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La mission impossible del ministero: imporre il distanziamento tra gli alunni

Marianna Rizzini

Il Comitato tecnico scientifico ha dato le linee guida per assicurare il ritorno a scuola a settembre in sicurezza. I genitori pressano, ma regolare l'istinto di bambini e ragazzi non è difficile

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Roma. Già si vedevano costretti, a settembre, alla riapertura delle scuole, a misurare i metri quadrati tra studente e studente, i presidi e i docenti, o ad attendere le linee guida per il mirabolante software “misuratutto” magnificato dalla ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina e subito finito nel calderone delle notizie strane ma vere anche se sembrano false, per poi finire nascosto allo sguardo del mondo, vista la difficoltà dei calcoli su metrature, spazi, bambini in movimento e bambini fermi. Ma sul più bello – quando (addirittura) dal Lazio è trapelata la notizia della prossima, probabile introduzione del voto in condotta “no-Covid”, cioè di un voto in condotta che tenga conto, oltre che dei ritardi e dei minuti persi durante le eventuali lezioni a distanza, del comportamento tenuto dagli studenti rispetto alle norme – il Comitato tecnico scientifico (Cts) ha risposto con un documento alle tante domande dei dirigenti scolastici: non bisognerà, tanto per cominciare, calcolare un valore fisso per la distanza in metri quadri tra studente e studente, anche se poi la questione dei metri rientra in campo quando si parla della giornata in classe.

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Roma. Già si vedevano costretti, a settembre, alla riapertura delle scuole, a misurare i metri quadrati tra studente e studente, i presidi e i docenti, o ad attendere le linee guida per il mirabolante software “misuratutto” magnificato dalla ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina e subito finito nel calderone delle notizie strane ma vere anche se sembrano false, per poi finire nascosto allo sguardo del mondo, vista la difficoltà dei calcoli su metrature, spazi, bambini in movimento e bambini fermi. Ma sul più bello – quando (addirittura) dal Lazio è trapelata la notizia della prossima, probabile introduzione del voto in condotta “no-Covid”, cioè di un voto in condotta che tenga conto, oltre che dei ritardi e dei minuti persi durante le eventuali lezioni a distanza, del comportamento tenuto dagli studenti rispetto alle norme – il Comitato tecnico scientifico (Cts) ha risposto con un documento alle tante domande dei dirigenti scolastici: non bisognerà, tanto per cominciare, calcolare un valore fisso per la distanza in metri quadri tra studente e studente, anche se poi la questione dei metri rientra in campo quando si parla della giornata in classe.

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Secondo il documento del Cts, inviato al ministero dell'Istruzione, infatti, la distanza tra studente e studente dovrà essere di un “metro lineare” tra gli alunni e di “due metri lineari” tra docente e alunno “nella zona interattiva della cattedra”. E' soltanto una delle tante difficoltà interpretative delle norme (le uniche certezze sono quelle sulla necessità di disinfettare, anche senza la presenza di una ditta dedicata, e più volte possibile, porte, maniglie, rubinetti, armadietti). Poi c'è il resto, e prima di tutto il tema dei temi: la didattica a distanza, bestia nera dei genitori, necessità irrinunciabile anche se a singhiozzo (e non per le primarie) secondo gli esperti, ibrido tra modernità e tradizione (nel senso che non è detto, vista la difficoltà di adattamento rapido all'insegnamento con mezzo telematico, che i processi di apprendimento facciano un salto nel futuro con la Dad).

 

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E lunedì 13 luglio, proprio per dare risalto alla perplessità generale sul tira e molla che ha caratterizzato tutte le decisioni finora prese sulla scuola, fin dai giorni di marzo in cui è stata decisa la chiusura degli istituti, i genitori del comitato “Priorità alla scuola”, già sceso in piazza a fine giugno, hanno organizzato una manifestazione-presidio davanti alla sede della Regione Emilia-Romagna, governata da Stefano Bonaccini, anche presidente della Conferenza stato-regioni, e davanti ad altre sedi regionali, dopo avere inviato una lettera allo stesso Bonaccini (che non molto tempo fa aveva definito le linee guida “irricevibili”) e agli assessori regionali alla scuola, con proposte e “punti fermi” per la ripresa scolastica. Perché le regioni hanno accettato “senza riserve” o “con poche modifiche” le linee guida approntate dal ministero dell'Istruzione?, si domandano i genitori manifestanti, pensando al rischio, nel caos organizzativo e normativo, di un'impossibilità di riaprire le scuole senza turni, orari ridotti e ricorso alla didattica a distanza, seppure in tandem con quella tradizionale (intanto il sindaco di Milano Beppe Sala chiede linee guida per gli asili e i nidi).

  

Nessun Cts, però, può aiutare a gestire le conseguenze sociali, politiche e psicologiche della rivoluzione di mentalità che – a forza, all'improvviso – studenti, docenti, dirigenti scolastici e amministrazioni locali hanno dovuto affrontare in primavera, dal pomeriggio in cui, nell'incredulità generale, la sera del 4 marzo, sugli schermi dei cellulari e dei computer è arrivata la notizia, preceduta da un crescendo di mezze-notizie, “il governo chiude le scuole per dieci giorni”. Sembrava notizia dell'altro mondo, e lo era. “Neanche in tempo di guerra”, si dicevano, per rincuorarsi, e per aiutarsi a crederci, genitori di studenti di tutte le età, davanti a un'eventualità mai considerata nella lista dei peggiori scenari. E nessuno poteva immaginare che i dieci giorni si sarebbero allungati oltre marzo e aprile, fino a lambire maggio, per poi precipitare, tra una polemica e l'altra sull'esame di maturità in presenza o meno, verso l'8 giugno, giorno di chiusura della scuola a distanza, e dell'apertura della porta dietro alla quale attendevano tutti i problemi, connessi l'uno all'altro in una catena infernale: la sicurezza, sì, ma con quanti docenti? La didattica, sì, ma come garantire il rispetto dei programmi con le ore decurtate?

  

Il distanziamento tra alunno e alunno e tra docente e alunno, sì, ma nei fatti si sa quanto sarà difficile l'applicazione di misure che sfidano istinto, abitudine, temperamento, tradizione, educazione. Il documento chiarificatore del Cts arriva come la piccola goccia in un deserto di incertezza: servirà davvero a scalare le montagne di intoppi pratici sapere che, in caso di emersione di un focolaio, si dovrà “valutarne l'entità” ed eventualmente chiudere una scuola soltanto per il tempo necessario a sanificare e testare? E se apprendere che la mascherina dovrà essere indossata quando ci si alza dal banco può aiutare chi non sapeva, finora, se doverla imporre ai piccoli studenti anche al banco, il punto, a settembre, rischia di essere un altro, e di ruotare attorno a un concetto espresso dal coordinatore del Comitato stesso Agostino Miozzo, intervistato dal Sole 24 ore: “Non possiamo addossarci la responsabilità di 50 anni di distrazione pubblica verso la scuola dove non si fanno investimenti sulle aule e gli spazi da tanti anni”. Si poteva e doveva cominciare a parlarne prima, come chiedevano da aprile i critici della linea adottata dal ministro Azzolina? Intanto si corre veloci verso agosto, e, a fotografare la situazione, viene in aiuto il famoso titolo del libro del maestro Marcello D'Orta: “Io speriamo che me la cavo”.

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