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“Femminismo e antirazzismo usati come pretesti per la rottamazione morale”

Giulio Meotti

La giornalista e attivista francese Caroline Fourest racconta la “generazione offesa”

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Roma. “Cercano di cancellare dallo spazio pubblico chiunque offenda con un atto o un commento, a volte estrapolato dal contesto. Al ritmo attuale, un’accusa può uccidere una reputazione. Alcuni attivisti lo hanno capito. E il femminismo e l’antirazzismo sono usati come pretesto per il dégagisme’”. La rottamazione morale, usando un termine entrato nel vocabolario francese nel 2017.

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Roma. “Cercano di cancellare dallo spazio pubblico chiunque offenda con un atto o un commento, a volte estrapolato dal contesto. Al ritmo attuale, un’accusa può uccidere una reputazione. Alcuni attivisti lo hanno capito. E il femminismo e l’antirazzismo sono usati come pretesto per il dégagisme’”. La rottamazione morale, usando un termine entrato nel vocabolario francese nel 2017.

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Di sinistra, laica militante e femminista già direttrice del Centre Gai et Lesbien, la giornalista francese Caroline Fourest in un’intervista all’Express di questa settimana sfoga tutta la rabbia di chi vede la propria causa usurpata da quelli che chiama “i piccoli opportunisti”. “E’ come se questa nobile causa ora servisse da pretesto per vendette molto personali o politiche”. L’ultimo caso, Christophe Girard, l’ex assessore alla Cultura del comune di Parigi e consigliere del sindaco Anne Hidalgo, finito nel fango per l’amicizia con lo scrittore Gabriel Matzneff. “Non è accusato e nemmeno incriminato”, spiega Fourest. “Viene ascoltato come un semplice testimone. Aggredire Girard come se fosse un mostro o un pedofilo è assurdo”. Fourest è indignata per il cartello “Benvenuti a Pédoland” brandito dai manifestanti sotto le finestre del comune di Parigi.

 

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Ci ha scritto un libro uscito per Grasset, Génération offensée. “Come tutte le tempeste, i venti malvagi della moderna Inquisizione iniziano sempre sui social”, si legge. “Ci scateniamo in modo anonimo, linciamo al minimo sospetto. Un branco di troll furiosi che la filosofa Marylin Maeso chiama ‘i cospiratori del silenzio’, tanto che riescono a metterci la museruola. Stiamo vivendo l’avvento di questo ‘mondo di sagome’ che Albert Camus temeva? Dappertutto regna la tirannia dell’offesa, come prerequisito alla legge del silenzio. Basta digitare ‘appropriazione culturale’ su Google, un termine che è entrato nel dibattito pubblico da soli dieci anni, per contare 40.200.000 risultati. Un’inondazione. Le prime battute di caccia iniziarono una bella mattina di novembre 2012, quando Heidi, una madre americana, si scopre vittima di attacchi su Internet”. Il suo “crimine”? Aver organizzato un compleanno giapponese per la figlia. Sparse sul tavolo fiori di ciliegio, servì il tè in tazze tradizionali e sostituì le posate con le bacchette. Le amiche di sua figlia indossarono il kimono, truccandosi da geishe. E, naturalmente, immortalarono l’evento con i telefoni cellulari, prima di postare le foto sui social. Cattiva idea, visto che la mamma sarebbe stata accusata di “razzismo”.

 

Generazione offesa, quasi una religione, dice Fourest. “Confonde il fatto di lottare contro la discriminazione con il vedere il male ovunque. Ogni giorno un gruppo, una minoranza, un individuo si ergono a rappresentante di una causa, minaccia e censura perché dice di essere ‘offeso’”. La portata del linciaggio è dovuta alle nuove modalità di dibattito”, aggiunge. “Con i social non c’è bisogno di movimenti, di cartelli o di scendere in piazza e al freddo per protestare. Puoi gemere stando al caldo, protetto dall’anonimato. Le ragioni dell’indignazione sono logicamente più numerose e quindi anche più futili. Al minimo disaccordo, alla minima puntura – anche microscopica – sulla nostra pelle, urliamo sulla tastiera. Soprattutto se un ‘amico’ virtuale o un membro della nostra tribù digitale sta guidando la carica. Ci integriamo unendo le nostre grida indignate al cerchio degli offesi”.

 

E il cerchio si sta stringendo a tal punto che anche quanti avrebbero voglia di parlare, non lo fanno. Hanno una paura matta di finire linciati. Di diventare sagome.

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