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Come il virus sta cambiando la nostra vita. Un Girotondo

Annalisa Chirico

I rapporti umani che si trasformano, il mito dell’immortalità che si dissolve, le certezze che vengono aggredite, le ripercussioni future. Chiacchierata con un po’ di giornalisti

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Il caffè che non si prende più al bancone del bar, ristoranti e negozi in lockdown, il saluto distante, il bacio negato, l’abbraccio desiderato… Quando il virus, presto o tardi, sarà debellato, rimarremo noi, gli italiani del giorno dopo. “Trascorsi cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese, il mio cuore finalmente si è placato. E io ho scoperto, con mia grande gioia, che è la vita, e non la morte, a non avere confini”, dice Florentino Ariza nel finale de “L’amore ai tempi del colera”. Giace sdraiato su un letto, accanto all’amata, in crociera sul battello fluviale che risale il fiume Magdalena mentre attorno la foresta è disboscata, i villaggi infestati dal colera. Il coronavirus, sbucato fuori da quei mercati cinesi dove pipistrelli e serpenti vengono macellati a cielo aperto, non è l’ebola né la peste, eppure ha “sigillato” prima il nord Italia e poi l’Italia intera, mutando, nel profondo, il nostro stile di vita: la socialità contratta, la mobilità ridotta, il generale rallentamento delle nostre esistenze. “Io resto a casa”, perché devo. Ne usciremo migliori, peggiori? Ne usciremo diversi. Il clima da isolamento coatto ci porta a “santificare” il tempo, come accade ogni venerdì, al tramonto del sole, secondo la tradizione dello Shabbat ebraico. E’ il nostro Settimo giorno che speriamo abbia fine il prima possibile.

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Restituire fiducia a chi la merita

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“Fin quando non tocca qualcuno che conosci e che risulta positivo o contagiato, il virus sembra una cosa astratta. Quando succede, ti accorgi che il contagio è vicino”. Francesco Merlo ha una persona amica che sta lottando in Lombardia contro il virus. “Io sono un meridionale, d’indole un po’ fatalista, non ho con la scienza un rapporto di totale affidamento illuminista – dice al Foglio una delle storiche firme di Repubblica – Tengo in enorme considerazione il ruolo degli scienziati: i tecnici vanno chiamati e ascoltati senza dimenticare che poi, in ultima analisi, spetta alla politica decidere. In Italia assistiamo da decenni al supplizio di una politica alla ricerca permanente di un supplente. Il virologo persegue un unico scopo: isolare il virus; non deve fare il ministro dell’Economia o del Turismo. Va perciò ascoltato lasciando che sia il politico a prendere le decisioni”. Come si è visto nel caso italiano, errori di comunicazione e azioni contraddittorie possono produrre giganteschi danni reputazionali per un paese. “La comunicazione, in generale, è stata gestita male. La trasparenza in sé è utile e pericolosa: il nome dei morti non viene diffuso per proteggere le rispettive famiglie, ci affidiamo perciò alle notizie che abbiamo, consapevoli di vivere in un paese dove la libertà di sapere è opportunamente coartata in nome del bene comune. Il virus però ha fatto anche dell’altro: ha patologizzato il sovranismo”. In che senso? “Il Covid-19 mette in crisi la cretinocrazia e richiama in primo piano la competenza. Non abbiamo bisogno di un uomo forte a cui conferire poteri: serve una persona competente che dica la verità. Serve equilibrio per restituire fiducia a chi la merita. La paura delle persone di fronte a una minaccia concreta per la salute fa sì che la testa torni a prevalere su pancia e istinto. Il virus patologizza il sovranismo perché ti chiude dentro le pareti di una stanza. Vince la falsa idea che esista soltanto un uomo identificato nei suoi confini, autarchico, ristretto in uno spazio delimitato. La verità è che il mondo impazzisce in certi momenti della storia. Guardavo le immagini di ciò che accade al confine greco-turco dove torme di profughi di guerra, con diritto d’asilo, si ritrovano come in trappola tra i turchi, da un lato, e i greci, dall’altro. E proprio i greci – gli europei – reagiscono sparando e manganellando. Questa è l’Europa cristiana?”. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha difeso la linea dura di Atene definendo la Grecia “scudo d’Europa”. “Mentre noi siamo atterriti dal coronavirus, migliaia di famiglie siriane, in fuga dalla guerra, vengono fermate con il filo spinato, i fucili puntati, la pioggia di lacrimogeni. E i vertici dell’Europa si mostrano compatti nell’elogio di chi protegge i confini con ogni mezzo e a qualunque costo”. Stride il silenzio delle anime belle. “In altri momenti le persone sensibili, io le chiamo così, avrebbero protestato a gran voce ma adesso sono distratte dalla paura per la propria salute e per quella dei propri affetti. Il resto passa in secondo piano”.

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L’Italia sembra diventata la Wuhan d’Europa. “In una situazione difficile come quella che attraversiamo, dobbiamo attenerci scrupolosamente alle direttive impartite senza trasformare il principio di precauzione in una autentica ossessione. C’è una certa psicosi, inevitabile, alimentata anche dalla imperizia della politica che si vestiva ora da operaio jungheriano, ora da milite della fatica. Matteo Salvini in divisa non è diverso dal premier che si presenta davanti alle telecamere nella sala bunker della Protezione civile”. L’Europa intanto si muove in ordine sparso. “L’Europa non c’è, ognuno fa quel che può. Gli eccessi andrebbero sempre evitati. Non oso immaginare che cosa accadrà quando il virus arriverà in mano ai sindacalisti: se lavori in un ufficio dove un collega ha un figlio o un parente sospetto, partirà l’embargo verso quel collega. I sindacalisti pretenderanno che tutti si sottopongano al tampone. E così ti sentirai processato per la sfortuna di avere un familiare malato”.

   

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Gli anziani sono le creature fragili di questa epidemia. “In realtà, sono i migliori in circolazione. Se vuoi ascoltare della buona musica, chi scegli se non Paolo Conte, Mina, Vasco Rossi, Ornella Vanoni? Se vuoi concederti un po’ di spensieratezza, a chi pensi se non a Renzo Arbore, Sofia Loren, Gianni Morandi, Roberto Benigni? La socialità degli over 60 è la più frizzante. Ma la ventilazione per un anziano può essere molto problematica, perciò è esposto a rischi maggiori. Se gli ospedali sono alle prese con la carenza di posti in rianimazione, una persona colpita da ictus rischia di non ricevere cure adeguate. E i medici, che stanno in contatto con i pazienti, sono chiamati a scegliere chi curare e chi no. Sono loro quelli in trincea: i medici, non i virologi”.

L’uomo non è più onnipotente

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Dalle parti di largo Fochetti, le riunioni di redazione si svolgono nella solita stanza ma la maggior parte dei giornalisti è in smart working. “Agli inviati nelle zone complicate – racconta al Foglio il direttore di Repubblica Carlo Verdelli – chiediamo di usare cautela, ma i giornali non si possono fare da casa con il telelavoro. Un quotidiano è come una nave: alcune manovre puoi effettuarle solo stando a bordo”. Lei come affronta la crisi? “Da cittadino sono preoccupato perché vedo che il quadro generale peggiora, l’Oms ha dichiarato la pandemia che si espande a macchia d’olio in tutto il mondo. Come direttore, non ho il minimo dubbio su che cosa debba fare un giornale: il nostro dovere non è quello di tranquillizzare le persone ma di fotografare la realtà per quello che osserviamo. Il paese è entrato in una terra incognita: non sappiamo quanto durerà, se, come e quando ne usciremo. Mai come in questi momenti servono pazienza e ragionevolezza”. Il virus ci tiene intrappolati in spazi claustrofobici dove manca il respiro. “Siamo entrati in una quarantena nazionale. Questa malattia tende a sigillare i confini degli stati e a creare zone blindate all’interno di ogni singolo stato, ma la chiusura è un riflesso ideologico totalmente antistorico. Rispetto alla comparsa del virus, esiste un prima e un dopo a livello mondiale: fino a quel momento, il mondo intero sembrava orientato verso traiettorie innovative come l’intelligenza artificiale, la conquista di Marte, la cybersecurity. Poi, di colpo, un virus mellifluo e apparentemente innocuo diventa il sassolino che inceppa la grandiosa macchina del progresso, e l’uomo non è più onnipotente, non è più il padrone assoluto della rivoluzione digitale e tecnologica. Il virus è subdolo perché sappiamo ben poco di lui: ha un basso tasso di letalità, non devasta l’organismo, nella maggior parte dei casi procura sintomi lievi o addirittura nulli, le vittime sono perlopiù anziani già affetti da altre patologie. Eppure questo esserino primordiale sta paralizzando il mondo”.

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Negli Usa, dove diversi stati hanno dichiarato l’emergenza, Donald Trump ha firmato un pacchetto da 8,3 miliardi di dollari per affrontare la crisi. E ha bloccato per primo i voli dall’Europa. “Oltreoceano le conseguenze del contagio possono essere devastanti. Com’è noto, il virus si diffonde rapidamente e il servizio sanitario americano è molto diverso da quello italiano dove chiunque può avere accesso alle cure, anche se sprovvisto di un’assicurazione. Se i focolai divampano, come si comporterà un presidente in corsa per il secondo mandato?”. L’amministrazione Trump sta valutando un piano straordinario per consentire a ospedali e medici di curare gratuitamente le persone senza assicurazione, come accade per i disastri ambientali. “Trump potrebbe vedersi costretto a ripristinare l’Obamacare che ha contribuito a smantellare, penalizzando gli interessi delle lobby delle compagnie assicurative che da sempre lo sostengono. Di certo, sanità e contenimento del virus entrano prepotentemente nel dibattito per la corsa alla Casa Bianca”. Lei ricorda choc paragonabili in tempi recenti? “Nessuno di simili proporzioni. Forse l’attacco alle Torri gemelle pietrificò il mondo con la stessa forza travolgente ma con una differenza fondamentale: all’indomani dell’11 settembre, il nemico da fronteggiare aveva una identità nota, perlomeno nei suoi tratti distintivi. Nel caso del coronavirus invece ci muoviamo in una terra completamente incognita, ignari di quel che ci aspetta domani”.

Si riscopre un tempo lento, dilatato

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La redazione di via Solferino è un punto d’osservazione speciale su Milano, la capitale morale d’Italia letteralmente “locked down”. “Quello che appariva inimmaginabile fino a qualche giorno fa è accaduto – dice al Foglio il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana – Al giornale cerchiamo di evitare l’affollamento, abbiamo ovviamente annullato gli eventi pubblici e gli accessi esterni. Milano non sembra più lei: una città abituata all’effervescenza sociale e culturale adesso appare come sospesa. Non si vedono i turisti, non si vedono i milanesi, che evitano i luoghi affollati e gli assembramenti umani, e i ristoranti sono chiusi. E’ vietato entrare o uscire dalla ‘zona di sicurezza’, se non in casi eccezionali e ‘comprovati’. Si vedono i militari per le strade, ed è nostro dovere rispettare pedissequamente le prescrizioni impartite. La città ha una straordinaria voglia di ripartire, siamo tutti in attesa del primo segnale positivo. La preparazione del giorno dopo è già cominciata. La rassegnazione non fa parte del dna milanese. Ciò non toglie che il virus abbia già cambiato profondamente i piccoli gesti quotidiani. Questo pezzo d’Italia, abituato a trainare e a inseguire obiettivi sempre nuovi, riscopre un tempo lento, dilatato. A voler trovare un lato positivo, si può dire che scopriamo, per esempio, che numerosi spostamenti che puntellavano la nostra routine si possono evitare grazie alle moderne tecnologie digitali. Le riunioni da remoto riguardano anche tribunali e procure: se si cogliesse questa opportunità per imprimere una svolta nell’organizzazione della macchina amministrativa, sarebbe positivo”.

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Il virus disvela anche la fragilità umana davanti alla malattia. “Il mondo globalizzato è intessuto di connessioni: i virus viaggiano senza barriere. Il confronto con le epidemie del passato, ben più letali di questa, non regge perché all’epoca l’aspettativa di vita era sensibilmente inferiore. Nella società contemporanea le persone godono, in generale, di ottima salute grazie ai progressi della medicina e del servizio sanitario: il virus mette in discussione questa certezza. Se in passato la morte era compagna fissa dell’esistenza, oggi si fa fatica a elaborare l’idea stessa di non esserci più. Ci credevamo invincibili ma non lo siamo”. Agli occhi del mondo, gli italiani sembrano i cinesi d’Europa. “L’interrogativo su cui riflettere è se abbiamo lanciato un allarme eccessivo o siamo stati i più seri di tutti. Probabilmente, in altri paesi, molte morti per polmoniti gravi sono state trattate e classificate come decessi generici, pur non essendo slegate dal virus. Nella prima fase della gestione dell’emergenza in Italia abbiamo assistito, senza dubbio, a momenti di confusione, a decisioni non coordinate che hanno diffuso la sensazione di non saper fronteggiare la situazione in modo adeguato. Adesso il clima è cambiato perché la situazione è precipitata ovunque, si discute addirittura se non sia stato un cittadino tedesco il primo europeo ad aver contratto l’infezione e ad averla trasmessa. Tutti i paesi stanno mettendo in campo misure di contenimento”. Quando l’Italia aveva già effettuato 21 mila tamponi, Germania e Francia erano sotto i mille. “Ciò ha influito nella percezione generale. Non so se siamo stati più sfortunati o più trasparenti realizzando uno screening così esteso, senza nascondere le morti sospette”.

 

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Il contagio economico rischia di essere più letale del virus? “I danni per la nostra economia, orientata verso le esportazioni, saranno notevoli. A Milano il Salone del mobile è stato rimandato a giugno, come ogni altro evento e fiera. Viviamo in uno stato innaturale delle cose”. A livello europeo c’è chi sfrutta le difficoltà italiane per porre vincoli e divieti al nostro export agroalimentare: la richiesta di certificazioni virus-free, le fake news su mozzarelle e pizze contaminate. “Da convinto europeista, devo riconoscere che l’Europa come comunità ha dato una pessima prova in questo frangente, non c’è stato alcun segno concreto di solidarietà. L’adozione di misure comuni di contenimento avrebbe garantito uniformità di comportamenti evitando che alcuni paesi fossero più esposti di altri. Dobbiamo prendere atto che quella attuale è l’Europa degli stati dove ognuno cerca di far valere i propri interessi anche approfittando delle avversità altrui. Nelle prossime settimane, superata l’emergenza, bisognerà mettere in piedi una massiccia campagna di comunicazione per rilanciare l’immagine di un paese che funziona”. Oltreoceano il virus avrà ricadute nella corsa per la Casa Bianca? “Molto dipenderà dalla intensità del contagio. Sulle prime il presidente Trump ha affrontato la questione con superficialità, l’aveva sottovalutata, invece il virus va preso sul serio. In un sistema dove, in assenza di assicurazione sanitaria, è difficile avere accesso alle cure, va scongiurato il rischio che una porzione della popolazione rimanga tagliata fuori”.

Piegarsi sul solco della vita dei figli

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Restando dalle parti di via Solferino, Aldo Cazzullo, scrittore e firma del Corriere, ci spiega che grazie alla vita in quarantena si compie una sorta di “igiene” del nostro tempo: “Ci rendiamo conto, all’improvviso, che almeno la metà delle cose che facciamo sono letteralmente inutili. Vediamo molte persone che faremmo volentieri a meno di vedere. Sprechiamo una montagna di tempo”. La vita a un metro come viatico per la “santificazione” del tempo. “E’ il bene più prezioso che abbiamo: dovremmo imparare a concederlo solo a chi lo merita davvero. Rallentare il ritmo non è per forza negativo, mi preoccupano di più le conseguenze per l’economia e per i posti di lavoro che già scarseggiano nel nostro paese. Un cambio di abitudini temporaneo, finalizzato a contenere la propagazione del virus, non è di per sé scandaloso. Del resto, a infettarsi più degli altri sono le professioni che comportano una dose di socialità: giornalisti, medici, infermieri. Se c’è una cosa bella del nostro mestiere, è vivere la vita degli altri. Rallentare il ritmo può fare bene”. Per chi è workaholic, non è semplice. “Anche io sono workaholic, anche a me questa incertezza genera un filo di ansia, ma dobbiamo vincerla. I francesi usano l’espressione ‘prendre du recul’, nel senso di prendere distanza da noi stessi, dalle nostre abitudini, dai nostri ritmi frenetici. Ritagliamoci del tempo per leggere un libro, per ascoltare della buona musica. Cambia anche la dimensione familiare perché ora i figli restano a casa, e noi genitori facciamo fatica a comunicare con loro. Pieghiamoci sul solco delle loro vite: parliamoci, ascoltiamoci, riscopriamo i rapporti umani. Ho trascorso qualche giorno a Londra, quando era possibile, e non mi sono sentito trattato come un untore. Gli italiani non sono diventati gli untori agli occhi del mondo, non scherziamo”.

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Se un presidente del Consiglio punta il dito, pubblicamente, contro un ospedale locale, non c’è da stupirsi che la Cnn titoli sull’“ammissione” del governo italiano. “A Codogno sono stati commessi evidenti errori ma è chiaro che, se lo dice il premier, all’estero si trasmette l’idea di un sistema sanitario non all’altezza, il che per giunta è falso: i nostri medici e infermieri stanno compiendo sforzi eroici e non se lo meritano”. In casa la tv tiene compagnia ma adesso negli studi il pubblico è sparito. “Per alcuni programmi come la Corrida è una mancanza insuperabile. Per format diversi invece consiglierei di copiare Antonio Ricci: la risatina registrata può essere un buon sostituto. A casa, poi, si possono improvvisare molti giochi divertenti, per esempio si può replicare il ‘pressure test’ delle prime edizioni di Masterchef dove i concorrenti bendati erano chiamati a riconoscere gli ingredienti principali dei piatti serviti in cucina. I nonni, rispettando il fatidico metro di distanza, possono raccontare ai nipoti mille storie: i giovani oggi non sanno chi siano Gino Bartali o Anna Magnani, c’è un intero patrimonio nazionale da recuperare. In Rete il passato non esiste, il tempo è piatto, e i nonni potrebbero approfittare della convivenza ‘forzata’ per guarire i bambini da questa malia, per rompere lo specchio di Narciso e infondere loro un po’ di profondità. Del resto, il virus non è la Prima guerra mondiale: gli italiani hanno superato prove ben più dure”. Lo spirito patriottico che emerge spesso nei suoi libri sembra più forte nella percezione estera dell’Italia che non in quella nazionale. “E’ vero, ma io resto convinto che noi italiani siamo più legati all’Italia di quello che amiamo riconoscere. Ci piace talvolta parlar male del nostro paese ma se poi uno straniero osa criticare la patria italiana gli rispondiamo a muso duro. Perché l’Italia è come la mamma: la possiamo criticare soltanto noi”.

Coordinare risorse e interventi nell’Ue

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Secondo il direttore della Stampa Maurizio Molinari, “le misure adottate in Italia lasciano intendere che stiamo passando dal contenimento dei focolai alla gestione di una pandemia, dichiarata ormai anche dall’Oms. L’intento è avere comportamenti individuali che limitino al massimo i contagi e dunque, in percentuale, i ricoveri per non esporre le strutture sanitarie al rischio di seria crisi. Davanti a tale scenario è necessario che tutti i paesi europei si diano un comune spazio di azione e coordinino risorse e interventi perché quanto avviene in un paese avviene in tutta l’Ue. Il virus si sposta con gli individui, non conosce frontiere e l’Ue è un unico spazio umano”. Il Covid-19, come la Sars, proviene dalla Cina e dal salto di specie di un virus animale. L’Oms potrebbe promuovere una campagna per la chiusura dei wet market cinesi? “Per Pechino la sfida è lo sviluppo delle campagne. Le abitudini alimentari delle campagne, frutto di tradizioni millenarie, non sono compatibili con il fatto di essere protagonisti, se non leader, della globalizzazione. E’ un tema che tocca al cuore la necessità di modernizzare a fondo l’entroterra cinese dove vive la maggioranza della popolazione”. Trump ha detto che “contro il coronavirus non serve il panico”. L’emergenza avrà ricadute sulle elezioni americane? “Il virus non conosce frontiere. E’ presto per valutarne gli impatti politici in singoli paesi. Più in generale, però, è possibile affermare che gli effetti economici peseranno specialmente sul ceto medio, quello che più di ogni altro subisce l’impatto delle diseguaglianze in occidente, e ciò potrà portare al moltiplicarsi di fenomeni di protesta politica e sociale di qualsiasi colore ed estrazione”.

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Nessuno di noi sa bene quando finirà

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Bianca Berlinguer, che ogni mercoledì racconta l’attualità su RaiTre, ci racconta che in questo periodo di quarantena nazionale “Carta bianca” non ha più il pubblico in studio: “Puntiamo il più possibile sui collegamenti esterni, in streaming e via Skype: il nostro modo di lavorare è cambiato, al pari del nostro stile di vita. Questo virus ci coglie alla sprovvista e ci getta in un profondo stato di incertezza: nessuno di noi sa bene che cosa sia e quando finirà. Io cerco di attenermi scrupolosamente alle norme in vigore, sebbene siano mutate a più riprese nel giro di pochi giorni; fino a quando si poteva, cercavo almeno di uscire con mia figlia per mangiare una pizza mentre cinema e teatro li frequento, d’abitudine, assai poco avendo orari di lavoro incompatibili con gli spettacoli serali; fino a quando è stato consentito, ho proseguito con la palestra. La chiusura di scuole e università, l’obbligo di distanza di un metro, l’amuchina per detergere continuamente le mani: la vita quotidiana è già pesantemente condizionata, e la vicenda non si risolverà in un paio di settimane”. Trascorriamo più tempo in famiglia. “Passo più tempo in casa e per mia figlia, che ha ventuno anni, è un po’ difficile: per i ragazzi la questione è complicata perché tendono a ribellarsi alle regole. Adesso anche loro stanno capendo che la situazione è grave e che dobbiamo tutti quanti fare dei sacrifici per uscirne quanto prima”. Per le famiglie italiane i figli in casa sono un grande stravolgimento. “Mi rendo conto che per milioni di italiani è un bel guaio da gestire, non tutti hanno la babysitter e spesso si fa leva sui nonni che però in questa vicenda sono le figure deboli. Serve responsabilità individuale, altrimenti impiegheremo il doppio del tempo per superare l’emergenza. Non può accadere che due ottantenni vengano ricoverati alle Molinette senza comunicare immediatamente di aver incontrato il figlio che lavora a Lodi. Se ciascuno di noi non si responsabilizza pienamente, se non avverte il dovere civico di non far correre rischi né a sé né agli altri, il sistema sanitario nazionale salta: le regioni più coinvolte (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) sono eccellenze sanitarie, eppure la pressione è tale che una persona colpita da un infarto o da un ictus rischia di non poter contare su un posto in rianimazione”.

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Sanità e ricerca sono sempre le cenerentole di ogni manovra finanziaria. “Spero che questa vicenda ci aiuti a rivalutare l’importanza di settori vitali per lo sviluppo di un paese. Siamo il secondo paese al mondo per numero di contagiati, il più alto dopo la Cina. Ricercatori e scienziati italiani stanno dando prova di una straordinaria competenza ma da diversi anni l’Italia mostra una scarsa capacità di valorizzare e trattenere i suoi talenti”. La solidarietà europea è stata assente? “Ancora una volta l’Europa non è parsa in grado di coordinare iniziative economiche e politiche utili per la collettività. L’Ue si è mossa con ritardo e in ordine sparso: all’inizio l’Italia, il paese più colpito, è sembrata abbandonata a se stessa, poi fortunatamente l’approccio è cambiato e si è manifestata una maggiore solidarietà europea accordando, per esempio, più flessibilità finanziaria”.

Non lasciare gli anziani in solitudine

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Per il direttore del Messaggero Virman Cusenza, che vive questi giorni complicati a Roma, una città divenuta spettrale come Milano, “va riscritto un codice di galateo igienico e affettivo. Non è un passaggio nuovo nella storia dell’umanità, tra il 1918 e il 1920 l’influenza spagnola fece oltre cinquanta milioni di morti… Le nuove regole di vita, che toccano manifestazioni di affetto e amicizia, possono portare a ripensare abitudini scontate; se vissute con intelligenza, ci aiutano a restituire valore a gesti apparentemente banali. L’abbraccio, la stretta di mano, il bacio: sono momenti clou di una interazione che vuole esprimere la nostra disposizione d’animo verso gli altri”. Il ministro dell’Interno tedesco Seehofer ha respinto la mano tesa della cancelliera Merkel, il vicepresidente americano Pence ha sostituito il tradizionale handshake con un alternativo colpo di gomito, il premier israeliano Netanyahu si è congedato dalla stampa con il commiato indiano “namasté” e persino Magufuli, capo di governo della Tanzania, ha adottato un originale saluto con i piedi per i suoi colloqui con gli esponenti dell’opposizione. “L’obbligo di ridurre il contatto umano è una privazione, a volte persino dolorosa, ma ci induce a ripensare noi stessi e a ristabilire una sorta di gerarchia valoriale”. Con il lockdown totale del paese, gli effetti sulla vita familiare sono tangibili. “Servono misure efficaci per sostenere le famiglie che, da un giorno all’altro, si ritrovano con i figli a casa. Entrambi i genitori, non solo le mamme, vanno aiutati con permessi speciali e contributi economici per alleviare il problema, non tutti possono permettersi una babysitter. Esiste poi un fardello educativo che coinvolge gli studenti: con una misura prolungata nel tempo ed estesa all’intero territorio nazionale, c’è il rischio che gli studenti scontino un deficit di preparazione. Non possiamo illuderci che le lezioni a distanza siano un valido sostituto dell’apprendimento diretto. Bisogna responsabilizzare i ragazzi perché, se non vanno a scuola, non devono neanche assembrarsi in strada: devono stare a casa”.

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Siamo alla psicosi collettiva? “Serve equilibrio tra la sicurezza personale e il rispetto dell’incolumità altrui, che vale quanto la nostra. In redazione abbiamo adottato forme di smart working e siamo pronti, ove necessario, a realizzare il giornale da remoto. Vanno attuate forme di autocontrollo graduate sulla sensibilità di ciascuno. C’è chi fa tabula rasa del precedente stile di vita e chi, essendo meno vittima dell’ansia, accetta di correre un rischio minimo calcolato. In questa sfera non si può interferire: su regole di vita basilari non si può pretendere l’annullamento della vita stessa”. Gli anziani sono davvero discriminati in quanto vittime fragili di questa epidemia? “Il decesso di una persona avanti negli anni non può essere giudicato alla stregua di un fatto ineluttabile. Oggigiorno l’aspettativa di vita si è innalzata, secondo gli esperti la terza età inizia addirittura a settantacinque anni. Il sacrificio di un anziano non può essere trattato come un’estrema vicenda consolatoria: Enea fugge da Troia con il padre Anchise in spalla. L’anziano è una ricchezza della società, un concentrato di memoria. Gli anziani rischiano di essere la componente della popolazione più vulnerabile: bisogna non esporli al rischio e accudirli, non lasciarli in solitudine o in stato di abbandono in un appartamento o in una casa di riposo. Gli italiani sono chiamati a una grande prova”.

I figli si ribellano alle regole

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A sentire il direttore del Tempo Franco Bechis, “una città solitamente frenetica, in movimento, come New York, appare adesso svuotata, sospesa. Sulla Quinta strada non ci sono più turisti, locali e negozi sono chiusi, nulla si muove. Discuto con i miei figli che si ribellano alle regole e pretendono di poter continuare la loro vita come se nulla fosse. L’evoluzione del contagio ci obbliga a mutare le nostre abitudini, un fatto doveroso per tutelare la salute. Il governo insiste su un punto: il picco di contagi va evitato perché produrrebbe un carico insostenibile per il nostro sistema sanitario. Se mancano i posti in terapia intensiva, come purtroppo sta accadendo in alcuni ospedali, i medici si trovano a dover scegliere chi salvare e chi no”. Abbiamo assistito all’Angelus domenicale trasmesso sui maxischermi di piazza San Pietro mentre Papa Francesco ha detto di sentirsi “ingabbiato”. “Il Pontefice è una persona molto esposta, ogni mercoledì stringe la mano a una folla oceanica. Giusto fare attenzione. Peraltro, il Papa ha un solo polmone, è un soggetto vulnerabile e non può sottovalutare il rischio”.

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Tra le mura domestiche la tv tiene compagnia, anche se adesso i programmi devono fare a meno del pubblico. “Il virus ci porta a riscoprire una dimensione familiare in cui la televisione è un alleato insostituibile. Pochi giorni fa, su La7 ho partecipato a una trasmissione televisiva con una giornalista francese che elogiava il presidente Macron per il fatto di essersi recato negli ospedali transalpini dando la mano ai pazienti. All’indomani, il governo francese ha vietato le strette di mano. La verità è che regna una confusione generalizzata, in Francia come in Germania. L’Europa pare priva di leadership politiche in grado di assumere decisioni. E mentre il ‘paziente uno’ italiano, opportunamente identificato, si è mosso come una trottola raggiungendo una vasta platea di persone nel giro di pochi giorni, i tedeschi sono abituati, in generale, a una socialità più ristretta, caratterizzata da uscite e incontri rarefatti”. Al calo del turismo si unisce il crollo del made in Italy. “Le conseguenze per città d’arte come Roma, Firenze e Venezia saranno disastrose. Dobbiamo tuttavia ricordare che al danno economico si può sempre porre rimedio, la vita vale più di tutto”.

La fiducia nelle istituzioni

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Per l’eclettico direttore di Vanity Fair Simone Marchetti, brianzolo con casa a Milano, “il coronavirus non è una semplice influenza né l’ebola, ma non va sottovalutato. Le misure, adottate a Milano alcune settimane or sono, sono state estese all’intero territorio nazionale creando una situazione mai vista prima. Un inedito assoluto. Forse qui in Lombardia abbiamo avuto soltanto la fortuna o la sfortuna di vivere per primi le conseguenze del contagio. Quando ci siamo confrontati con il ceo italiano di Condé Nast, Fedele Usai, abbiamo deciso di chiudere la redazione e di prevedere una modalità generalizzata di smart working in segno di rispetto per il nostro personale dal momento che alcune persone usano i mezzi pubblici, altre si ritrovano con i figli in casa e magari non possono contare su una babysitter. Usai si è confermato un manager illuminato e previdente, la sua decisione ha preceduto l’ordinanza del comune”. In un numero di Vanity Fair andato in edicola pochi giorni fa, distribuito gratuitamente nelle edicole lombarde, è stata celebrata l’eccezionalità meneghina con le sue personalità eccellenti. “Da Miuccia Prada a Giorgio Armani, da Liliana Segre al sindaco Beppe Sala fino alla infermiera sconosciuta che lavora in trincea, a stretto contatto con i pazienti. Abbiamo voluto celebrare una città che insegna disciplina e senso del dovere. Non è vero che Milano non si ferma: Milano si ferma per ripartire più forte di prima”. Lei come sta affrontando la quarantena coatta? “Con razionalità. Affronto i sacrifici cercando di rimanere lucido. In situazioni come questa, dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni. Siamo obbligati a limitare gli spostamenti, la socialità: non è facile ma è necessario. Io non so se ne trarremo una lezione per il futuro, non ho la supponenza di saperlo, ma so che l’emergenza in corso ci trasmette il senso del sacrificio, per me un atto di civiltà”.

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Dopo aver partecipato alla Milano Fashion Week, Anna Wintour si è messa in isolamento domiciliare volontario. “In realtà, è una direttiva impartita da Condé Nast a livello globale per tutelare la salute di chi lavora nel gruppo. Il settore della moda risentirà della crisi pandemica, è presto per quantificare i danni economici, tuttavia non dobbiamo demoralizzarci: Dolce e Gabbana, per esempio, raccontano che, a causa del contagio, stanno sperimentando strategie di comunicazione e marketing innovative, incentrate su video e format online, per raggiungere il pubblico di potenziali clienti bypassando la clientela delle boutique. La moda è abituata a cambiare continuamente: prima accadeva ogni sei mesi, adesso ogni trenta giorni. Bisogna guardare in faccia i cambiamenti con umiltà, solo così ci adeguiamo al nuovo corso, senza inutili perdite di tempo. In questi giorni, impariamo ad esempio che si possono raggiungere obiettivi identici usando meno aerei e automobili, con un minore impatto ambientale. Sono sicuro che saremo capaci di reinventarci con il solito ingegno italico”. Dopo i defilé di Milano a porte chiuse, diversi gruppi hanno cancellato le sfilate delle collezioni cruise previste a maggio. “Abbiamo davanti a noi una enorme incognita. Armani e Gucci hanno sospeso gli appuntamenti di primavera: è saltata la serata di San Francisco con la mente creativa di Gucci, Alessandro Michele; Versace ha cancellato New York; Armani il super evento di Dubai. Ma i rinvii non riguardano solo la moda: l’uscita del nuovo film di James Bond è rimandata a novembre, il Salone dell’auto di Ginevra è rinviato, la fiera tecnologica di Barcellona pure… L’impatto dell’emergenza sanitaria è globale”.

 

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Quando finirà? “Io sono d’indole una persona ottimista e, nel contempo, realista. Chi svolge il nostro mestiere ha un dovere in più: noi, da diverse settimane, abbiamo scelto di usare toni più pacati e sobri, selezioniamo foto meno catastrofiche, cerchiamo di informare senza eccessi. Anche questo è senso civico”. Per una generazione come la nostra, che insegue una illusoria immortalità, non è facile far pace con l’idea di una esistenza caduca, precaria. “Nessuno di noi è immortale: il botox ti ripara da qualche ruga ma non dalla ineluttabilità della morte. Donne come Segre e Prada ricordano la Milano sotto i bombardamenti della guerra: attraversiamo un momento duro ma non il peggiore della nostra storia. Il sistema sanitario italiano è invidiato in tutto il mondo. Piero Angela, che è un’autorità in materia, ha detto che, paradossalmente, oggi il nostro paese è uno dei posti più sicuri a livello globale. Non dobbiamo farci prendere dal panico”.

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