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Al tempo del covid il riscaldamento globale fa un altro effetto

Giuliano Ferrara

Il negazionista climatico non è cinico, ma la botta di freddo pandemico, e la voglia di avere caldo, per un attimo rimette un po’ di cose a posto

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Il negazionista climatico è affermazionista pandemico. Trova anzi quasi incredibile che il coronavirus non sia stato attribuito come conseguenza diretta al riscaldamento globale. Era il biglietto della lotteria apocalittica vincente, ma nessuno lo ha rivendicato. Nessuno può incassarlo. Quel biglietto non c’è. E se è bene ribellarsi ai governi e al governo del mondo quando ci vogliono convincere a desistere dallo sviluppo non compatibile (quale sviluppo mai lo è?), ora è bene obbedire ai governi che hanno cose più serie di cui occuparsi. Il mondo si riscalda, e questo è vero anche se non possiamo farci molto e l’ansia chiacchierina e trecciolina e la paura di volare in aereo per via delle emissioni e la bandiera della decrescita felice lasciano il passo agli aerei vuoti per via di certe goccioline che amano il freddo stagionale e speriamo temano il caldo stagionale, che tutti ci auguriamo notevole, tutti quelli che hanno la testa infestata di infettivologia, cioè tutti di questi tempi. Tra una inevitabile sudata e una evitabile polmonite da rianimazione, bè, sappiamo che cosa scegliere. Non è che il negazionista climatico sia cinico, ma certo che la botta di freddo pandemico da questo punto di vista, per quanto cattivo e non infantile, gli rimette le cose a posto.

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Il negazionista climatico è affermazionista pandemico. Trova anzi quasi incredibile che il coronavirus non sia stato attribuito come conseguenza diretta al riscaldamento globale. Era il biglietto della lotteria apocalittica vincente, ma nessuno lo ha rivendicato. Nessuno può incassarlo. Quel biglietto non c’è. E se è bene ribellarsi ai governi e al governo del mondo quando ci vogliono convincere a desistere dallo sviluppo non compatibile (quale sviluppo mai lo è?), ora è bene obbedire ai governi che hanno cose più serie di cui occuparsi. Il mondo si riscalda, e questo è vero anche se non possiamo farci molto e l’ansia chiacchierina e trecciolina e la paura di volare in aereo per via delle emissioni e la bandiera della decrescita felice lasciano il passo agli aerei vuoti per via di certe goccioline che amano il freddo stagionale e speriamo temano il caldo stagionale, che tutti ci auguriamo notevole, tutti quelli che hanno la testa infestata di infettivologia, cioè tutti di questi tempi. Tra una inevitabile sudata e una evitabile polmonite da rianimazione, bè, sappiamo che cosa scegliere. Non è che il negazionista climatico sia cinico, ma certo che la botta di freddo pandemico da questo punto di vista, per quanto cattivo e non infantile, gli rimette le cose a posto.

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A un costo troppo alto, sia chiaro, questo nemmeno il negazionista più superbo, più sicuro di sé e della sua percezione del reale, lo negherebbe mai. Trump, che è un cretino di immane successo, è negazionista due volte, il che appare francamente eccessivo e promette bene per il prossimo novembre elettorale. Comunque il tempo del corona-deal sostituisce, per adesso integralmente, i mille green-deal sparsi per il pianeta. Almeno come preoccupazione dominante. Al tempo della Sars c’erano il doppio dei voli aerei di questi tempi, ora si torna indietro e si dimezza, a quanto pare, ma nessuno ne resterà soddisfatto, nonostante la paura e la vergogna sparse a piene mani e la traversata atlantica in un vascello in carbonio effettuata da una fatina svedese alla quale abbiamo affidato, o meglio volevamo affidare, le sorti della terra che brucia. E i dati sulla riduzione delle emissioni sono di poco conforto, salvo che per alcuni scombiccherati che vogliono godersi la bella Firenze e la bella Venezia e la bella Roma in solitario, senza milioni di turisti portati dai peti dei jet.

  

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In moltissimi ci domandiamo: quando arriva il caldo? Non è detto che ci liberi dal virus, ma forse lo potrebbe rallentare. E potrebbe aiutare l’economia a riprendersi, con l’aiuto eventuale di una ripresa dello smog sui cieli cinesi, che sono così disciplinati e irregimentati. Comunque il climatologo è démodé, e il faut faire avec, bisogna starci. In un certo senso, però, sarebbe meglio continuare a discutere rigorosamente del nulla climatico (il riscaldamento c’è, ma dipende dal sole e dalla terra, non da chi abita quest’ultima senza davvero padroneggiarla) piuttosto che passare così rapidamente a paure fondate e rinvenibili a mezzo di microscopio. Anche in teologia, l’infinitamente piccolo ha qualcosa del divino, come sappiamo, e se questa paura dell’invisibile ci debba liberare dalla paura del mille volte visto, come l’incendio e lo scioglimento del ghiacciaio, sarebbe tra le poche conseguenze razionali di un’epoca intrisa di irrazionalismo. Il negazionista climatico, comunque, è una sua caratteristica famigerata, è uno che se ne lava le mani. Un tipo giusto, al momento.

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