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Dopo l’occupazione: punire o difendere la funzione cosmica del teppismo?

Marco Lodoli

Non solo l’ombra della Dad nel diario di un prof. Prima delle vacanze di Natale ci si chiede anche come trattare gli studenti che hanno portato avanti le occupazioni delle scorse settimane. Dialogo tra un professore d'ordine e un docente ribelle

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E ora tutti in vacanza, cercando di capire cosa accadrà più avanti, se torneremo normalmente in classe il giorno 10 gennaio o se, come si sente mormorare in giro, le scuole rimarranno chiuse per la crescita scatenata dei contagi e le lezioni riprenderanno in Dad. Ma intanto negli ultimissimi giorni prima dei saluti, nei collegi docenti, nei consigli di classe, nei corridoi e nel bar della scuola si è posta una questione decisiva: che fare degli studenti che hanno occupato e qualche volta anche danneggiato la scuola? Come vanno trattati, devono passarla liscia o meritano punizioni esemplari? Ero per l’appunto nell’aula insegnanti quando due prof si sono confrontati aspramente, ma sempre con toni garbati e civili, su questo tema scottante. Il giovane professore di diritto, tanti capelli neri e una certa sicurezza derivata dalla sua formazione, non aveva alcun dubbio: “Questi ragazzi hanno compiuto un’azione assolutamente illegale, sono penetrati all’interno della scuola centrale con la forza, hanno bivaccato giorno e notte nelle classi, hanno inzozzato i bagni, spaccato due vetrate, danneggiato banchi e cattedre, e dunque devono pagare per le loro colpe. Serve una sospensione di almeno quindici giorni, quattro in condotta e risarcimento totale dei danni. E’ una questione di principio, gli studenti devono imparare a essere responsabili delle loro azioni: sbagli, rompi, impedisci le lezioni? E allora paghi. Solo così possiamo formare cittadini consapevoli, altrimenti produrremo sbandati, viziati, ragazzotti violenti e supponenti, convinti di poter fare quello che vogliono, senza limiti e senza alcun rispetto per le leggi e per i diritti altrui…”. Era infervorato, convintissimo, quasi indispettito dal fatto che il bastone non fosse ancora calato sulla groppa di quegli asini prepotenti e ignoranti. “Bastone, non solo carote e giustificazioni”, diceva, e io lo stavo ad ascoltare con attenzione, mi sembrava che dicesse cose giuste, eppure mi rimaneva un briciolo di perplessità che però non avrei saputo esprimere in alcun modo. 


Anche il vecchio professore di matematica ascoltava in silenzio, capelli bianchi e ancora un anno o forse due per andare in pensione. “Hai ragione – diceva – hai ragione, però…”. “Però cosa?”, incalzava il giovane prof di diritto, “non c’è nessun però, bisogna sanzionare questi delinquentelli!”. “Hai ragione – ricominciava con calma, a voce bassa, il prof canuto e anziano –, però ci sono altri livelli su cui valutare queste azioni. Direi livelli assoluti, quasi metafisici. Nel frammento 53, Eraclito afferma che il polemos è il motore dell’universo, il polemos, cioè lo scontro, l’opposizione… Per dirla facile facile, i ragazzi hanno quasi il dovere di fare casino, di contrapporsi a un ordine che rischia di paralizzarsi, loro sono l’energia del futuro che rimescola le carte, che genera movimento e trasformazione. L’universo crea e distrugge, innalza e abbatte, invecchia e ringiovanisce, è sempre stato così, e se così non fosse nulla cambierebbe mai, il torrente non diventerebbe fiume ma stagno, palude malarica, fetida immobilità. Del resto anche i ragazzi degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta hanno contestato duramente lo stato delle cose, è quasi una necessità fisiologica, e anche quando la contestazione è confusa smuove comunque le acque. Se i ragazzi fossero sempre bravi e buoni come vorremmo noi, il mondo diventerebbe un pensionato tranquillo e mortifero, un centro anziani dove rotolano solo le bocce…”. 


Il giovane prof di diritto non era per nulla d’accordo: “Che cosa c’entra? Quei giovani contestavano in nome di una ideologia, erano preparati, avevano una precisa visione del mondo, questi no, questi sono solo teppistelli da arginare in fretta, questi vogliono solo spaccare, distruggere, saltare le lezioni e basta!”. Il vecchio prof annuiva, ma provava anche a insinuare qualche dubbio, anche in modo provocatorio: “Persino il teppismo ha una sua funzione cosmica. Non è necessario che sia sempre coperto da chissà quali ideali. C’è bisogno di vita ruggente, di dinamismo, di opposizione dialettica, non solo di obbedienza ordinata. C’è la tribuna con i posti a sedere e c’è la curva disordinata e passionale. Io ormai sono quasi vecchio, però capisco che in questo mondo c’è bisogno anche di ragazzi che si fanno avanti con tutta la loro confusa vitalità. Saranno puniti, va bene, ma consideriamoli come una componente caotica e necessaria, distruttiva e creativa al tempo stesso, altrimenti produrremo solo persone che passano noiosamente la vita con il carrello in fila alla cassa, perché questo è il mondo che ci aspetta. I giovani hanno il dovere di scompigliare le carte, senza esagerare, senza fare troppi danni, ma continuando a scuotere il mondo, che altrimenti tende inesorabilmente all’inerzia e alla ripetizione infelice…”. Non credo che i due prof si siano capiti, ma alla fine si sono abbracciati, scambiandosi gli auguri di buon Natale e di un anno nuovo che sia felice per tutti, lì nell’aula insegnanti, qui nei miei pensieri.

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