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Si può proibire tutto, o quasi, ma non la passeggiata con il cane

Giuliano Ferrara

Un divieto di amare e accudire sarebbe un focolaio di guerra civile

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In “Cane e padrone” Thomas Mann raccontava tra l’altro la passeggiata quotidiana e si stupefaceva perché il suo compagno abbaiava sempre e tirava e smaniava in un punto preciso, sempre quello, una siepe in villa, questione di istinto e di memoria. Timidi o spavaldi, i cani si fingono un nemico anche invisibile, anche scomparso, comunque introvabile, con una sicurezza di tratto che a noi manca nel contatto con il nostro attuale nemico. Sono in questo decisamente più sagaci di noi, non solo più eleganti e rassegnati, non solo più allegri e abituati a lunghe quarantene, alla vita da cani, agli spazi ristretti, alla compagnia forzata, a lunghi sonni interrotti da veglie sempre reversibili in un ennesimo riposino, sono anche all’erta e pronti alla più combattiva eccitazione senza mascherina, igienizzanti, eccessi necessari di sapone e protezione, insomma sono dichiaratamente esseri, in questo almeno, del tutto superiori ai loro padroni. Potessimo scartare e imbizzarrirci con la loro vitale diffidenza davanti a quella siepe in villa dove si annida anche solo la possibilità di un virus. Non possiamo.

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In “Cane e padrone” Thomas Mann raccontava tra l’altro la passeggiata quotidiana e si stupefaceva perché il suo compagno abbaiava sempre e tirava e smaniava in un punto preciso, sempre quello, una siepe in villa, questione di istinto e di memoria. Timidi o spavaldi, i cani si fingono un nemico anche invisibile, anche scomparso, comunque introvabile, con una sicurezza di tratto che a noi manca nel contatto con il nostro attuale nemico. Sono in questo decisamente più sagaci di noi, non solo più eleganti e rassegnati, non solo più allegri e abituati a lunghe quarantene, alla vita da cani, agli spazi ristretti, alla compagnia forzata, a lunghi sonni interrotti da veglie sempre reversibili in un ennesimo riposino, sono anche all’erta e pronti alla più combattiva eccitazione senza mascherina, igienizzanti, eccessi necessari di sapone e protezione, insomma sono dichiaratamente esseri, in questo almeno, del tutto superiori ai loro padroni. Potessimo scartare e imbizzarrirci con la loro vitale diffidenza davanti a quella siepe in villa dove si annida anche solo la possibilità di un virus. Non possiamo.

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Vietare la passeggiata con il cane vale solo come metafora perforante e un po’ assassina della vita funebre cui ci condanna l’isolamento coatto delle leggi, il confino in casa. Nessuno la vieta. Sanno che quel divieto andrebbe al dunque di una libertà naturale fondamentale, un divieto di amare e accudire, sarebbe un focolaio di guerra civile, dunque vogliono in certi casi limitarla allo stretto necessario, ai duecento metri. Al comune di Mamoiada, un po’ seriosamente e un po’ celiando, hanno voluto ricordare che il cane da passeggio deve essere vivo: morti o di pezza non sono ammessi. E’ uno dei tanti casi di umor macabro che recano uno strano e imbarazzante sollievo nella più triste e grottesca delle situazioni in cui la natura ci ha cacciati. Ovvio che invece i cani vivi, vivissimi, scodinzolanti, affettuosi, musoni, strani, pensosi, un po’ fessi, danzanti, canterini, a ciascuno il suo, sono un pegno affettuoso di vita in sé, perché i cani vivono poco ma intensamente, non hanno come noi il destino e il pensiero del compimento, che tanto ci inquieta, hanno presentimenti e passioni, si accontentano di niente, di pochissimo, e consumano il giusto dell’esistenza imponendoci, come una volta i cavalli dagli occhi di lago e i bovi pii, il gusto civile dell’addomesticazione.

 

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Si dice sempre l’Altro, ma noi umani siamo repliche indefinitamente ritoccate, eppure repliche, mentre i cani sì che sono l’altro da noi, una diversità di specie classificata appena sotto la personalità cristiana, la persona, che sembra fatta per il piacere e il sentimentalismo anche dei più feroci e dei più cinici. I migliori fra i padroni, i più sensibili come si dice, faranno caso certamente a certi strani comportamenti che la nuova vita di vicinanza e di camaraderie ispira ai cani e alle canuzze. Sono come sempre, non è che cambino gran che, ma in certo senso più di sempre intuiscono che qualcosa va strano, forse va storto, eppure in modo per loro così giocoso e burbanzoso, tante carezze riservate in esclusiva, molta associazione alla vita di famiglia che i gatti sentono meno, presi come sono dalla custodia dei simboli e dei luoghi. Da dove verrà tutto questo bendidio? Se lo domandano, poi in realtà ci fanno la lezione. Si deve obbedire in tempi di epidemia alle autorità e alle prescrizioni in nome del bene comune, è il principio poco liberale ma infinitamente civile della domesticazione dei corpi e delle anime, bisogna imparare a obbedire come i migliori tra i cani che vengono quando li si chiama, con la voce o con il fischio, e vanno a cuccia quando glielo si dice. Hai detto niente.

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