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Quando dos babbos non es meglio che uan

I quattro figli a due a due di Miguel Bosé

Simonetta Sciandivasci

Nel 2018 il cantante e il compagno Nacho Palau si sono separati, tenendosi ciascuno i figli “geneticamente propri”. Un paio di giorni fa è venuto fuori che Palau ha portato Bosé in tribunale, chiedendo che si occupi anche degli altri bambini

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Era il 1994 quando Miguel Bosé cantò “Se tu non torni” al Festivalbar. E vinse, naturalmente. Come fai a non vincere con un pezzo che fa: “Se tu non torni, non tornerà neanche l’estate, e resteremo qui io e mia madre a guardare la pioggia” e poi “se tu non torni, non tornerà nemmeno il sole e resteremo qui io e mio fratello a guardare la terra, che era così bella quando ci correvi, con un profumo d’erba che tu respiravi”. Quella canzone profumava di Seamus Heaney e Neruda, nespole e castagne, inizio, fine e trapasso. Da allora sono passati ventisei anni, e ventisei anni precisi è durata la convivenza di Bosé e Nacho Palau, che nel 2011 hanno avuto quattro figli da due madri biologiche diverse, e nel 2018 si sono separati, tenendosi ciascuno i figli “geneticamente propri”.

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Era il 1994 quando Miguel Bosé cantò “Se tu non torni” al Festivalbar. E vinse, naturalmente. Come fai a non vincere con un pezzo che fa: “Se tu non torni, non tornerà neanche l’estate, e resteremo qui io e mia madre a guardare la pioggia” e poi “se tu non torni, non tornerà nemmeno il sole e resteremo qui io e mio fratello a guardare la terra, che era così bella quando ci correvi, con un profumo d’erba che tu respiravi”. Quella canzone profumava di Seamus Heaney e Neruda, nespole e castagne, inizio, fine e trapasso. Da allora sono passati ventisei anni, e ventisei anni precisi è durata la convivenza di Bosé e Nacho Palau, che nel 2011 hanno avuto quattro figli da due madri biologiche diverse, e nel 2018 si sono separati, tenendosi ciascuno i figli “geneticamente propri”.

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Sembra più intricato di “Cent’anni di solitudine”, ma non lo è: Bosé ha avuto due bambini, Ivo e Telmo, da una donna; Palau ha avuto due bambini, Diego e Taddeo, da un’altra donna. Ivo e Telmo, gemelli, arrivarono in famiglia sette mesi dopo, e Bosé disse alla stampa, giustamente orgoglioso come un Re Leone, che non aveva due figli, ma quattro. Dal 2011 al 2018, quindi per sette anni, i primi sette della loro vita, Ivo e Telmo e Diego e Taddeo hanno vissuto con i due papà, sono cresciuti insieme, assai plausibilmente senza distinzioni, senza mai chiamarsi con il patronimico che evidenziasse chi era figlio di chi. Dopodiché, il Bosé fa qualche inguacchio e si ritrova alle calcagna l’agenzia delle tasse spagnola, che gli presenta un conto di quasi due milioni di euro.

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A quel punto, si passa dall’LGBT alla spy story: il Bosé se la fila a Città del Messico e porta con sé i bambini “geneticamente suoi”, Ivo e Telmo. E la Spagna s’indigna, e anche il resto del mondo, e si scrive più o meno ovunque che i ragazzini non sono pacchi postali, e che però bisogna fare parecchia attenzione a non polarizzare tutto, a non trasformare quella storia in un pretesto per dire che la maternità surrogata è un fattaccio, perché di figli trattati come pacchi postali o peggio ancora rigettati, umiliati, abbandonati, sfruttati, maltrattati ce ne sono in tutte le famiglie, anche quelle dove tutti i membri sono legati dallo stesso sangue.

 

E così si sta accorti, se ne parla con le dovute specificazioni, con le inevitabili volgarità, con le temibili semplificazioni, ma intanto quattro fratellini vengono divisi, i padri mettono tra loro un oceano, e nessuno interviene. Nessuno può intervenire, Bosé e l’ex compagno non sono mai stati sposati, quindi non hanno vicendevoli oneri, se non morali, di creanza e d’amore. In Italia qualche quotidiano spiega che da noi non sarebbe potuto succedere perché nessun giudice avrebbe mai spezzato la fratria: nel nostro ordinamento l’interesse dei genitori soccombe di fronte a quello dei figli. Un paio di giorni fa è venuto fuori che Palau ha portato Bosé in tribunale, chiedendo che si occupi anche degli altri bambini, di quelli “geneticamente non suoi”, e che quindi onori quanto si dice in difesa di famiglie allargate, non tradizionali, etero, omo, mono, pluri, fatte a tavolino, alla boia d’un giuda, al freddo, al caldo, ovverosia che è l’amore e non il sangue a fare un genitore, e che l’amore pattuisce e sigla vincoli al pari di sangue, riti, tribunali, anagrafi, eccetera eccetera.

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Palau, dopo la separazione dal Bosé, è tornato a vivere a casa della mamma e non ha trovato che impieghi saltuari e non ha potuto provvedere al sostentamento dei due bambini, gli stessi che Bosé annunciava essere figli suoi, insieme agli altri due, quando nel 2011 presentava con orgoglio la sua numerosa famiglia preordinata e un po’ comprata. E insomma quando la libertà si ritorce contro questi due signori, essi ricorrono ai tribunali. E poveretti i giudici che dovranno pronunciarsi su questo caso, con un occhio a Re Salomone, uno ai Brangelina e un altro al futuro.

 

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Dice Palao che il punto non è economico, almeno non solo: è una questione d’equità. E qualcuno gli dica che qua nessuno è fesso e tutti sappiamo che le pari opportunità si fanno coi soldi. Che storia orribile questa di due padri che, insieme, non ne fanno uno buono. Una storia affollata ma piena di mancanze: non ci sono mamme, non c’è amore, non c’è rispetto, non c’è patto. Tutte cose dalla cui assenza non sappiamo tutelare i bambini, che in questa storia sono trattati come gatti domestici da due capricciosi signori capaci di pensare che l’amore si nutre d’amore finché il portafogli non langue.

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