Meghan Markle, il principe Harry e la regina Elisabetta (foto LaPresse)

Royal Precariato

Simonetta Sciandivasci

Anche Harry e Meghan hanno diritto a essere millennial come gli altri

Noam Chomsky lo aveva previsto. Meghan Markle scuoterà la monarchia inglese, aveva detto al Guardian quando tutto il mondo fibrillava per l’annuncio delle nozze tra lei e il principe Harry. “Lasciateli stare, si amano, fateli essere felici, mi piacciono i reali, in fondo sono esseri umani”, aveva detto Johnny Rotten, quello dei Sex Pistols, quelli di Anarchy in the UK e God Save the Queen She’s Not a Human Being, intuendo anche lui che l’Inghilterra aveva finalmente acquisito la sua Killer Queen, e guai a lasciarsela scappare una che sposa un principe che fa di lei una duchessa che fa di lui un freelance. Ieri, alla maniera dei Ferragnez e cioè con un proclama copiaincollato in didascalia a foto di giorni felici su Instagram, Harry e Meghan hanno annunciato al mondo la decisione di mettersi a lavorare, diventare “finanziariamente indipendenti”, fare i pendolari tra Canada e Regno Unito di modo da dare “un equilibrio geografico” al piccolo Archie, per adesso loro unicogenito, declassarsi rinunciando allo status di membri senior della Royal Family. Dalla monarchia la cui regina reigns but doesn’t rule, e alla quale i due ribelli non hanno mancato di sottolineare che non faranno mancare obbedienza e sostegno, è arrivata una risposta molto inglese, d’un inglesità degli ultimi tempi, ovverosia attendista: sarà complicato, ci vorrà tempo.

 

Chi siamo noi per dirvi che Babbo Natale non esiste e pure che di una cosuccia del genere è piuttosto difficile che a corte non fossero già tutti informati, forse persino prima del discorso di Natale della regina, quello durante il quale nessuno ha mancato di notare che tra le foto sulla scrivania di Her Majesty, i fuoriusciti non c’erano.

 

 

 

Elisabetta II ne ha attraversate di tempeste e non affogherà certo nella pozzanghera di capricci di un’americana che non ha mai voluto imparare a far bene un inchino, ritenendolo gesto di sottomissione, da grossolana star hollywoodiana quale non ha mai smesso di essere, neanche quando ha rinunciato a tutta la sua vita e alle sue cose di prima per sposare il bello dei Windsor. Ma chi affogherà e se – probabilmente nessuno – non è importante. Conta rendersi conto di come questo nostro tempo sia incolore o, se preferite, a tinta unita, e non tolleri le differenziazioni al punto che persino due reali vogliono fare il popolo e come il popolo soffrire, patire, occuparsi e disoccuparsi, pagare una bolletta in fila alle poste e richiedere un sussidio statale. 

 

Chiamalo, se vuoi, scossone, Termidoro, Royal Brexit, Reddito di Maestà, eccetera eccetera. Era nell’aria, e avremmo dovuto aspettarcelo, non solo perché viviamo di classismo non percepito ma reale, e consistente come in rari altri momenti della storia contemporanea, ma pure perché Markle di finte rivoluzioni come questa ne ha inanellate una dopo l’altra, e quest’ultima non è che l’epilogo perfetto, l’uscita definitiva, il grande deal. I mini deal precedenti sono stati tantissimi, laccatissimi, bellissimi da vedere.

 

La californiana che mezzo mondo occidentale ha visto fare sesso tra i fascicoli di uno studio legale si fidanza con il principe più appetibile della terra e dice “la mia uniforme sono gli infradito sugli shorts”. L’americana che sa, meglio di molti suoi connazionali, che i tempi dell’Impero britannico sono finiti, proprio come i soldi e i Churchill, e che tutto è cambiato, cioè peggiorato, e per scandalizzare un inglese ci vuole un europeo europeista, mica una statunitense, e allora via, libera linguaccia in libero braccetto (ve la ricordate quando tirò fuori la lingua in favore di mondovisione, quando non era neppure sposata, mentre entrava in chiesa per la messa di Natale?). La divorziata femminista figlia di ubriacone che sposa il principe a cui la morbosità ha ammazzato la mamma e va all’altare da sola, a braccetto col suo bouquet. Come abbiamo potuto credere che l’avrebbe finita lì? Come abbiamo potuto non pensare che fossero tutti mini deal, questi e quelli dopo, compresa la scelta di trascinare Harry e figlioletto a fare il Natale lontani dal Palazzo, compresa la beneficenza, la battaglia per ottenere il permesso a usare Instagram e usarlo soltanto per “condividere belle notizie”? Come abbiamo potuto credere che si sarebbe accontenta di finire subalterna alla cognata Kate Middleton e come lei a incarnare semplicemente la riuscita dei matrimoni misti, anziché spingersi oltre e dimostrare che il solo modo per rivitalizzare una monarchia non è mescolarla alla borghesia ma trasformarla in una borghesia?

 

 

 

Kate Middleton se ne resterà a corte, e sarà per sempre quella che non ha rinunciato a nessun privilegio – “giustamente o erroneamente, d’ora in poi a Kate spetterà  la parte della regina cattiva”, ha scritto Caitlin Flanagan dell’Atlantic. Meghan Markle invece sarà la principessa (va bene, duchessa) otto marzo. Quella che va in miniera, allo sportello, in cassa integrazione (come no, come no), quella che è come te e parla con te, e non si sente meglio. Quella che ha dato voce allo sguardo di Lady D, dicendo che la vita di corte la soffocava – “Qui esisto ma non vivo” – e non permettendo però di farsi strozzare oltre. Due anni scarsi e via, verso il precariato e oltre, verso la geografia dell’equilibrio, qualsiasi cosa significhi, verso il carnevale perpetuo della dialettica servo-padrone, verso il desiderio di essere come tutti, mantenendo quello che proprio non si può non mantenere del pacchetto di privilegi spettanti al marito per corredo cromosomico. E scusate se di Harry parliamo come di uno che, in tutto questo Termidoro o Royal Brexit eccetera eccetera, non ha avuto decisioni da prendere ma soltanto da ratificare, siete ben liberi che così non sia e che Babbo Natale esista e che se non fosse stato per il patriarcato Miriana Trevisan sarebbe ministra. Harry è mosso da una sola cosa: la precauzione. “Non voglio che succeda un’altra volta quello che è successo a mia madre”, ha detto. Tutto il resto, dall’ufficio di collocamento all’outing sulla sua depressione, porta la firma di quell’induzione a sputtanarsi che per un uomo innamorato può diventare il matrimonio.

 

Erano mesi che i Royal Millennial perdevano consensi, per via della loro ossessione per la privacy, e anche perché la sceneggiatura femminista pauperista di Meghan cominciava a inciampare in buchi narrativi che rischiavano di diventare crateri. Il copione della femminista che però rinuncia a tutto per maritarsi non poteva reggere a lungo, così come era destinato a indignare il popolo il contrasto tra il dire di poveri e sofferenze e pace nel mondo e contenimento dei costi e il fare le vacanze in barca e il farsi ristrutturare casa coi soldi delle tasse degli inglesi. E così, badabum, Megxit, ci togliamo il mantello, andiamo tra la perduta gente e facciamo la storia, o almeno la settimana corta; date a noi tutto il lavoro che non volete fare, siamo o non siamo due migranti; vi restituiremo un po’ del tempo che il capitalismo vi ha tolto, siamo o non siamo due autori in cerca di personaggi.