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Il Covid che varia non è una sorpresa

Silvio Garattini

Le mutazioni in genere sono attese. Quella scoperta in Inghilterra non dovrebbe avere effetti sul vaccino

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La notizia riguardante una nuova variante del virus Sars-CoV-2 sviluppatasi nel Regno Unito ha determinato immediatamente una serie di iniziative incluso il blocco di tutti i viaggi fra Italia e Inghilterra e viceversa. La notizia deriva da un importante lavoro condotto dal “Covid-19 Genomics Uk”, un consorzio (Cog-Uk) costituito da istituzioni accademiche, che dall’inizio della pandemia ha sequenziato ben 140.000 genomi di virus presenti in persone infettate. La nuova variante non è una sorpresa, perché sono state finora evidenziate almeno 4.000 mutazioni nella proteina “spike” in aggiunta a tutte quelle verificatesi in altre parti del virus.

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La notizia riguardante una nuova variante del virus Sars-CoV-2 sviluppatasi nel Regno Unito ha determinato immediatamente una serie di iniziative incluso il blocco di tutti i viaggi fra Italia e Inghilterra e viceversa. La notizia deriva da un importante lavoro condotto dal “Covid-19 Genomics Uk”, un consorzio (Cog-Uk) costituito da istituzioni accademiche, che dall’inizio della pandemia ha sequenziato ben 140.000 genomi di virus presenti in persone infettate. La nuova variante non è una sorpresa, perché sono state finora evidenziate almeno 4.000 mutazioni nella proteina “spike” in aggiunta a tutte quelle verificatesi in altre parti del virus.

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In linea generale le mutazioni sono attese e non hanno grande importanza, perché fanno parte della naturale evoluzione del virus. Solo in pochi casi le mutazioni possono determinare un cambiamento nell’aggressività del virus. Il CoV-2 è considerato finora più stabile di altri, ad esempio del virus dell’influenza, che richiede ogni anno un vaccino differente. Per ora non sappiamo se il vaccino anti Covid-19 attualmente utilizzato dovrà essere cambiato in futuro. Solo il tempo potrà darci utili informazioni. Secondo un rapporto comparso in questi giorni sul British Medical Journal (Bmj) la nuova variante denominata Vui-202012 è rappresentata da 17 mutazioni, cioè cambiamenti di aminoacidi nella proteina spike, quella rappresentata dalle punte del virus. La più significativa è una mutazione denominata N501Y, in cui l’aminoacido asparagina è sostituito da un altro aminoacido, la tirosina. Questa mutazione, in particolare, coinvolge una parte della proteina spike che si interfaccia con una proteina, detta Ace-2, presente sulle membrane cellulari per entrare nelle cellule, condizione essenziale perché il virus possa sopravvivere. La nuova variante ha suscitato interesse perché è stata ritrovata in circa 60 differenti localizzazioni in oltre 1.000 persone e con una prevalenza nell’area sud-est dell’Inghilterra, ma con presenze anche nel Galles e nella Scozia. Naturalmente molte sono le domande che nascono spontaneamente. Ad esempio, come mai, essendoci già state molte mutazioni, questa è ritenuta così importante? Una prima ragione dipende dalla constatazione che la nuova variante avrebbe una maggiore affinità per il recettore che permette l’entrata del virus nelle cellule. Inoltre sembrerebbe più infettante, perché questa variante si è ritrovata in aree dove il contagio è cresciuto più rapidamente. Tuttavia non si tratta di un rapporto di causa ed effetto, perché potrebbe essere accaduto che in queste aree le persone siano state meno prudenti. Si tratta di un segnale che determinerà nuove ricerche. Ancora un dubbio: il tampone sarà sensibile alla variante? La risposta è positiva perché il test non determina una sola parte della proteina. Un’altra domanda riguarda la possibilità che il virus divenga più dannoso in termini di gravità della malattia e di mortalità. Per ora secondo alcuni esperti inglesi non vi sarebbero evidenze di questo. Inoltre, questa variante sarà ancora sensibile al vaccino? Lo sapremo molto presto, perché certamente una ricerca in merito probabilmente è già in corso. Tuttavia sappiamo che il vaccino produce anticorpi in molte parti della proteina spike e quindi non dovrebbe essere influenzato da questa mutazione, come è stato suggerito anche dall’ente regolatorio europeo, Ema. Lo stesso tipo di considerazioni vale per la sensibilità del virus agli anticorpi monoclonali, farmaci già approvati per combattere il virus, perché di fatto agiscono su varie parti della proteina spike, bloccandone l’entrata nelle cellule. Attendiamo quindi le risposte dei ricercatori senza inutili allarmismi, anche considerando che per ora la diffusione del virus dipende dai comportamenti di noi tutti. 

 

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Silvio Garattini è presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs

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