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Il divieto di sedersi a Trinità dei Monti fa più paura dell’architettura ostile

Simonetta Sciandivasci

La strana idea di decoro urbano che hanno al comune di Roma

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Roma. D’ora in poi sedersi su uno dei 135 gradini della scalinata di Trinità dei Monti, a piazza di Spagna, costerà dai 160 ai 250 euro. Di multa, naturalmente. E’ un prezzo onesto, in linea con gli standard della zona, dove riescono a farti pagare 30 euro una pizza che pizza non è (fetta di pane Carasau con dadolata di pomodori su mozzarella ipoallegernica). Prima di adesso, su quei gradini era vietato soltanto mangiare, per timore dei bivacchi, della sporcizia e di quel menadismo inconfondibile che prende i turisti non appena arrivano a Roma, e la cosa era difficilmente contestabile, diciamo anche comprensibile. Su quei gradini se ne sono viste tante, di belle e brutte, spettacoli godibilissimi tanto in piedi quanto da seduti, blitz animalisti, surrealisti, situazionisti, Valeria Marini che fa il bagno nella fontana della Barcaccia (luglio scorso), Bruce Springsteen che improvvisa un concerto acustico per i passanti (una notte di qualche anno fa), tramonti, concerti di viole e mondanità.

 

Vittorio Sgarbi ha definito il provvedimento “di stampo fascista”. Alcuni commercianti però sono rimasti contenti, specie quelli dei marchi chic, che in negozio hanno poltrone – tutti avremo una ragione in più per entrarci, sederci e riposare abbastanza da deciderci a comprare (dopo ore di cammino a Roma, il ristoro produce quell’esaltazione simile all’orgasmo, quella che ti fa sentire pronto a tutto, e infatti le donne che sanno davvero approfittarsi dei maschi è in quei pochi secondi di piacere che ottengono il sì alla festa di matrimonio con l’orchestra).

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Gianni Battistoni della boutique che porta il suo cognome ha detto alla Repubblica che “la scalinata è stata restituita alla città, la vedo già rinata”. E forse non sa che non ci si potrà sedere nessuno, neppure i romani, e che la scalinata, a esser puntigliosi, è un sito Unesco, quindi patrimonio dell’umanità, e se proprio la si deve restituire (ma cosa significa, impacchettarla e spedirla al mittente?) a qualcuno, quel qualcuno è il mondo. La Confesercenti, invece, teme che la piazza si svuoti, come se a piazza di Spagna il mondo abbia deciso finora di passarci per sedersi e non per guardare, guardarla, godersela, lasciarsi rapire, finanche rapinare (a volte proprio da certuni esercenti). Questo nuovo “vietato sedersi”, comunque, inedito non è, perché una parte del pensiero urbano e urbanistico occidentale è avviata da un pezzo verso l’abolizione della pausa, la monetizzazione del riposo, la prevenzione della seduta. Dalle stazioni sono sparite le panchine, a Termini ti siedi soltanto se hai un abbonamento da milionario a Trenitalia o Italo (non basta più essere possessori di biglietto per aver diritto a una seggiola mentre s’aspetta un Frecciarossa in ritardo). E dai parchi, anche: ogni anno spunta un qualche assessore che per evitare che i barboni ci vadano dentro a dormire, le panchine le fa divellere. Sedersi è diventata attività pericolosa, sovversiva, e le amministrazioni comunali combattono il degrado in favore del decoro eliminando panchine, e quando non basterà cosa faranno, ci vieteranno di avere un culo?

 

L’architettura ostile non è un’invenzione di Raggi e con l’ordinanza che vieta di sedersi a Trinità dei Monti non c’entra, ma entrambe le cose rispondono alla mania difensiva che è diventata priorità etica e sociale anche in cuori non sovranisti. L’architettura ostile è una progettazione urbanistica che mira a tenere sotto controllo lo spazio pubblico e rendere impraticabili comportamenti “antisociali” (bivaccare, giocare a pallone). L’esempio più classico di AO sono le panchine con bracci metallici nel mezzo, quello più assurdo i generatori di ronzii ad alta frequenza.

 

Come che sia, animo, signori, fintanto che a Trinità dei Monti si potrà passeggiare e farsi selfie in piedi (l’hanno specificato tutti i giornali: niente panico, non lascerete Instagram orfano), potremo ancora avere le nostre sere dei miracoli: Lucio Dalla cantava che “la gente corre nelle piazze per andare a vedere questa sera così dolce che si potrebbe bere da passare in centomila in uno stadio”. Passare, non sedersi. D’altronde, chi si ferma è perduto, stordito dai miasmi della monnezza.

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