Divergenze parallele

La Dad penalizza l'apprendimento dei ragazzi?

Lorenzo Borga

Prolungare l'anno scolastico per consentire il rientro in classe oppure lasciare autonomia agli istituti, senza interrompere la didattica a distanza? Intervista doppia al direttore della Fondazione Agnelli e al segretario generale Flc Cgil 

"Occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale" aveva detto Mario Draghi nel suo primo discorso in Parlamento, aggiungendo: "Serve allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall'esperienza vissuta dall'inizio della pandemia". Allora le sue parole avevano alimentato un vespaio. A più di un mese di distanza l’ipotesi di un prolungamento dell’anno scolastico è ormai stata accantonata anche dal ministro dell’Istruzione. Ma il tema dell’istruzione e del recupero del terreno perduto con la pandemia resta sul tavolo, e di estrema attualità.

Per la rubrica “Divergenze parallele”, Andrea Gavosto (direttore della Fondazione Agnelli) e Francesco Sinopoli (segretario generale Flc Cgil), rispondono alle domande de Il Foglio. Per capire, fino in fondo, le ragioni di chi crede che serva un prolungamento perché la didattica a distanza non è sufficiente, e chi invece ritiene che la decisione debba essere lasciata alle scuole e che non si è verificato un gap di apprendimento.

 

Prolungamento dell’anno scolastico in estate per recuperare i giorni di scuola in presenza persi, a favore o contrario? 

Gavosto - Io sono fortemente a favore, mi ero espresso varie volte già l’anno scorso. La motivazione è che siamo probabilmente di fronte alla peggior emergenza educativa della nostra scuola, sappiamo con altissima probabilità che gli studenti oltre che aver perduto in termini di socialità, hanno sicuramente subito una caduta dell’apprendimento. E quindi serve aiutarli a recuperare il prima possibile: non si può pensare di farlo in un mese, ma prima cominciamo meglio è. L’istruzione è un processo cumulativo: se si crea una lacuna in una determinata fase di studi, il resto del percorso diventa più complicato. Rischiamo di fare un danno permanente a questa generazione di studenti.

Sinopoli - Noi abbiamo detto da subito che il tema del recupero dell’apprendimento si pone. L’anno è stato straordinario per tutti gli studenti. Ma non si può affrontare con l’allungamento dell’anno scolastico. Bisognerebbe fare piani straordinari, sotto la responsabilità delle singole scuole con finanziamenti dedicati e non solo in estate. Sono le scuole che dovrebbero pianificare come e chi fa il recupero. Perché gli studenti non sono tutti nella stessa condizione. 

 

Qual è il valore della didattica a distanza, rispetto all’insegnamento in presenza a cui eravamo abituati? 

Gavosto - La Dad è stata l’unica risposta possibile nella fase del lockdown e anche oggi, in cui siamo di nuovo in una fase di zona rossa. Penso sia uno strumento molto utile, ma non può sostituire completamente la presenza. È un surrogato, può essere buono o cattivo e dipende da come viene fatta la didattica. E purtroppo in molti casi la didattica fatta a distanza è molto tradizionale, cioè come una lezione frontale: abbiamo sostituito lo strumento ma non il metodo. Inoltre, è sbagliato interpretare la proposta di recuperare l’apprendimento perso in estate come un’accusa rivolta agli insegnanti. È un’excusatio non petita: gli insegnati in generale hanno risposto in modo molto generoso all’emergenza, ma la Dad non può sostituire la lezione in realtà.

Sinopoli - Bisogna costruire le condizioni per fare la scuola in presenza. La scuola al di là degli apprendimenti è socialità, confronto tra pari. Ma bisogna chiarire fin da subito che la didattica digitale integrata è didattica. Gli insegnanti hanno fatto un lavoro enorme, che andrebbe riconosciuto nel prossimo rinnovo del contratto. Chiunque ha un figlio sa cosa hanno fatto gli insegnanti, lavorando con strumenti inadeguati, e in un tempo di lavoro che è anche cresciuto al di là dell’orario contrattuale. La questione del recupero si pone comunque, perché non tutti gli studenti sono nella stessa condizione. La didattica a distanza non si può equiparare alla didattica normale, ma va riconosciuto che la Dad è lavoro quanto la didattica in presenza.

 

Cosa resterà di quest’anno di chiusure, anche della scuola, agli studenti?

Gavosto - Agli studenti temo non resterà molto, se non la perdita di apprendimento e di socialità. Una situazione complicata. Se vogliamo coglierne un aspetto positivo, è il fatto che abbiamo capito che la Dad è uno strumento che funziona in alcuni casi, purché accompagnata da un ripensamento della didattica classica. Oggi tutte le classi fanno la stessa identica videolezione, per esempio, sugli etruschi: ma non ha senso, si potrebbe registrare in modo sincrono un’unica lezione e usare il tempo risparmiato per discutere, fare approfondimenti, per utilizzare la modalità a distanza in maniera molto più attiva.

Sinopoli – Ciò che hanno perso gli studenti non sono l’apprendimento e le discipline, ma la socialità. Le discipline sono state trasmesse con la Dad, ma non la socialità e la natura umana della scuola. Serve recuperarla, in tutte le forme, anche costruendo occasioni durante l’estate secondo l’autonomia delle varie scuole.

 

Allarghiamo lo sguardo, oltre alla pandemia. Ha senso una distribuzione delle lezioni che contempli tre mesi di vacanza per gli studenti, come accade oggi?

Gavosto - Non ha senso il calendario attuale, e non a caso il dibattito sulla perdita di apprendimento è molto antico. L’evidenza scientifica lo conferma: se si misura l’apprendimento a settembre rispetto alla fine dell’anno scolastico precedente in Italia si nota un netto calo. Si sa anche che i più colpiti sono gli studenti che vengono da un background socio-economico più debole perché non hanno l’aiuto dalla famiglia, né i mezzi per permettersi delle ripetizioni. In generale nella scuola italiana non si fanno più vacanze che nel resto d’Europa, ma queste sono molto concentrate nel periodo estivo. Avrebbe senso cambiare questa situazione. In Francia hanno una lunga pausa a Pasqua, anche in Germania è così.

Sinopoli - Se vogliamo discutere delle vacanze degli studenti, facciamolo. Se vogliamo invece discutere di quanto lavorano gli insegnanti, dovremmo farlo diversamente. Gli studenti fanno una quantità di tempo scuola che è stato tagliato dall’ex ministra Gelmini, e dovremmo recuperare il tempo scuola ripartendo da quei tagli. Noi abbiamo un pezzo d’Italia che non ha tempo pieno, dobbiamo estenderlo. Se invece vogliamo discutere dell’orario di lavoro degli insegnanti, dobbiamo sapere che c’è molto lavoro sommerso, non di didattica frontale: parliamo di correzioni dei compiti e preparazione delle lezioni, che andrebbe valorizzata a partire dal salario. L’abbiamo visto tutti cosa hanno fatto gli insegnanti in Italia nell’ultimo anno, lo dico da padre. Io credo che nel modo in cui è stata posta la proposta dell’estensione del calendario fosse nascosto il pregiudizio sul fatto che gli insegnanti lavorano poco.

 

Mi sembra che l’impasse, anche fra di voi, sia sul riconoscimento del lavoro dei docenti. Perché il rifiuto di estendere l’anno scolastico sembra nascere dall’insofferenza degli insegnati nel non vedere valorizzato il loro lavoro, per di più in didattica a distanza. Per uscirne, aumentare gli stipendi fino alla media Ocse (oggi siamo sotto), ma richiedendo una valutazione seria del lavoro di ogni docente, può essere una strada?

Gavosto - Il tema è complesso. Per riconoscere socialmente il lavoro degli insegnanti non bisogna passare necessariamente solo dal salario. Come stipendio d’ingresso gli insegnanti italiani ricevono un salario che non è di molto inferiore a quello degli altri paesi. Ciò che manca da noi è la progressione di carriera, che rafforzerebbe la dignità sociale della categoria poiché chi è bravo e si impegna potrebbe vedersi riconosciute maggiori responsabilità. L’altro grande tema, obiettivamente, è rendere l’accesso alla professione molto più selettivo. Gli ultimi ingressi sono stati portati avanti dai governi sotto forma di sanatorie: ma così di queste persone che mandiamo in cattedra non sappiamo nulla, se non che hanno insegnato per alcuni mesi da precari. Dobbiamo darci criteri più selettivi, e soprattutto una formazione perché oggi chi entra in aula in Italia non ne ha ricevuta alcuna di tipo didattico. Nessuno gli insegna mai a insegnare e l’Italia resta uno dei pochissimi paesi in cui la formazione in itinere dei docenti non è obbligatoria.

Sinopoli – Credo serva fare due interventi fondamentali. Prima di tutto sul salario, troppo basso anche con le risorse stanziate ultimamente. In Italia per gli insegnanti è tra i più bassi d’Europa e non va bene: serve riconoscere il lavoro sommerso degli insegnanti. E poi in secondo luogo si deve lavorare sulla formazione. Queste sono le due priorità, non la valutazione. Gli insegnanti sono valutati ogni giorno per quello che fanno. E penso che in questo preciso momento non sia il problema di cui dovremmo occuparci.

Di più su questi argomenti: