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La vera notizia sugli insegnanti che non vogliono tornare a scuola

Antonio Gurrado

L'indagine INAPP fa sorgere il sospetto che la didattica a distanza per la gran parte dei docenti sia solo una scelta difensiva

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La notizia facile è che, oggi, i primi a non voler tornare a scuola sono gli insegnanti. Questo almeno è ciò che emerge come dato lampante da un’indagine INAPP intitolata “La scuola in transizione: la prospettiva di un corpo docente in tempo di Covid-19”: il 70,4% degli intervistati ritiene, testualmente, che “le scuole/università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata”. Può lasciare perplessi il caso che gli stessi docenti sembrino ignorare che la situazione non coincide col lockdown primaverile, che le scuole sono aperte e operanti, che volendo ci si può andare ma che è precluso soltanto l’accesso agli alunni; può preoccupare l’eco indefinita di quella “emergenza sanitaria rientrata” che lascia presagire l’anno del mai; può divertire l’idea che, come in una barzelletta, siano gli insegnanti a raggomitolarsi sotto il piumone e a dire: “Non voglio andare a scuola”. 

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La notizia facile è che, oggi, i primi a non voler tornare a scuola sono gli insegnanti. Questo almeno è ciò che emerge come dato lampante da un’indagine INAPP intitolata “La scuola in transizione: la prospettiva di un corpo docente in tempo di Covid-19”: il 70,4% degli intervistati ritiene, testualmente, che “le scuole/università si devono tenere chiuse fino a emergenza sanitaria rientrata”. Può lasciare perplessi il caso che gli stessi docenti sembrino ignorare che la situazione non coincide col lockdown primaverile, che le scuole sono aperte e operanti, che volendo ci si può andare ma che è precluso soltanto l’accesso agli alunni; può preoccupare l’eco indefinita di quella “emergenza sanitaria rientrata” che lascia presagire l’anno del mai; può divertire l’idea che, come in una barzelletta, siano gli insegnanti a raggomitolarsi sotto il piumone e a dire: “Non voglio andare a scuola”. 

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Ciò che invece risalta da quest’indagine – indicativa certo, condotta su un campione di 800 docenti di ogni ordine e grado – è il pensiero sotteso che traspare incrociando i dati relativi alle varie risposte. La didattica a distanza, in buona sostanza, viene ritenuta la soluzione ideale per fronteggiare la pandemia ma l’82,4% degli intervistati lamenta l’assenza di linee guida, il 67,9% non trova che gli studenti siano diventati più reattivi o solleciti, il 91,2% esige una preparazione specifica per questo nuovo tipo di insegnamento: insomma, la didattica a distanza è la soluzione ideale anche se per gli stessi intervistati è disorganizzata, poco funzionale e, soprattutto, fatta un po’ a capocchia stante la necessità di una preparazione specifica mai ricevuta. Inoltre la didattica a distanza, a dire degli stessi intervistati, si scontra con le esigenze dei familiari che devono telelavorare, con l’assenza o instabilità di connessione a internet nonché, sublime paradosso, con il fatto che i figli degli insegnanti siano costretti a seguire altra didattica a distanza dalla stessa casa. Ideale per cosa, dunque? E gli insegnanti che oggi la elogiano non sono gli stessi che in primavera la osteggiavano, si sconfortavano, si scandalizzavano, e all’ultimo giorno di scuola facevano circolare su funesti gruppi Whatsapp meme con su scritto “Sopravvissuti alla didattica a distanza”?

 

Sorge il sospetto – ma è solo un sospetto, eh, uno dei tanti indicibili sospetti sulla scuola italiana – che il motivo per cui oggi una significativa percentuale di docenti trovi vantaggiosa la didattica a distanza non risieda nell’effettivo beneficio o vantaggio che l’insegnamento possa trarre dall’utilizzo delle nuove tecnologie; ma sia invece soltanto una scelta difensiva, un modo di procrastinare lo sforzo di tornare alla normalità nonostante la pandemia. È probabile che ciò accada perché gli insegnanti si percepiscono come messi particolarmente a rischio dal contagio; come nota lo stesso presidente dell’INAPP, Sebastiano Fadda, il nostro corpo docente è quello con “la maggior presenza di over 50 fra i paesi OCSE (il 59% degli insegnanti) e con la percentuale più bassa di insegnanti con età compresa fra i 25 e i 34 anni (0,5%)”. Un corpo docente invecchiato e impaurito, dunque, vede con ogni probabilità nella didattica a distanza non un’innovazione da integrare sapientemente con i metodi tradizionali ma una soluzione d’emergenza da prolungare indefinitamente per non correre rischi. D’altronde, gli ci voleva la paura del contagio per vincere la paura di non saper accendere il computer, di inquadrare in webcam soltanto il mento o un orecchio, di fare lezione per tre quarti d’ora dimenticandosi di accendere il microfono. La vera notizia è questa.

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