prerogativa dei giovani, dei viaggiatori incalliti, dei vacanzieri che non devono essere bollati, e  delle famiglie tradizionali che nemmeno per una volta possono rinunciare a essere quel che sono sempre state. Gli effetti di come mi comporto ricadono sugli altri, questo è sempre vero, e non solo per le pandemie, anche per le tasse, per le guerre, per l’alcol e le droghe, per fortuna c’è lo stato che insieme al mercato e alle tecnologie consentono di immaginare la vita a distanza, che è così innaturale e così necessaria, e la prospettiva di una vaccinazione di successo che chiuda il capitolo, questo almeno.

 

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