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l'intervista

Oggi si torna a scuola, ma i prof. preferiscono la Dad

Maria Carla Sicilia

Se i docenti non vogliono tornare in classe è perché la scuola è stata bistrattata. “Abbiamo bisogno di stabilità per lavorare bene, ma è importante che le scuole restino aperte”. Parla il capo dei presidi

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Davanti agli ingressi chiusi delle scuole molti studenti si sono riuniti in questi mesi contro la didattica a distanza. Ora, in questo strano mondo alla rovescia, scopriamo che gli insegnanti preferirebbero tenere chiuse le scuole fino alla fine dell’emergenza sanitaria. A pensare che sia meglio continuare con la Dad è poco più del 70 per cento dei docenti di ogni ordine e grado, secondo un’indagine dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. “Tornare in classe è necessario”, dice al Foglio Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. “Ma alla scuola serve prospettiva, non discontinuità”.

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Davanti agli ingressi chiusi delle scuole molti studenti si sono riuniti in questi mesi contro la didattica a distanza. Ora, in questo strano mondo alla rovescia, scopriamo che gli insegnanti preferirebbero tenere chiuse le scuole fino alla fine dell’emergenza sanitaria. A pensare che sia meglio continuare con la Dad è poco più del 70 per cento dei docenti di ogni ordine e grado, secondo un’indagine dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. “Tornare in classe è necessario”, dice al Foglio Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. “Ma alla scuola serve prospettiva, non discontinuità”.

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Pensare che due insegnanti su tre preferiscano restare a casa per pigrizia, insomma, è ingeneroso nei confronti di chi in questi mesi di pandemia ha reinventato un mestiere tra mille difficoltà. “Alla scuola serve stabilità, mentre i continui cambi di regole distruggono completamente la possibilità di dedicarsi al proprio lavoro con in mente un obiettivo didattico da conseguire”, continua il capo dei presidi. “Da questo punto di vista, è perfettamente comprensibile che molti docenti trovino incompatibile il modo in cui si è gestita la scuola con la continuità necessaria per fare un lavoro didattico adeguato, che non sia frammentario e di scarso valore”. Non è solo un problema di didattica a distanza, che anzi fra luci e ombre ha comunque garantito una trasmissione di nozioni e conoscenza. E’ che di tutto questo, dice Giannelli, la politica non ha tenuto conto in questi mesi. Perché pur predicando la centralità della scuola, ha poi compiuto scelte che la legano a troppe variabili esterne. Una di queste è il trasporto pubblico locale, che ha condizionato il dibattito e la percezione di sicurezza anche nelle aule.

 

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L’ultimo esempio è quello degli ingressi scaglionati, che alcuni tavoli dei prefetti hanno imposto per alleggerire la pressione nelle ore di punta. “L’ingresso ritardato pone dei problemi didattici a docenti e studenti. Se la scuola fosse stata al centro dell’azione politica si sarebbe ritardata piuttosto l’apertura degli esercizi commerciali”. E invece in alcune province si entrerà in classe alle 10, nonostante la forte contrarietà espressa dai dirigenti scolastici. Il problema – spiega il preside – è che è penalizzante per i ragazzi avere poche ore di studio alla sera. “In Italia la didattica è impostata su un modello trasmissivo, che si basa sulle spiegazioni in classe, sullo studio a casa e sulle verifiche. Modificare questo approccio significa cambiare mentalità e metodo di lavoro dei docenti”. Un processo che neppure la pandemia può accelerare perché “richiede molto tempo e un’attività di formazione capillare e massiccia”. Vista da questa prospettiva, alle condizioni che il virus impone, sembra quasi che tornare in classe e adattare l’insegnamento alle nuove regole sia più faticoso che restare a casa. Hanno ragione i prof. del sondaggio? “No, le scuole devono riaprire perché i ragazzi devono tornare in classe”. E nell’urgenza della risposta non ci sono più le difficoltà legate alla didattica, ma tutto quello che non è Dante né il Teorema di Pitagora. “La scuola è un luogo in cui i ragazzi crescono misurandosi con i propri coetanei, dove vivono il proprio sviluppo psicologico, intellettuale, relazionale e affettivo. E’ un luogo di socialità che non esaurisce la sua funzione nell’accrescimento del proprio bagaglio di conoscenze”. Soprattutto è un luogo sicuro, come dice l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore della sanità: solo il 2 per cento dei focolai è legato alle scuole e di questo solo il 40 per cento riguarda gli istituti superiori. Per questo, anche se in ritardo, da oggi suona di nuovo la campanella.

 

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