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Roma e la scoperta avventurosa della mattina

Annalena Benini

Nella città che più di tutte sa far frullare la notte, adesso dopo le sei di sera anche una telefonata comincia con: scusa l'ora

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Quel senso di eccitazione e di avventura che si impadronisce degli esseri umani adulti in genere verso le cinque del pomeriggio, quando il buio scende sulle finestre e il lavoro è al suo apice di concentrazione e rabbia, oppure quando si sta per mollare tutto e correre a casa o al supermercato, o dagli amanti per un bacio e un litigio veloce, e a volte perfino ci si cambia d’abito e faccia perché sta per arrivare la sera, cioè la prateria delle esperienze importanti, quel preciso momento di attesa e preparazione di un risultato o di un incontro è stato adesso spostato, nel nostro nuovo modo di vivere, alle dieci e trenta del mattino. La mattina è tutto, ogni cosa è vivace e illuminata fino a poco prima della semi clausura.

 

Adesso, dopo le sei di sera, anche una telefonata comincia con: scusa l’ora. Roma, in particolare, la città che più di tutte sa far fruttare la notte, ha scoperto l’esistenza della mattina rosata: l’ora delle newsletter e delle rassegne stampa non è più solo il mondo dei fanatici radioascoltatori e dei genitori affranti che accompagnano i bambini a scuola e si infilano in ufficio, ma è il posto della pienezza produttiva, delle decisioni importanti e anche della mondanità. Alle otto del mattino adesso a Roma ci si incontra per strada, ci si riunisce a distanza e si consegnano e si propongono lavori con la certezza di una risposta quasi immediata. Alle otto del mattino ci si lascia, anche, oppure ci si fidanza, se si possiede ancora questa audacia.

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La città freme, le strade e le case sono operose e irrequiete, gli animali domestici disorientati ma felici, non c’è più spazio sociale per chi si alza tardi, e allora intorno a mezzogiorno e mezzo, dopo una dura giornata, ci si saluta da lontano con la mano dicendo: buonasera, e ci si affretta verso casa. Il sole è alto, ma le regole della notte incombono e il giorno sta per finire. Tutta l’energia incamerata nell’andare a letto presto la sera viene investita o sperperata nell’ora solare. E ci si può allora preparare al gran ballo del pranzo all’aperto, intabarrati e storditi da tutta quella luce e libertà: un tramezzino in due al bar, e in certi casi gli spaghetti che diventano subito freddi, sono adesso la festa della signora Dalloway o la notte in discoteca, quella da cui si torna con i capelli impregnati di fumo, un timbro indelebile sulla mano e la voce rauca. Tutto quello che si è sempre rimandato al dopo caffè della pausa pranzo adesso è già stato consumato, deciso, superato, conquistato oppure distrutto. Le macerie sono sempre pomeridiane, e non si può più contare sulla penombra per sembrare più giovani e belli. Del resto alle cinque del pomeriggio, quando fino al febbraio di quest’anno cominciavamo a sentire l’euforia, della concentrazione oppure dell’attesa, il mondo si prepara a tirare giù le saracinesche, la polizia a fare le ronde, e in genere si è troppo stanchi per provare ancora qualche desiderio che non sia una cena cinese a domicilio, tra l’altro anticipata per non incappare nei ritardi delle otto di sera (“il tuo rider è in attesa al ristorante” è un messaggio di una insopportabile crudeltà, quando tutte le aspettative e le speranze sono concentrate nell’ultimo incontro senza contatto della giornata). E poi finalmente richiudere a chiave la porta disinfettatissima, e di nuovo aspettare l’alba per gettarsi nel tumulto della città e dell’esistenza. Il 2020 finisce così, con la riqualificazione della mattina e con il trionfo dei cani che vogliono uscire di casa presto. E il 2021 inizierà così, molto prima che il gallo canti.

 

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