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Il caso LightUp tra scienza e magistratura: “Ofelè fa el to mesté!”

Fiorenzo Conti*

Il progetto finanziato dallo European Research Council (Erc) è al centro di un imbarazzante episodio di discredito della logica, delle procedure scientifiche e della libertà della ricerca
 

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La vicenda del progetto LightUp, finanziato dallo European Research Council (Erc) e al centro di un imbarazzante episodio di discredito della logica, delle procedure scientifiche e della libertà della ricerca, si è arricchita di un nuovo capitolo, proprio alla vigilia della sentenza che dovrebbe mettere fine alla questione. È notizia di pochi giorni fa, che in questo procedimento potrebbero mancare le caratteristiche di terzietà e imparzialità richieste dalla Costituzione per una possibile posizione pregiudiziale del presidente della III sezione del Consiglio di stato chiamata a deliberare. In mancanza di elementi certi, non possiamo che essere fiduciosi che sia il presidente del Consiglio di stato sia il presidente della sezione interessata eserciteranno il loro compito seguendo i dettami procedurali e senza concessioni a visioni personali. Da studiosi che quotidianamente si confrontano con l'attività di ricerca in laboratorio, lascia sgomenti percepire quanto sia tuttora diffusa l’errata convinzione che l’impiego di animali nella sperimentazione biomedica debba essere combattuto o bandito.

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La vicenda del progetto LightUp, finanziato dallo European Research Council (Erc) e al centro di un imbarazzante episodio di discredito della logica, delle procedure scientifiche e della libertà della ricerca, si è arricchita di un nuovo capitolo, proprio alla vigilia della sentenza che dovrebbe mettere fine alla questione. È notizia di pochi giorni fa, che in questo procedimento potrebbero mancare le caratteristiche di terzietà e imparzialità richieste dalla Costituzione per una possibile posizione pregiudiziale del presidente della III sezione del Consiglio di stato chiamata a deliberare. In mancanza di elementi certi, non possiamo che essere fiduciosi che sia il presidente del Consiglio di stato sia il presidente della sezione interessata eserciteranno il loro compito seguendo i dettami procedurali e senza concessioni a visioni personali. Da studiosi che quotidianamente si confrontano con l'attività di ricerca in laboratorio, lascia sgomenti percepire quanto sia tuttora diffusa l’errata convinzione che l’impiego di animali nella sperimentazione biomedica debba essere combattuto o bandito.

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E questo nonostante la stessa attualità la smentisca, ricordandoci in ogni momento che non solo la salute nostra e dei nostri cari ma anche il futuro del nostro Paese sono inevitabilmente legati alla messa a punto, autorizzazione e produzione di vaccini e farmaci contro il virus SARS-CoV-2, processo che non può prescindere dall’impiego di animali. In questo paese la natura e la qualità del rapporto tra la scienza da una parte e la politica e la magistratura dall’altra non mostrano alcun segno di evoluzione. Abbiamo vissuto la stagione Di Bella e l’ancor più drammatica stagione Stamina nelle quali la valutazione scientifica (con impatto sulla terapia di malati) era stata promossa dall’interventismo dei giudici del lavoro e amministrativi. E credevamo (o speravamo) che il coraggio, l’intelligenza e la determinazione dei pochi che erano riusciti a chiudere la stagione Stamina potessero rappresentare uno spartiacque destinato a proiettarci verso una più equilibrata interazione tra studiosi, decisori politici e istituzioni giudiziarie. Speranza vana. Negli ultimi mesi, il Consiglio di stato ha dapprima revocato una decisione dell’Aifa e ha autorizzato l’impiego, a discrezione del medico, di idrossiclorochina nella terapia di Covid-19, in spregio alle evidenze scientifiche che consistono in molte prove sperimentali di seri effetti collaterali a fronte, finora, di nessuna dimostrazione di efficacia.

 

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Ora lo stesso Consiglio di stato sta per deliberare in maniera definitiva su una questione che è prettamente scientifica (esperimenti su modelli animali proposti e approvati da organismi nazionali, statali e internazionali), anche per quanto concerne gli aspetti etici, sono utili o no per poter pensare di migliorare la terapia dei danni cerebrali che fanno seguito ad insulti di varia natura, traumatica o vascolare? Esistono metodi alternativi per ottenere le stese informazioni? Non possiamo che esprimere preoccupazione per questa tendenza, condividere le argomentazioni legali esposte da Luca Simonetti sul Foglio del 18 dicembre 2020 e fare nostre le sue conclusioni: “E’ sorprendente che il Consiglio di stato discetti di questioni tecniche quasi fosse in grado di discutere da pari a pari con gli esperti dell’Aifa”; “L’arbitrio del decisore tecnico o politico sarà pure brutto quanto si vuole, ma non è che l’arbitrio del decisore giudiziale sia meglio” e “la giustizia amministrativa dice di non voler sostituire le sue valutazioni a quelle dell’Aifa, mentre fa esattamente questo”.

 

Gli intricati e complessi rapporti tra “piccoli mondi” che possono entrare in conflitto di competenze sono numerosi e quotidianamente ne verifichiamo gli effetti, ma, quando queste sovrapposizioni giurisdizionali toccano la salute e la conoscenza, la questione diventa ancora più grave. Auspichiamo dunque che il legislatore si faccia carico, per tutelare la salute dei cittadini, di chiarire meglio gli ambiti di competenza di ciascun attore, in modo da evitare “rimbalzi” disorientanti e dannosi. Un vecchio detto milanese recita “Ofelè fa el to mesté!”, un monito a chi si improvvisa esperto e cerca di fare ciò che non è in grado di fare perché non ha le competenze.  Forse un po’ di antica saggezza popolare potrebbe essere un buon inizio.

 

Fiorenzo Conti, presidente della Società italiana di Fisiologia

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