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Aprite quelle aule

*Agostino Miozzo

In pandemia non esistono luoghi sicuri ma esistono luoghi dove correre un rischio si può e si deve. Il caso scuola. Ci scrive il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico

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Al direttore - Le scrivo per condividere con Lei un senso di grande tristezza e frustrazione per il dibattito che vedo sul tema scuola. Tristezza perché ritengo che il livello della discussione sia veramente povero, il dibattito politico e mediatico che accompagna le disavventure del mondo scolastico è di un livello decisamente inaccettabile. Sugli organi di stampa e negli interminabili dibattiti televisivi prevale oggi il dilemma sulla possibilità di passare le vacanze nella seconda casa o il drammatico quesito sul numero di commensali da invitare al cenone di Natale e Capodanno piuttosto che disquisire sul dramma di milioni di ragazzi costretti alla Dad, orrendo acronimo che ci dice che si può continuare a studiare lontano dal luogo ove, da sempre, si formano le menti dei nostri giovani, cioè la scuola. Frustrazione perché nonostante tutti gli sforzi che molti hanno fatto in questi mesi, confrontati con il tremendo tsunami del Coronavirus che ha travolto l’intero pianeta, non si sia riusciti a trovare risposte concrete alle necessità dei nostri studenti.

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Al direttore - Le scrivo per condividere con Lei un senso di grande tristezza e frustrazione per il dibattito che vedo sul tema scuola. Tristezza perché ritengo che il livello della discussione sia veramente povero, il dibattito politico e mediatico che accompagna le disavventure del mondo scolastico è di un livello decisamente inaccettabile. Sugli organi di stampa e negli interminabili dibattiti televisivi prevale oggi il dilemma sulla possibilità di passare le vacanze nella seconda casa o il drammatico quesito sul numero di commensali da invitare al cenone di Natale e Capodanno piuttosto che disquisire sul dramma di milioni di ragazzi costretti alla Dad, orrendo acronimo che ci dice che si può continuare a studiare lontano dal luogo ove, da sempre, si formano le menti dei nostri giovani, cioè la scuola. Frustrazione perché nonostante tutti gli sforzi che molti hanno fatto in questi mesi, confrontati con il tremendo tsunami del Coronavirus che ha travolto l’intero pianeta, non si sia riusciti a trovare risposte concrete alle necessità dei nostri studenti.

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Milioni di ragazzi restano ancora nella loro stanza collegati (quando hanno gli strumenti e le connessioni internet necessarie) con uno stuolo di docenti che cercano di trasmettere loro quei messaggi culturali che abitualmente sono accompagnati da gesti, espressioni degli occhi e del body language che oggi sono congelati, annullati e quantomeno mediati dallo schermo di un pc. Docenti abituati a scrutare e riprendere i tentativi degli studenti di copiare dal compagno di fianco, di leggere di straforo qualche appunto di matematica e farla franca col compito in classe, di suggerire all’amico del banco di fronte durante l’interrogazione. Momenti emozionanti che accompagnano la nostra formazione, consolidano il senso di socialità e di relazione che formano legami straordinari che poi ricorderemo per tutta la vita con affetto e commozione. (segue nell’inserto IV) Oggi tutto questo è negato ai nostri ragazzi che passano settimane e mesi nella loro stanza (quando hanno una stanza) dimenticando che esiste un mondo esterno e rifugiandosi per ore e ore nell’anonimo e artificiale mondo virtuale di internet. Leggo articoli di stampa orrendi che informano di numeri improbabili di contatti di COVID avvenuti all’interno della scuola (ultimo in ordine di superficialità nell’informazione è un articolo pubblicato da Wired). Numeri che non hanno alcuna referenza né validazione scientifica ma che alimentano la paura e la percezione della scuola come focolaio epidemico. I dati veri elaborati dall’ISS e validati da studi internazionali dicono che le aggregazioni di persone generano problemi di contagio, ma le aggregazioni a rischio per i giovani (soprattutto adolescenti) sono più frequenti prima e dopo il momento scolastico; durante il viaggio in mezzi di trasporto sovraffollati, nelle aggregazioni esterne la scuola, quali la ben nota movida o altro. Le ore trascorse nei locali scolastici sono soggette a rigide regole di comportamento, di distanziamento, uso delle mascherine e igiene personale, oltre che al momento pedagogico dell’informazione che deriva dai docenti. L’Italia è tra i pochissimi paesi Europei ad avere ancora gran parte delle scuole chiuse, Spagna, Francia Germania, Regno Unito non le hanno mai chiuse o le hanno riaperte poco dopo il primo lockdown.

 

Utile a questo proposito è leggere quanto scrive il governo inglese sul sito istituzionale a riguardo della scuola: “Il rischio per gli studenti di ammalarsi gravemente di coronavirus (COVID-19) è molto basso e il non frequentare la scuola ha impatti negativi sulla salute. Sappiamo che la scuola è un punto di contatto vitale per la salute pubblica e per i servizi di salvaguardia fondamentali per il benessere degli studenti e delle famiglie. Data la crescente evidenza, la valutazione del rischio propende ora in modo schiacciante a favore del ritorno a scuola degli studenti. Per la stragrande maggioranza i vantaggi di tornare a scuola superano di gran lunga il rischio molto basso da coronavirus (COVID-19)”.​ Tutto si può dire del Regno Unito tranne che contestare il valore sociale, culturale e politico che quel paese da alla formazione e alla scuola in generale. Il paese dei poeti e dei navigatori questo valore sembra averlo dimenticato da ormai molti decenni viste le disastrose condizioni in cui si è trovata la scuola nel momento della grande emergenza.

 

L’ultimo DPCM, firmato dal Presidente del Consiglio il 3 dicembre, rinvia il ritorno a scuola al 7 di gennaio e chiede agli Uffici Territoriali del Governo di coordinare dei tavoli tecnici per trovare risposte concrete a quesiti che evidentemente non hanno trovato sino ad oggi soluzione. Io mi fido molto della autorevolezza dei Prefetti e della loro capacità di organizzare quanto richiesto dal Governo; ho solo una grande preoccupazione e perplessità: riusciranno i Prefetti a raggiungere, nelle poche settimane che ci separano dal 7 gennaio quei risultati che non siamo riusciti a raggiungere nei mesi trascorsi dall’uscita del primo lock down, da quando cioè si è iniziato a parlare di riapertura delle scuole? Riusciranno in questa impresa mentre avranno da governare settimane decisamente difficili che vedranno decine di migliaia di uomini e donne del comparto sicurezza mobilitate per controllare strade e città e mentre si sarà nel pieno dell’organizzazione di una storica e altrettanto ciclopica organizzazione della vaccinazione di massa contro il Coronavirus?

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Ho molte ragioni di credere che il 7 di gennaio arriverà e ci troveremo nelle stesse situazioni nelle quali siamo oggi. E i nostri liceali resteranno a seguire la DAD ancora per settimane e forse mesi. Avremo degli studenti che arriveranno all’esame di maturità essendo stati a scuola, nell’ultimo anno della loro esperienza liceale, qualche settimana. Un vero record che aiuterà certamente i nostri ragazzi ad essere, negli anni a venire, ben poco competitivi sul mercato del lavoro nazionale e internazionale. Ammesso e non concesso che molti di loro vorranno cercare lavoro, uscendo dalla capanna nella quale li abbiamo costretti grazie alla nostra miopia. Caro Direttore, premesso che in questa emergenza non esiste un luogo a rischio zero, dobbiamo dire con forza che la scuola è un luogo sicuro, dove il rischio è “accettabile”, dove negli ultimi mesi sono state messe in atto tutte le azioni necessarie per ridurre il rischio da contagio. Dobbiamo però lavorare ancora molto, tutti insieme, nessuno escluso per percorrere quest’ultimo miglio considerando questo obiettivo più importante del Natale o del cenone di capodanno. Dobbiamo pretendere di ottenere il rafforzamento della sanità scolastica, le task force di sanitari che siano in grado di monitorare e dare risposte alle esigenze dei docenti e dei dirigenti scolastici, dobbiamo dare risposte al problema dei trasporti e al controllo delle aggregazioni esterne. Parliamo da mesi di questi problemi e tanto è stato fatto, in molte parti del paese, ma non abbastanza. Stringiamoci ora attorno al tavolo dei Prefetti con un ultimo sforzo collettivo per arrivare al traguardo. Non dobbiamo tradire un’altra volta le aspettative dei nostri giovani, riportiamoli, a gennaio, a sedersi nel luogo a loro più familiare e amato, le aule scolastiche.

 

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*Agostino Miozzo è Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico (Cts)

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