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Pandemia urbanistica

Il Covid e le città del futuro. Gli archistar: "Altro che ztl. In periferia! In periferia!"

Carmelo Caruso

Lo spopolamento del centro città, la nuova centralità delle periferie. "Adesso è meglio vivere lì". Tre archistar a confronto: Italo Rota, Mario Cucinella, e Maria Claudia Clemente

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Abbiamo bisogno di tutti. Anche degli scemi? “Soprattutto degli scemi. Fatevi avanti”. Nelle città del dopo pandemia serviranno biologi, architetti, urbanisti e gli scemotti “e significa che la bellezza sarà introdotta grazie alla loro originalità. Ci saranno più alberi, terrazze, balconi e non servirà costruire. Sarà un capovolgimento: non più demolire per edificare, ma solo trasformare per efficientare”. Italo Rota, l’architetto che con Gae Aulenti ha allestito il Museo d’Orsay fuggirà in campagna? “No, io non fuggirò. Rimango urbano per sempre. Ma è vero che ci sono città che stanno morendo. Londra oggi langue. Non tornerà mai più come prima. Roma ha una grande occasione perché non è altro che una periferia che si è autoallargata. Milano invece si foresterà con i suoi tre milioni di alberi in dieci anni. Sarà magnifico”.

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Abbiamo bisogno di tutti. Anche degli scemi? “Soprattutto degli scemi. Fatevi avanti”. Nelle città del dopo pandemia serviranno biologi, architetti, urbanisti e gli scemotti “e significa che la bellezza sarà introdotta grazie alla loro originalità. Ci saranno più alberi, terrazze, balconi e non servirà costruire. Sarà un capovolgimento: non più demolire per edificare, ma solo trasformare per efficientare”. Italo Rota, l’architetto che con Gae Aulenti ha allestito il Museo d’Orsay fuggirà in campagna? “No, io non fuggirò. Rimango urbano per sempre. Ma è vero che ci sono città che stanno morendo. Londra oggi langue. Non tornerà mai più come prima. Roma ha una grande occasione perché non è altro che una periferia che si è autoallargata. Milano invece si foresterà con i suoi tre milioni di alberi in dieci anni. Sarà magnifico”.

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E Rota dice che forse sarebbe utile fare come i cinesi che per primi sono usciti da questa catastrofe. Cosa hanno fatto? “Il governo li ha spinti a ritrovare la fisicità che è stata perduta. Ha incentivato i cittadini a prendersi un mese di vacanza. Un mese per facilitare il ricongiungimento e l’incontro”. Un mese in Italia? Non sembra un libro? “E perché no?”. Abbiamo ascoltato Rota, Mario Cucinella, Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori, i fondatori di Labics. Sono tutti e quattro protagonisti dell’architettura e tutti e quattro hanno rispettato la promessa di staccare il telefono non appena la conversazione sul futuro della città sarebbe finita nella retorica e nel banale. Sono venute fuori queste idee. La prima è che la “transumanza” in campagna è già finita con la seconda ondata. “Non c’è stata neppure con la prima. A volte, le parole degli architetti vanno più veloci dei fatti. Era bucolico dirlo. Ma solo bucolico” avvisa Cucinella. Un’altra è che le realtà territoriali sono più vaste delle realtà amministrative. “Sto lavorando a Fano che non è una piccola città ma un luogo in una città infinita. Dobbiamo metterci d’accordo quando parliamo di città” spiega Rota. La successiva è che le periferie vengono adesso amate e che la prossima sfida sarà come ripopolare i centri storici. “I centri storici non possono essere parchi a tema. Solo la pandemia ci ha fatto alzare gli occhi al cielo. Ci siamo accorti che il centro non esiste” pensa Maria Claudia Clemente.

 

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Ci sono dei libri e delle opere che a distanza di anni andrebbero rilette. Cominciamo? “Uno di questi è Le Corbusier. Studiare il suo Plan Voisin. La verità è che ha vinto lui. E’ l’epoca del riscatto della “sua” città moderna, della periferia. Mai come adesso sembra così gradevole viverci. La periferia non è più il margine”. Lo consiglia Cucinella che è stato capo progetto di Renzo Piano e del suo Lingotto, il primo a realizzare nel 1999 un edificio non “energivoro”, un riferimento dell’architettura sostenibile, la sede Guzzini di Recanati. Ha disegnato anche la Torre Unipol di Milano e il Museo di arte etrusca nella nuova Fondazione Rovati. Vive a Bologna, Bolognina, e di fronte a lui, dice, ci sono “due scuole, un campo di calcio. Qui abita anche mia madre. In pochi minuti può raggiungere il suo laghetto. E voglio dire che abbiamo passato anni a demonizzare la periferia per scoprire oggi che si vive bene e forse meglio. Non è così? ”. A ogni ondata la sua utopia? Dopo la campagna è il momento di fare l’elogio del casermone? “E chi lo dice? La modernità è stata anche un fallimento ma non tutto un fallimento”. Racconta Cucinella che i bolognesi cercano una casa fuori Bologna e che la “periferia” si svuota come parola.

 

Maria Claudia Clemente vive a Roma e fa l’esempio di Pigneto, San Lorenzo che non sono delle vere periferie malgrado lo siano nella mente di tutti. Le trova belle? “Non sono solo dormitori. Possono essere luoghi di bellezza. E si collega all’idea del centro. Uno spazio diventa centro quando ha una capacità identitaria. Ci sono periferie che quella capacità la possiedono”. Rota, che identifica la sua vita con Milano, per fortuna non ha mai creduto a questa immagine sbiadita così come a quella del “borgo” come chiave di tutto: “Non siamo sopravvissuti alla pandemia rifugiandoci in montagna. Siamo rimasti in vita grazie al digitale. Spesa, servizi medici. Più che le città, cambieranno le abitazioni. La pandemia ha ridisegnato il necessario”. E’ chiaro che pure loro, questi architetti, ridisegneranno le case come si sta ridisegnando la città. Labics, lo studio di Clemente e Isidori, prevede una stanza dove isolarsi, in pratica dove sarà possibile lavorare: “Ma è il caso di cominciare a parlare degli uffici. Scompariranno”. A Milano, stanno seguendo un progetto nell’area di Cascina Merlata. Sono 317 appartamenti. “Ed è cambiata la domanda. Si acquistano i ‘tagli grandi” anziché quelli piccoli. E si vuole la terrazza”. E’ il modello Roma. Sta avanzando la “linea della terrazza”? “E’ già avanzata. Anche a Milano”.

 

Lo conferma Rota che parla di una città inselvatichita: “Alberi, animali. Scopriremo anche il valore dell’ombra”. Ursula Von Der Leyen per ragionare di tutto questo ha proposto infatti la nascita di una nuova Bauhaus, una nuova scuola d’urbanistica, architettura, design. Chiudiamo come abbiamo aperto. L’invito è anche ai tontoloni. Dice Rota: “Ovviamente. Giovani, vecchi. Eccetto i piagnoni. Quelli sono perditempo”.

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