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UNO è IL TIMBRO, L'ALTRO è LA CARTA TIMBRATA

La differenza fra Dna e Rna spiegata a chi al bar sproloquia di vaccini anti Covid

Roberto Defez

Quando qualcuno ha paura, a nulla serve dirgli di non averne, anzi così si peggiora l’apprensione. Ma ragionare talvolta ci calma

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Siamo tutti in trepida attesa e pari ansia per l’arrivo del vaccino anti Covid. Allo stesso tempo, non sopportiamo l’idea che qualcuno ci passi davanti in fila per chi si deve vaccinare, ma vorremmo che fossero altri a iniziare “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, come diceva una canzone di Enzo Jannacci. Siamo accalcati, idealmente, all’ingresso del centro di vaccinazioni e vorremmo essere contemporaneamente i primi e gli ultimi a vaccinarci. Ossia aspettiamo il momento giusto in cui i nostri istintivi timori si attenueranno vedendo che tanti vaccinati prima di noi stanno bene, e i timori saranno piuttosto che finiscano le dosi e passi il nostro turno. Non può essere un caso che il presidente Sergio Mattarella e la Regina Elisabetta hanno offerto i loro corpi come testimonial per incoraggiare tutti a vaccinarsi. Ma cosa ci trattiene? Cosa ci fa esitare proprio ora che il vaccino ci può restituire a una qualche forma di socialità e intimità? Noi che abbiamo portato figli e nipoti a fare vaccini multivalenti fidandoci ciecamente del medico della mutua? Noi che siamo (quasi) la prima generazione che non ha subìto la tortura di essere infilati in forni di metallo per la cura della poliomielite? Il nuovo fa paura. Anche la velocità della ricerca scientifica ci impressiona: avranno fatto tutti i controlli e le verifiche? Poi ci si mette anche qualche camice bianco a sobillare dubbi e la frittata è fatta.

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Siamo tutti in trepida attesa e pari ansia per l’arrivo del vaccino anti Covid. Allo stesso tempo, non sopportiamo l’idea che qualcuno ci passi davanti in fila per chi si deve vaccinare, ma vorremmo che fossero altri a iniziare “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, come diceva una canzone di Enzo Jannacci. Siamo accalcati, idealmente, all’ingresso del centro di vaccinazioni e vorremmo essere contemporaneamente i primi e gli ultimi a vaccinarci. Ossia aspettiamo il momento giusto in cui i nostri istintivi timori si attenueranno vedendo che tanti vaccinati prima di noi stanno bene, e i timori saranno piuttosto che finiscano le dosi e passi il nostro turno. Non può essere un caso che il presidente Sergio Mattarella e la Regina Elisabetta hanno offerto i loro corpi come testimonial per incoraggiare tutti a vaccinarsi. Ma cosa ci trattiene? Cosa ci fa esitare proprio ora che il vaccino ci può restituire a una qualche forma di socialità e intimità? Noi che abbiamo portato figli e nipoti a fare vaccini multivalenti fidandoci ciecamente del medico della mutua? Noi che siamo (quasi) la prima generazione che non ha subìto la tortura di essere infilati in forni di metallo per la cura della poliomielite? Il nuovo fa paura. Anche la velocità della ricerca scientifica ci impressiona: avranno fatto tutti i controlli e le verifiche? Poi ci si mette anche qualche camice bianco a sobillare dubbi e la frittata è fatta.

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Non avevamo mai sentito parlare di Rna, e ora questo sconosciuto ci farà tornare in classe e negli stadi? Sarebbe inutile ricordare che la vita sul pianeta Terra nasce proprio attorno a molecole di Rna, le prime ad aggregare intorno a sé altre molecole, tanto da finire dal distinguere un sé da un fuori di sé, un dentro da un fuori. Ma questi Rna erano (e sono) così fragili e le strutture di cui si circondavano duravano quanto un battito di ciglia. Finché non apparve una nuova molecola, il Dna (dal nome ora più familiare). Il rapporto tra il Dna e l’Rna è simile a quello di un timbro e della sua immagine su un foglio di carta. Il timbro è il Dna, lui porta impressa la memoria di una informazione, ma come timbro non ha valore, non ha funzione. Quello che conta è il foglio di carta timbrato: quello è l’Rna. Un timbro produce migliaia di sue immagini. Il vaccino che ci sta arrivando è fatto di Rna, ossia l’immagine riflessa del Dna. Quell’Rna a sua volta può dare una sola istruzione, ossia fare una nuova proteina che diventerà il bersaglio del nostro sistema immunitario che sarà così istruito a combattere la stessa proteina presente sul virus pandemico. Eppure qualcuno vocifera che quel pezzettino di Rna lungo meno di un milionesimo di centimetro, possa incunearsi nel nostro Dna e snaturarci o farci ammalare.

 

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Certo che ipotesi simili dette al bar fanno un certo effetto, ma ora i bar sono chiusi e quindi gli avventori si ritrovano talvolta a dare interviste. Quando qualcuno ha paura, a nulla serve dirgli di non avere paura, anzi si peggiora l’apprensione. Ma ragionare talvolta ci calma. Avete mai visto un foglio di carta farsi timbro? Io mai. E un giornale diventare rotativa? Nemmeno. E poi cosa farebbe un foglio di carta in mezzo a tanti caratteri di piombo: farebbe carta straccia. Poi abbiamo capito che l’Rna del vaccino è cortissimo, ma quanto è lungo il Dna, un centimetro, un metro, un chilometro? No sbagliato. Se prendiamo tutto il Dna contenuto in tutte le cellule di un essere umano e lo stendiamo come se fosse un filo possiamo coprire sessantotto volte la distanza che separa la Terra dal Sole. Mi correggo: 68 volte in andata e 68 di ritorno. E poi timbro e carta sono fatti di materie che non stanno bene insieme. Forse queste cose l’avventore del bar non le ha spiegate bene, ma soprattutto non ha notato che questi vaccini in arrivo hanno un altro merito: è forse la prima volta che la scienza e la tecnologia fanno un progresso spettacolare senza trovarsi in un conflitto militare. Una grande innovazione in tempo di pace che è anche un vaccino di pace, perché solo se tutti si vaccinano, tutti usciremo dalla pandemia.

 

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