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La ricerca dell’immunità

Paola Peduzzi

Ma davvero qualcuno oggi non farebbe un vaccino, se ci fosse? Piccolo viaggio nella risorgenza dei No vax

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Come finisce una pandemia, come facciamo a riconoscerne la fine, c’è un segnale, un dato, una curva da seguire? Ci stiamo tormentando su questo finale, mentre allentiamo i lockdown e ci promettiamo: richiudiamo subito se ce n’è bisogno, consapevoli del fatto che con tutta probabilità non riconosceremo nemmeno il momento in cui chiudere senza fare troppe storie. L’unica speranza luminosa è il vaccino, la soluzione definitiva, quella che si vede a occhio nudo, e brilla. Da lontano, perlomeno, perché anche il vaccino ha le sue fasi: la prima è scoprirlo (ci sono enormi pressioni ed enormi investimenti, e buone notizie sui test); la seconda è distribuirlo alla popolazione mondiale (si creeranno molti conflitti: nazionalistici, tra paesi ricchi e paesi poveri, all’interno di ogni paese); la terza è far sì che la maggior parte della popolazione si faccia somministrare il vaccino. Abbiamo sentito parlare di immunità di gregge in modo sciagurato e prematuro e ora associamo al concetto esperimenti sociali feroci, ma quando c’è il vaccino in realtà l’immunità di gregge torna a essere quello che è: una promessa di guarigione collettiva. Nelle prime due fasi, saranno le aziende farmaceutiche e i governi a prendere le decisioni, nel bene o nel male, mentre la terza fase riguarda gli individui, cioè ognuno di noi. Le premesse sono abbastanza rassicuranti: tutti gli studi pubblicati da quando è scoppiata la pandemia mostrano una ritirata dei movimenti No vax e un’erosione delle convinzioni No vax. Secondo questi stessi studi però, quando la paura del contagio diminuisce, quando cioè pensiamo di intravedere il finale, l’istinto No vax torna a crescere.

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Come finisce una pandemia, come facciamo a riconoscerne la fine, c’è un segnale, un dato, una curva da seguire? Ci stiamo tormentando su questo finale, mentre allentiamo i lockdown e ci promettiamo: richiudiamo subito se ce n’è bisogno, consapevoli del fatto che con tutta probabilità non riconosceremo nemmeno il momento in cui chiudere senza fare troppe storie. L’unica speranza luminosa è il vaccino, la soluzione definitiva, quella che si vede a occhio nudo, e brilla. Da lontano, perlomeno, perché anche il vaccino ha le sue fasi: la prima è scoprirlo (ci sono enormi pressioni ed enormi investimenti, e buone notizie sui test); la seconda è distribuirlo alla popolazione mondiale (si creeranno molti conflitti: nazionalistici, tra paesi ricchi e paesi poveri, all’interno di ogni paese); la terza è far sì che la maggior parte della popolazione si faccia somministrare il vaccino. Abbiamo sentito parlare di immunità di gregge in modo sciagurato e prematuro e ora associamo al concetto esperimenti sociali feroci, ma quando c’è il vaccino in realtà l’immunità di gregge torna a essere quello che è: una promessa di guarigione collettiva. Nelle prime due fasi, saranno le aziende farmaceutiche e i governi a prendere le decisioni, nel bene o nel male, mentre la terza fase riguarda gli individui, cioè ognuno di noi. Le premesse sono abbastanza rassicuranti: tutti gli studi pubblicati da quando è scoppiata la pandemia mostrano una ritirata dei movimenti No vax e un’erosione delle convinzioni No vax. Secondo questi stessi studi però, quando la paura del contagio diminuisce, quando cioè pensiamo di intravedere il finale, l’istinto No vax torna a crescere.

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Nelle proteste contro i lockdown, in Europa come in America, i No vax hanno ricominciato a farsi sentire e a mostrare i loro cartelli: di solito ce l’hanno con Bill Gates, accusato di aver creato il coronavirus (altro che pipistrelli e manipolazioni cinesi) per poter prendere il controllo del sistema sanitario globale attraverso il vaccino, su cui il fondatore di Microsoft sta investendo molto. E’ una teoria del complotto molto di moda, Gates ha quasi preso il posto del cattivo per antonomasia, George Soros.

    

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Di recente la rivista Nature ha pubblicato uno studio in cui analizza l’andamento del movimento No vax sui social. Si tratta di una tendenza piccola nei numeri ma resistente e di nuovo in ascesa. Neil Johnson, scienziato della George Washington University che ha curato il progetto, ha segnalato che sui social i gruppi No vax hanno meno follower di quelli pro vax, ma sono più numerosi e sono spesso segnalati o citati in gruppi in cui i vaccini non sono il tema principale. In altre parole: i pro vax si rivolgono solo a quelli che la pensano in modo simile, mentre i No vax si muovono “sui principali campi di battaglia dell’opinione pubblica”. Per questo, secondo Nature, non vanno sottostimati, per di più se l’efficacia di una politica di vaccinazione si misura proprio attraverso la partecipazione – è un’altra faccia della solidarietà.

    

Marie Werbrègue, che guida i No vax francesi, ha detto a Politico che il coronavirus “è soltanto un altro tipo di influenza, come le altre” Le proteste No vax di queste ultime settimane si uniscono a quelle libertarie – non deve dirci lo stato cosa fare, ogni regola è un’ingerenza: vale per le mascherine, figurarsi per un vaccino – e a quelle anticapitaliste: il fatto che a lavorare sul vaccino siano le più grandi corporation del settore farmaceutico (chi altro potrebbe farlo?) alimenta l’idea che il virus sia un gran complotto capitalista – e i vaccini già sono vissuti dai No vax come farmaci inutili resi necessari ad arte dalle aziende farmaceutiche che vogliono aumentare i profitti. Bill Gates è il “cattivo” perfetto, miliardario e con il pallino della sanitarizzazione universale – le teorie del complotto su Gates sono nate su QAnon, la più grande centrale di complottismo globale.

  

Uno studio del Vaccine Confidence Project, un progetto legato all’Oms che monitora la fiducia nei vaccini a livello mondiale, mostra però che c’è un legame diretto tra la propensione a farsi vaccinare e il cosiddetto secondo picco: se la paura è alta è anche più alta la voglia di farsi vaccinare. Ma è legittimo tenere alta la paura per far funzionare le politiche di vaccinazione? Non molto, e questo porta a un altro tema dibattuto: dev’essere obbligatorio, il vaccino? In teoria no. La direttrice del Vaccine Confidence Project, l’antropologa Heidi Larson, ha un libro in uscita in estate che si intitola “Stuck”, impantanato. Sostiene che la cattiva informazione sui vaccini può essere rimossa – ci vuole tempo e dedizione, ma si può – ma resta il problema “relazionale”: posso fidarmi di chi dice che il vaccino è necessario? Le tracce dei No vax si ritrovano in questa sfiducia, il resto è un guaio dei governi, che di fiducia pubblica vivono, eppure spesso sprecano l’occasione di costruirla.

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