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Scuola, è ora per gli adulti di diventare grandi

Claudio Cerasa

Il successo della riapertura della scuola dipende più dai genitori (e dagli insegnanti) che dallo stato

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Stefanie Hubig è il ministro dell’Istruzione di uno dei land della Germania, rappresenta tutti i sedici ministri dell’Istruzione delle regioni del suo paese e due giorni fa ha fatto parlare a lungo di sé per aver affermato, rispetto al tema della riapertura delle scuole, una piccola verità che andrebbe veicolata con urgenza nel dibattito pubblico del nostro paese: il modo più efficace per proteggere le scuole non ha a che fare solo con la bontà delle linee-guida di un governo ma ha a che fare prima di tutto con il comportamento tenuto, anche fuori dalle aule, da genitori, insegnanti e studenti.

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Stefanie Hubig è il ministro dell’Istruzione di uno dei land della Germania, rappresenta tutti i sedici ministri dell’Istruzione delle regioni del suo paese e due giorni fa ha fatto parlare a lungo di sé per aver affermato, rispetto al tema della riapertura delle scuole, una piccola verità che andrebbe veicolata con urgenza nel dibattito pubblico del nostro paese: il modo più efficace per proteggere le scuole non ha a che fare solo con la bontà delle linee-guida di un governo ma ha a che fare prima di tutto con il comportamento tenuto, anche fuori dalle aule, da genitori, insegnanti e studenti.

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Il messaggio della ministra tedesca è duro ma è molto chiaro: durante una pandemia, il rischio zero non esiste; e per quanti sforzi possa fare un governo centrale o uno federale per rendere il ritorno a scuola il più sicuro possibile occorre rendersi conto che il successo della riapertura è legato soprattutto alla capacità dei genitori, degli insegnanti e degli studenti di affrontare con intelligenza e con prudenza la nuova stagione della responsabilità. Dove responsabilità significa semplicemente rendersi conto che buona parte del successo della riapertura delle scuole sarà legata prima di tutto alla capacità di miscelare buon senso, creatività e pazienza da parte dei genitori e degli insegnanti. Per esempio, monitorando i propri figli. Per esempio, misurando ogni mattina la temperatura corporea. Per esempio, evitando di far finta che l’emergenza sia finita. Per esempio, fidandosi della sensibilità e dell’esperienza dei dirigenti scolastici.

  

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Per i genitori, dice con un sorriso Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma, è ora di diventare adulti e la riapertura delle scuole, in questo senso, dovrebbe essere vissuta come un passaggio di maturità da parte dei tutti. “La politica – dice Ippolito – dovrebbe smetterla di litigare sulla scuola, dovrebbero smetterla di cercare capri espiatori e dovrebbero passare dalla ricerca del colpevole alla ricerca della soluzione. E dall’altro lato i genitori, a loro volta, dovrebbero assumere un atteggiamento più all’altezza della criticità del momento e in questo senso dovrebbero occuparsi di recuperare un miglior rapporto con gli insegnanti, uscendo per esempio dalla logica che il modo migliore per fidarsi del sistema scolastico sia quello di affidarlo ai gruppi su Whatsapp dei genitori”.

  

La riapertura della scuola è un incubo per tutti i genitori – non peggiore però rispetto alla non riapertura – ma per quanto l’incertezza per il ritorno sui banchi possa creare destabilizzazione ci sono buone ragioni per non essere del tutto pessimisti rispetto al futuro.

 

La prima ragione ha a che fare con il contesto in cui viviamo, e come ha giustamente ricordato ieri la Fondazione Gimbe è vero che negli ultimi sette giorni si è sfiorato il raddoppio dei nuovi casi totali ma è anche vero che per quanto i casi possano continuare a salire è ragionevolmente certo, dice Gimbe, “che non rivedremo le drammatiche scene di marzo e di aprile, perché oggi la situazione epidemiologica è attentamente monitorata, il servizio sanitario è ben organizzato e non potrà esserci alcun effetto sorpresa”.

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La seconda ragione ha a che fare con il grado di contagiosità dei ragazzi che vanno a scuola e come ha notato lo scorso 21 agosto un paper firmato dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Unicef c’è un’alta probabilità che i bambini più piccoli abbiano effettivamente “una minore suscettibilità alle infezioni rispetto agli adulti”.

 

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Una terza ragione ha a che fare invece con quella che è stata l’esperienza della Germania, dove diverse settimane dopo il ritorno a scuola, nonostante le infezioni che si sono manifestate in dozzine di scuole, non ci sono stati finora né focolai gravi né chiusure durature delle scuole (a Berlino, come ha scritto due giorni fa il New York Times in un reportage dedicato alla Germania, le cose sono andate abbastanza bene: alla fine della scorsa settimana, i contagi registrati tra insegnanti e studenti ammontavano a 49 e grazie a test rapidi e quarantene mirate su circa 366 mila studenti quelli che sono dovuti rimanere a casa per qualche giorno sono stati 600 e su 803 scuole quelle colpite sono state 39).

   

In tempi di pandemia, il rischio zero naturalmente non esiste. Ma un modo possibile affinché il ritorno a scuola sia meno traumatico rispetto a quello che ci aspettiamo oggi riguarda in fondo un tema poco esplorato, al centro del quale più che l’efficienza dello stato c’è la capacità degli adulti di diventare finalmente grandi.

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