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Un nuovo bon ton per salvarci dalle psicosi da isolamento (nostre e altrui)

Simonetta Sciandivasci

Galateo della clausura. Intervista a Irene Soave

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Roma. Gli uomini non cambiano ma il mondo sì, in un lampo, e quello che faceva bene prende a far male, il buono diventa pericoloso. L’invito a non farci cambiare da questo stronzo vermetto è durato lo spazio di qualche mattino, e ora sappiamo che, invece, miglioreremo, peggioreremo, molte cose non torneranno più com’erano, altre non torneranno affatto, altre ancora resusciteranno. La buona educazione, per esempio. E un’idea alta della connessione come condizione umana. “Quello che dobbiamo imparare, da questi giorni, è che l’altro esiste e possiamo nuocergli senza rendercene conto”, dice al Foglio Irene Soave, giornalista del Corriere della Sera, esperta di galateo (ne ha anche scritto da poco uno per Bompiani, imperdibile). E di galateo, cioè regole del buon vivere, magari del vivere e basta, abbiamo bisogno adesso per orientarci in questa transizione e usarla per conoscerci, per prepararci a quello che verrà o, più semplicemente, per non consentirle di farci a pezzi.

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Roma. Gli uomini non cambiano ma il mondo sì, in un lampo, e quello che faceva bene prende a far male, il buono diventa pericoloso. L’invito a non farci cambiare da questo stronzo vermetto è durato lo spazio di qualche mattino, e ora sappiamo che, invece, miglioreremo, peggioreremo, molte cose non torneranno più com’erano, altre non torneranno affatto, altre ancora resusciteranno. La buona educazione, per esempio. E un’idea alta della connessione come condizione umana. “Quello che dobbiamo imparare, da questi giorni, è che l’altro esiste e possiamo nuocergli senza rendercene conto”, dice al Foglio Irene Soave, giornalista del Corriere della Sera, esperta di galateo (ne ha anche scritto da poco uno per Bompiani, imperdibile). E di galateo, cioè regole del buon vivere, magari del vivere e basta, abbiamo bisogno adesso per orientarci in questa transizione e usarla per conoscerci, per prepararci a quello che verrà o, più semplicemente, per non consentirle di farci a pezzi.

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Prima di ogni cosa, stabiliamo una linea generale di condotta. Dice Soave: “Cercare di badare e bastare a sé stessi”. E non prendetelo come invito a mettersi al primo posto, a ripetersi quanto si vale, bensì come un esercizio di tutela degli altri. “Non essere quello che telefona a tutte le ore a fidanzata, mamma, amici, specie se non sei un soggetto a rischio e devi soltanto cercare di non ammalarti. Non trasmettere ansia agli altri, non diventare per loro una preoccupazione in più, perché è facile che abbiano altri guai più grossi delle tue fobie e della tua incapacità di stare con te stesso, di fare i conti con chi sei”.

 

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Che sforzo, per noi che siamo abituati a fornire la risposta alle cinque W su quello che ci capita senza che ci venga chiesto, ritrovarci a contenerci, a ridurre le comunicazioni all’essenziale, a dare agli altri tregua. “Si può anche trovare un modo migliore di comunicare, meno invadente e più profondo. Le mail sono perfette perché non obbligano il destinatario a risponderti subito, quando decidi di cercarlo tu e hai bisogno di lui ed entri a gamba tesa nella sua vita con un WhatsApp. In più, le mail sono lettere, e hanno un respiro che va oltre comunicazioni che spesso sono solamente bollettini, passatempi”.

Non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te, per autodisciplinarsi, può bastare? “Forse è necessario uno sforzo ulteriore. Cose che noi gradiamo, gli altri potrebbero detestarle, e allora tocca rimodularsi, tararsi sul prossimo”.

Ma se soffro la solitudine e mi annoio 24 ore su 24 in casa, come faccio a non impazzire? “Non annoiarsi è un comandamento di galateo e, in questo momento, è un dovere civico al pari di infilarsi la mascherina, quindi trovatevi qualcosa da fare e non siate appiccicosi”.

 

Vale anche per l’esercito di ex fidanzati revenant che stanno ripalesandosi tramite mail, Messenger, Skype, WhatsApp, sms, e il cui assedio non c’è ragazza italiana che non stia sperimentando in queste ore, e magari era a questo che si riferiva Ilaria Capua l’8 marzo scorso, quando ha detto che le donne durante la pandemia hanno una vita più difficile del solito? Dice Soave: “Prima di manifestarsi, l’ex si domandi se rivuole davvero quella persona o sta soltanto annoiandosi a morte, provi a immaginarsi come sarebbe uscirci a cena il 4 aprile e se gli piacerebbe. Sappia poi il revenant che niente dà un senso di morte incombente come un ex che rispunta fuori, dopo anni, mentre là fuori si aspetta che il 70 per cento della popolazione si ammali”.

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A “Propaganda”, Andrea Pennacchi ha detto che quando sente dire che andrà tutto bene gli viene voglia di fare testamento. “I flash mob non mi fanno simpatia. Sono una bacchettona, lo ammetto, ma temo si tratti di manifestazioni che fanno sentire più solo chi già ci si sente. Questo ritrovato senso di comunità, poi, lo trovo posticcio. A Milano ci prendiamo a spallate se non teniamo la destra sulle scale mobili, e ora siamo tutti uniti perché per riempire i pomeriggi cantiamo Mameli in terrazza? Suvvia. Facciamo una quarantena vera, facciamola di modo che sia una quaresima”. Ci siamo innamorati degli altri solo perché non avevamo niente da fare? “Penso che prima di mettere un post it con un arcobaleno sulla porta del vicino, dovremmo chiederci se abbiamo pagato le ultime rate condominiali, e poi cominciare a far sì che ci sia una coincidenza tra chi siamo nella quarantena e chi siamo fuori dalla quarantena”.

 

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Sbandierare quanto doniamo in beneficenza è ammesso? “E’ vero che nel Vangelo è scritto ‘non sappia la mano sinistra cosa fa la tua destra’, ma nel nostro tempo secolarizzato ed esibito, sapere cosa fanno le nostre mani e quelle degli altri suscita un effetto di emulazione utile alla causa. Adesso doniamo più che possiamo perché c’è un’emergenza ma ricordiamoci, la prossima volta che andiamo a votare, di quelli che hanno governato destinando pochissimo alla sanità. Io dico: più tasse e meno beneficenza, più senso civico e meno balconate, più autocontrollo e meno sentimentalismo. Non è il momento di chiamare il dottore se vi punge un’ape. E’ il momento di chiamare il dottore se proprio non potete farne a meno”.

 

Cosa possiamo fare per essere di compagnia e conforto senza risultare invadenti? “Tenerci impegnati in modo da non avere ragioni per molestare chi ci vuole bene. Curare la casa, riordinare, disegnare, leggere, tenere un diario, fare una lista di film da vedere e vederli, tenersi in forma, non ingrassare”. Ma i meme su come saremo obesi tra un mese sono già gli editoriali sulla quarantena. “Mai lasciarsi andare all’abbrutimento. Cerchiamo di non diventare un paese in tuta che mangia lasagne su un letto sfatto”.

Le amiche che si presentano all’aperitivo su Skype sciatte e con alle spalle il salotto ridotto a una giungla le dobbiamo riprendere o no? “Proibito. Quando vai a casa di qualcuno sei cieco, sordo, muto e grato d’esser stato invitato”.

 

Come occupare il tempo che resta, se ne resta, dopo essersi occupati di sé di modo che non debbano essere gli altri a farlo? “Facciamoci vivi con i vecchi amici, magari senza inviti su Skype ai quali se non si è in confidenza si fa sentire l’altro obbligato a dire di sì; inviamo sms, mail, pensieri specie ai quarantenati e alle persone che non sentiamo spesso; evitiamo di rimproverare la vicina se i suoi figli urlano (se non sopportiamo i rumori non possiamo vivere in condominio); se conviviamo, mai occupare gli spazi comuni perché non è detto che la persona con cui dividiamo casa e vita abbia sempre voglia di incontrarci quando va a prepararsi un caffè e, soprattutto, non affossiamo i conviventi con pessimismo e cattivo umore”.

Stabiliamo un divieto. “Non mandare link ad articoli preoccupanti, non diffondere note vocali anonime che dicono di bere acqua calda per sconfiggere il virus o che se ti fermano non devi pagare l’ammenda altrimenti ti si sporca il casellario giudiziale (falso). Informarsi – ci spiace – sui giornali”. Ci spiace, con un certo orgoglio.

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