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Covid Party

Quell’inconfessabile sollievo per le feste proibite

Simonetta Sciandivasci

Ammettiamolo: il lato positivo del nuovo dpcm è che ci leverà dall’obbligo di dire la verità e avvisare conoscenti e amici del fatto che siamo positivi

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I giorni della disdetta sono arrivati insieme alla pioggia, l’autunno, le caldarroste, le vetrine con le prime maschere di Halloween – che quest’anno sono orrendamente tautologiche, a eccezione di quelle in cioccolata, bene rifugio. La ritirata dalla vita associata era già cominciata, anche se sottotraccia, svariati giorni prima che il ministro della Salute, Roberto Speranza, proponesse di proibire tutte le feste, incluse quelle in casa, e il governo bandisse il calcetto e gli sport da contatto, se praticati a livello non agonistico, scatenando così ardenti firmatari di petizioni e tweet, fortemente preoccupati dalla deriva autoritaria dei dpcm. Eppure, da un paio di settimane almeno, abbiamo registrato tutti un aumento sostenuto e costante delle defezioni: forfait sempre motivati da scuse parecchio creative perché quelle classiche – influenza, bronchite, emicrania – procurano ormai fama d’untori e allertano proprietari di casa, amministratori di condominio, comitati di quartiere, amanti (che pensano che il Covid sia praticamente una malattia venerea, e quindi che se lo contraggono di certo le moglie capiranno che le tradiscono – molto brillanti, brave voi per esserveli scelti).

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I giorni della disdetta sono arrivati insieme alla pioggia, l’autunno, le caldarroste, le vetrine con le prime maschere di Halloween – che quest’anno sono orrendamente tautologiche, a eccezione di quelle in cioccolata, bene rifugio. La ritirata dalla vita associata era già cominciata, anche se sottotraccia, svariati giorni prima che il ministro della Salute, Roberto Speranza, proponesse di proibire tutte le feste, incluse quelle in casa, e il governo bandisse il calcetto e gli sport da contatto, se praticati a livello non agonistico, scatenando così ardenti firmatari di petizioni e tweet, fortemente preoccupati dalla deriva autoritaria dei dpcm. Eppure, da un paio di settimane almeno, abbiamo registrato tutti un aumento sostenuto e costante delle defezioni: forfait sempre motivati da scuse parecchio creative perché quelle classiche – influenza, bronchite, emicrania – procurano ormai fama d’untori e allertano proprietari di casa, amministratori di condominio, comitati di quartiere, amanti (che pensano che il Covid sia praticamente una malattia venerea, e quindi che se lo contraggono di certo le moglie capiranno che le tradiscono – molto brillanti, brave voi per esserveli scelti).

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Non posso venire stasera a cena da te, scusami, dal maneggio di fronte casa sono scappati cavalli imbizzarriti e non vorrei essere travolta da un purosangue inglese mentre salgo in macchina, mica siamo in “Barry Lyndon”; accidenti, mi sono ricordato che domani mia nonna fa cent’anni, e abbiamo deciso di festeggiarla in famiglia, una cosa intima, anzi andremo da lei alla spicciolata, per tre o quattro giorni di fila, io farò una specie di servizio d’ordine, baderò che i miei zii stiano distanziati, di spalle contro il muro, ho già disegnato le sagome in salotto, ti richiamo poi io per quella pizza – di solito, chi mente si dilunga. Poi però i contagi sono aumentati, e allora di mentire non se l’è sentita più nessuno, ma nemmeno di finire in galera per procurato allarme, e allora abbiamo cominciato a ricevere non troppo chiari coming out di positivi già quarantenati; malati conclamati (categoria Inps tutelata da “prestazione previdenziale, compensativa della perdita di guadagno); detenuti in attesa di giudizio (i contatti di contatto, coloro che per esempio sono andati al parco con figli di genitori risultati positivi e che quindi dovevano aspettare di sapere l’esito del tampone di quelli per sapere se tamponarsi a loro volta); reclusi fiduciari (riconoscibili dalla procrastinazione: se ti propongono di vedervi tra dieci giorni è perché tanto dura la quarantena per chi è stato a contatto stretto con un infetto). Una babele di differenze, date, giorni, tempi, rischi, nella quale ci siamo inerpicati tutti per dire che il virus ci ha bussato dietro la porta di casa e certe volte, come la primavera, è entrato sicuro senza bussare.

 

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Ed ecco perché ieri provavamo un inconfessabile sollievo, quando su Twitter non dibattevamo che del sesso del Ferragnez in arrivo e di #festeprivate (tendenza correlata: #delazioni), e ci mostravamo piuttosto risentiti da questa incertezza del governo nel decidere se procedere per divieti o raccomandazioni, se essere Jep Gambardella, che le feste voleva avere il potere di farle fallire, o Teheran negli anni Ottanta, che perseguiva i festaioli come fossero terroristi. Quell’inconfessabile sollievo era dovuto al fatto che speriamo che proibire le feste ci leverà dall’obbligo di dire la verità, cosa buona e giusta in tempi pandemici, che son tempi in cui abbiamo addosso non la responsabilità della carriera, ma della salute nostra e degli altri. Saremo dispensati dal dovere redigere un messaggio collettivo nel quale avvisare conoscenti e amici del fatto che siamo positivi, come prima avremmo fatto solo per una clamidia e soltanto con un numero ristretto di compagni d’allegria, e che quindi potremmo averli contagiati, e così di certo stasera alla festa non ci andate voi e non dovrebbero andarci nemmeno loro. Diciamoci la verità, suvvia, con messaggi brevi e incisivi: scopriremo che siamo andati tutti alla stessa festa, direttamente o indirettamente, e sarà come giocare a sei gradi di separazione, e magari troveremo pure un filarino.

 

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