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Cattivi scienziati

Quando terminerà l’evoluzione del Covid? Uno studio

Enrico Bucci

Un sistema di intelligenza artificiale si è dimostrato in grado di predire i mutamenti di un organismo. Una tecnologia che in linea di principio potrebbe capire se il virus SARS-CoV-2 ha già raggiunto la massima efficienza possibile o può ancora evolvere e peggiorare

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Per ogni organismo vivente ci si può chiedere se, date condizioni ambientali prestabilite, quell’organismo abbia raggiunto il massimo dell’adattamento possibile, ovvero una costituzione genetica tale che, date le circostanze, non sarebbe possibile aumentare ulteriormente il numero di discendenti che ogni individuo può mediamente lasciare (fitness). Non è detto che si arrivi mai a questo massimo teorico, perché il percorso evolutivo è stocastico, e perché l’ambiente potrebbe cambiare (e in massima parte lo fa) prima che esso sia raggiunto per accumulo di mutazioni; però ci si può sempre chiedere se quel massimo esiste e quanto lo stato attuale sia ulteriormente ottimizzabile, quanto cioè una data funzione legata alla costituzione di un certo tratto del genoma di un organismo possa essere distante dall’ottimo teorico.

 

In tempi di pandemia, queste considerazioni di biologia evoluzionistica hanno preso la forma di una domanda precisa: quando terminerà l’evoluzione del virus? Quanto può, in particolare, diventare ancora peggiore per noi, per esempio aumentando ancora l’infettività? Predire la direzione evolutiva che prenderà un particolare organismo – o meglio, nel caso dei virus, l’insieme di quasispecie virali che noi identifichiamo come appartenenti allo stesso gruppo biologico – è, come ho detto molte volte, impossibile; questo fatto esclude apriori la possibilità di dare una risposta alla domanda circa il “quando” si raggiungerà il limite di evolvibilità. Tutto quello che possiamo sapere è che un limite a quello che il virus può fare – o per meglio dire una serie di limiti alle sue diverse proprietà biologiche – certamente esiste, e quindi esiste un “modo di esser virus” (si dice tecnicamente, un fenotipo) che può rappresentare il peggio possibile e producibile, date le condizioni della popolazione umana attuale e dell’ambiente complessivo (ivi inclusi vaccini, farmaci e contromisure che adottiamo); ma non sappiamo quale sia questo peggio possibile, e di conseguenza non sappiamo nemmeno se ci siamo già arrivati vicino, o se le cose potrebbero peggiorare moltissimo.

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Possiamo però esaminare una caratteristica particolare dell’essere virus, una caratteristica vantaggiosa: la capacità del genoma virale di dirigere in modo efficiente la sintesi nella massima quantità possibile delle proteine che servono a costruire nuovi virus.

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Come in una fabbrica ben organizzata, nel genoma di ogni organismo vivente è specificata non solo l’informazione che specifica come sono fatti tutte le proteine che lo compongono, ma anche l’informazione che regola il numero di copie che bisogna fabbricare di ogni proteina e le condizioni in cui ciascun tipo di proteina è richiesta. Per un virus, le necessità sono semplici: una volta che il genoma virale è all’interno di una cellula infetta, è necessario fare quante più copie possibile, nel minor tempo possibile, di ogni proteina necessaria a generare nuovi virus. Più proteine si fanno per unità di tempo, più discendenti si genereranno; e questo, per un virus, è ovviamente un diretto vantaggio darwiniano.

 

Ora, si dà il caso che con un lavoro spettacolare, alcuni ricercatori sono riusciti per la prima volta a dimostrare che è possibile, esaminando certe specifiche regioni del genoma di un organismo (il lievito) dette promotori, sapere la quantità di ogni tipo di proteina prodotta in maniera accuratissima. In particolare, i ricercatori hanno ottenuto un sistema di intelligenza artificiale che, addestrato con una procedura i cui dettagli qui non riferirò, è in grado di predire dalla precisa sequenza di un promotore la quantità di proteina che esso sarà in grado di far produrre.
Ciò dimostra che, in linea di principio, se io guardassi ai promotori nel genoma del virus SARS-CoV-2, sarei in grado di capire se essi hanno già raggiunto la massima efficienza possibile, o se c’è ancora spazio per “migliorare” dal punto di vista del virus, cioè se vi è possibilità di evolvere sequenze che porteranno ad una sintesi di nuovi virus discendenti ancora più efficace, una volta infettata una cellula umana.

 

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Per la prima volta è stato quindi ottenuta una risposta affermativa alla domanda che spesso mi arriva: almeno per una delle caratteristiche del virus che ne determinano la “cattiveria”, cioè la capacità di lasciar discendenti, esiste la possibilità di predire quanto teoricamente avanti può ancora andare l’evoluzione. Aspettando la verifica sperimentale di questo punto nei virus, intanto, i ricercatori hanno dimostrato che nel lievito posso ottimizzare la produzione di proteine di interesse biotecnologico, trovando i migliori promotori; e se consideriamo che in lievito è stata prodotta industrialmente fin dagli anni ‘80 l’insulina, e che una grande fetta dei prodotti biotech è oggi ottenuta dai lieviti, è chiaro che non solo la teoria dell’evoluzione biologica, ma anche le applicazioni industriali hanno molto da guadagnare da questa scoperta.

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