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occhio alle stelle

Bye bye Hubble, arriva la rivoluzione astronomica di JSWT

Umberto Minopoli

Il glorioso telescopio spaziale della Nasa va in pensione, con le sue fotografie ha trasformato il cosmo in un'opera d'arte. Al suo posto si lancia nello spazio un nuovo osservatorio intitolato a James Webb, il direttore che portò gli americani sulla luna. Cambierà la nostra percezione dell'universo

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L’Hubble Telescope, mito dell’astronomia in orbita dal 1990, ha rivoluzionato in trent’anni l’immaginario sullo spazio. Con le sue coloratissime fotografie di oggetti ed eventi cosmici lontani che sono diventate icone, rappresentazioni diffuse di quell’universo come “opera d’arte” che la moderna tecnologia astronomica consente di raffigurare come oggetto reale. Ora Hubble viene dismesso. Sostituito, sabato il lancio, da un telescopio ancora più grande e soprattutto innovativo: il Jwst (telescopio spaziale James Webb). Il lancio avviene in un clima singolare di preoccupazioni e polemiche. Per il nome scelto, anzitutto. Nel clima divisivo del politically correct, la scelta della Nasa di titolare l’osservatorio al direttore che nel 1969 portò gli americani sulla luna ha scatenato polemiche: Webb è accusato di aver partecipato, in un lontano passato, a epurazioni omofobiche, che la Nasa sostiene non siano provate. L’altra preoccupazione che agita l’attesa dell’ente spaziale Usa (e dell’Agenzia spaziale europea che compartecipa la missione) è il costo, dieci miliardi di dollari. Andasse storto qualcosa, si tratterebbe di un’ecatombe scientifica. Che certamente azzopperebbe per chissà quanti anni i progetti di studio dei misteri dell’universo. 

Il telescopio andrà a occupare in cielo il punto L2 di Lagrange: uno di quei luoghi ineffabile sull’asse tra la terra e il sole dove si annullano, per gli oggetti che ci si trovano, le forze gravitazionali dei due corpi celesti in competizione. In sostanza l’oggetto resta fermo, in relazione ai due corpi più grandi. Sono parecchie, impressionanti e promettenti le innovazioni di Jwst rispetto a ogni altro telescopio in orbita, che lo rendono il più potente mai dispiegato. Anzitutto per un componente chiave, lo specchio: 6,5 metri di diametro contro i 2,4 di Hubble (e i 3,5 di Hershel dell’Esa). Uno specchio più grande raccoglie più luce. E la luce, nello spazio, è l’immagine del tempo: consente di vedere oggetti a distanze inimmaginabili per i suoi predecessori. Nei programmi del Webb Telescope ci sono perciò obiettivi come la scansione della “struttura a grande scala dell’universo”, la distribuzione osservabile della materia e dell’energia nell’ordine di miliardi di anni luce: laddove il cosmo ci appare come una trama  fitta, un network singolare di snodi e stazioni, quasi una rete neurale. Con strumenti di precisione nuovi e sofisticati, Webb penetrerà lo spazio lontano alle dimensioni interferometriche (studio delle onde elettromagnetiche) dei picometri (miliardesimi di metro). Si potrà “leggere”, per esempio, la “prima luce” in senso letterale, l’origine e la formazione delle prime stelle e galassie, sapere di più su materia ed energia oscure. 

Ma la rivoluzione forse più promettente di Jwst sarà la sua capacità di osservazione nelle frequenze dell’infrarosso. Un’altra innovazione rispetto a Hubble e ogni altro osservatorio. Penetrare l’infrarosso consentirà due attività su cui gli attuali osservatori sono, letteralmente, ciechi: analizzare la luce debole e rossa delle galassie che si allontanano (per l’espansione dell’universo), capire la chimica delle prime stelle, penetrare le nubi di polvere che ancora ci precludono oggetti  invisibili nei dischi stellari e nei nuclei galattici, intercettare le biofirme. E’ l’ultimo tassello che manca nel puzzle della vita fuori dalla terra. Con la tecnologia dell’infrarosso sarà possibile scansionare l’atmosfera degli esopianeti, leggerne la chimica, individuare la presenza eventuale di biomarcatori o segni di reazioni (ozono, metano, ossigeno) che annuncino tracce di vita organica. Insomma, incrociamo le dita sabato 18, al lancio di Jwst.

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