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Le identità in tempi di pandemia

Giuliano Ferrara

Il sole, i balconi, il coprifuoco, i popoli a cuccia. I caratteri svelati dal virus

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Degli estremi della civilizzazione fa parte la paura intesa come cura, protezione, solidarietà, e nelle civilizzazioni più radicate i vecchi cominciano a essere tantini, il de senectute passa sulla scala diagrammatico-scientifica dei demografi, i giovani scarseggiano e tendono a comportarsi da vecchietti, legati a casa e famiglia e balcone, lo si vede in tempi di quarantena e di vecchie, care canzoni. Non che i Navigli fossero spopolati, alla vigilia del fermo generale, e molti di noi hanno continuato a passeggiare, fare la spesa, prendere il bus, stringere mani, fino all’estremo limite. Ma dopo che un Bisconte o un Sánchez hanno parlato e decretato, i superlatinos dell’Europa meridionale, non importa adesso stabilire se con ritardo o no, si sono messi a cuccia come cagnolini infreddoliti, o se volete in riga come funzionari prussiani, da Roma a Madrid da Barcellona a Milano.

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Degli estremi della civilizzazione fa parte la paura intesa come cura, protezione, solidarietà, e nelle civilizzazioni più radicate i vecchi cominciano a essere tantini, il de senectute passa sulla scala diagrammatico-scientifica dei demografi, i giovani scarseggiano e tendono a comportarsi da vecchietti, legati a casa e famiglia e balcone, lo si vede in tempi di quarantena e di vecchie, care canzoni. Non che i Navigli fossero spopolati, alla vigilia del fermo generale, e molti di noi hanno continuato a passeggiare, fare la spesa, prendere il bus, stringere mani, fino all’estremo limite. Ma dopo che un Bisconte o un Sánchez hanno parlato e decretato, i superlatinos dell’Europa meridionale, non importa adesso stabilire se con ritardo o no, si sono messi a cuccia come cagnolini infreddoliti, o se volete in riga come funzionari prussiani, da Roma a Madrid da Barcellona a Milano.

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Per domare il libertarismo barbarico francese, che a me ideologicamente fa una certa simpatia giacobina, Macron e Philippe se la devono vedere con l’insouciance, un misto di noncuranza e di temerarietà, delle generazioni più giovani. Li abbiamo visti tutti imbrancati dopo le prime misure di contenimento e il primo vero allarme, contraddetto dalle elezioni municipali secondo la norma, sui canali e lungo la Senna, intervistati in piena bise, tra gli abbracci e l’effetto gregge, carine e anche belle, provocanti, e barbuti. E la truppa fleabag che si raduna ai concerti massicci in Inghilterra, dove gli scienziati e i ruler hanno scoperto che è meglio uno stadio all’aperto di un pub al chiuso, che dire di quell’adolescenza del mondo casinara e iattante, pazienza per gli zii e per i nonni, ché tanto loro sì che il governo li invita disciplinatamente a stare a casa dove le pecorelle del gregge sono pronte a raggiungerli, eventualmente con tanto di corona.

 

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Sono da rispettare le identità, anche in tempi di pandemia. Ciascuno reagisce a modo suo, le comunità si riformano e si dislocano secondo linee-guida che non potrebbero essere più diverse, e alla fine vedrete che alla chutzpa, alla faccia tosta, succederà il lockdown o lo shutdown, il confinement, o addirittura il coprifuoco, come avviene già a New York e in molti stati americani, visto che è abbastanza intuitiva la mossa di sottrarsi al virus per rallentarne il corso e impedire il collasso degli ospedali, senza che alcuno possa di per sé oggi stabilire quale sia la cura di lungo termine e quali i costi dell’una o dell’altra strategia.

 

Lombardi e italiani alla prima pandemia, con tutto il carico litigioso e verdiano del loro spirito melodrammatico, hanno indicato la strada tra mille sofferenze, difficoltà, imprevisti, inseguendo la morbilità casuale nella sua movida e alla fine cercando di isolare l’animaletto stronzo che ci isola.

 

Poi c’è il problema del sole. Una volta a Berlino per imparare il tedesco, in casa di gente di Schöneberg piena di entusiasmo e di malinconia insieme, ricordo la padrona che allo spuntare di un giallino di luce, al grido “die Sonne, die Sonne!”, prese una sedia e andò a mettersi a mezzo di un largo marciapiede, subito imitata dai vicini. E chi ha vissuto almeno una primavera parigina sa che il richiamo del sole, quando arriva tra le acque del fiume il suo riverbero maestoso o quando tramonta in linea perfetta con la strada alla fine del Boulevard Saint-Germain, al centro della carreggiata ma tardi, molto tardi, è pressappoco irresistibile. Noi, abituati, locupletati di luce e di luce impazziti come girasoli, possiamo relegarci a cantare dai balconi o nel pratino di casa, loro hanno dovuto per una volta ancora frodare un’ordinanza del governo in occasione di una soleggiata. Poi chissà, anche la musica dei concerti di massa si tacerà, e quante altre cose si taceranno, non le identità, ho il sospetto.

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