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L'intervista

La scuola necessita di essere rivoluzionata. Ecco da dove partire

Mario Leone

I fatti di Abbiategrasso e la recente scomparsa di Denise Galatà rimettono il sistema scolastico al centro delle polemiche. Monica Elena Mincu, professoressa associata in Educazione comparata presso l’Ateneo di Torino, individua nell'università il punto di partenza per riformare l'istruzione

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La scuola è ritornata al centro delle cronache giornalistiche per i fatti di Abbiategrasso, i gravi ritardi sul Pnrr e un anno che si chiude accompagnato da problematiche che sembrano irrisolvibili. Mentre il ministro Valditara reintroduce i giochi della gioventù, la scuola è bloccata nelle sue solite dinamiche. Monica Elena Mincu, professoressa associata in Educazione comparata presso l’Università di Torino, da anni studia il sistema scolastico italiano e internazionale. “La scuola la vivo come mamma di due figli e come ricercatrice. La vivo come cittadina italiana ma anche come straniera, viste le mie origini. Questo mi permette di avere un quadro chiaro e completo di tutta la situazione”. Quella italiana non è delle migliori. Si faceva cenno ai fatti di Abbiategrasso e a questo continuo svilimento della figura del docente. Gli incidenti durante l’alternanza scuola-lavoro o la recente scomparsa di Denise Galatà, diciannovenne morta mentre faceva rafting in gita scolastica. L’allarme dei presidi sui tempi e sulla gestione dei progetti legati al Pnrr è solo l’ultimo problema e forse nemmeno il più grave. “La questione di fondo – continua Mincu – è la mancanza, negli ultimi trent’anni, di una politica scolastica strutturale. Si parla di insegnanti in maniera riduttiva, facendo cadere su di loro responsabilità che non hanno. I docenti sono i terminali di scelte prese da altri. Una governance datata che condiziona processi e relazioni”. Nel ragionamento della professoressa si introduce una correlazione tra la violenza che si acuisce nelle nostre aule e l’idea generale di scuola. “L’organizzazione ha un impatto fortissimo sui ragazzi e sui docenti, determinando i loro rapporti. La nostra scuola è nei fatti un ufficio decentrato dello stato che perpetua una trasmissione contenutistica senza farsi carico di una educazione a tutto tondo; valori morali, emozionali, fisici trovano poco spazio. E’ basata su nozione, interrogazione e voto, in una cornice burocratica asfissiante e una autonomia negativa (o forse, meglio dire, una solitudine) dei docenti. Quanto ho descritto avviene poi in edifici fatiscenti, vecchi, inadatti a ospitare un processo educativo. I due protagonisti, alunni e docenti, sono schiacciati e non fanno bene e con gioia il loro lavoro. Questo sfocia, senza voler assolutamente assolutizzare, in gesti brutali come quello di Abbiategrasso”. 

Anche sui fondi del Pnrr, Mincu ha qualche dubbio. “Si individuano spazi urgenti di intervento, ma non si individua un processo strutturale del sistema scuola. Quei fondi, spiace dirlo, non sono a servizio di un cambiamento di fondo dove la scuola possa veramente diventare comprensiva. Comprensiva degli studenti, comprensiva dei docenti, una scuola guidata da un dirigente che abbia vera autonomia. Una scuola che può definire i suoi obiettivi e costruire un progetto educativo e formativo per tutte le componenti, legato agli obiettivi specifici”. Da dove partire? Mincu, sorprendendoci, individua nell’università il primo luogo da riformare. “Bisogna liberarsi del peso enciclopedico per concentrarsi meglio su come si possono utilizzare le conoscenze. Spesso dalle università o dai corsi che abilitano all’insegnamento escono persone che vengono fagocitate dal sistema”. Ecco forse spiegato il motivo per cui sempre meno persone vogliono fare l’insegnante. “E’ un mestiere complesso che si inserisce in un sistema che non offre condizioni adeguate, non forma e non prospetta un percorso carrieristico. Gli insegnanti abbandonano la scuola come fanno tanti studenti. Il dato di dispersione e abbandono nell’età dell’obbligo è allarmante. Questo modo di fare scuola non è più accettabile”.

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