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Da Cassandra a guru. Burioni, l’uomo che può dire: “Io vi avevo avvertito”

Marianna Rizzini

La scienza e le grandi epidemie: il nuovo libro del virologo

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Roma. All’inizio dell’incubo nessuno ancora sapeva che invece era realtà. E infatti non tutti volevano ascoltare Roberto Burioni – virologo dell’Università Vita-Salute San Raffaele, autore di “Virus, la grande sfida. Dal coronavirus alla peste, come la scienza può salvare l’umanità” (appena uscito per Rizzoli, scritto con la collaborazione dell’epidemiologo Pier Luigi Lopalco). E dunque, quando parlava l’uomo che continuava a dire “guardate che dalla Cina il virus arriverà qui”, c’era una forte componente di spettatori, lettori e internauti che lo trattava da Cassandra, la profetessa di sventura non creduta (e c’era anche chi gli dava del razzista per aver detto che l’unico modo per fermare il contagio era isolare chi arrivava dalla Cina). Solo che poi non soltanto è arrivato il virus, ma anche i bollettini dalla Lombardia, con il sovraccarico degli ospedali, i defunti e i malati gravi, e il climax dell’orrore fino a oggi, con l’intero paese che si ferma sull’orlo del “tutti a casa”. E Burioni, quello che l’aveva detto quando era l’uomo da ascoltare con riserva (in molti pensavano: ma non starà esagerando?), è diventato l’uomo da ascoltare punto e basta, assieme agli altri medici con cui il virologo, lodato dalla rivista “Science” per la sua battaglia contro i no-vax, al momento non discute più, almeno non come un paio di settimane fa, quando, per aver contestato in modo rude la virologa del Sacco Maria Rita Gismondo, in disaccordo con lui sul grado di allarmismo, è entrato nel mirino degli odiatori sul web. “Chiedo la quarantena da gennaio, spiace aver avuto ragione”, ha detto Burioni, sapendo di averlo già ripetuto ovunque: sul sito Medical facts, quartier generale dello smantellamento fake-news (dal caso Stamina in giù), e da schermi tv e social network.

 

E’ una Nemesi amara, in cui nessuno è vincitore, anche se le indicazioni di Burioni – a questo punto dell’emergenza e del ravvedimento dei negazionisti – sono seguitissime, e anche se sui social è diventata virale la battuta automotivazionale su Burioni “che se esci ti vede”.

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Nel suo libro, invece, Burioni racconta a ritroso la storia di tutte le volte in cui l’uomo si è trovato in questa situazione se non in situazioni peggiori, sotto lo sciame virale di peste, Sars, spagnola, Hiv ed Ebola, per uscirne ogni volta vincitore grazie alla fiducia nella scienza. E, in giorni in cui si leggono inviti alla calma in nome dei nonni che hanno affrontato una o due guerre, il capitolo sull’influenza spagnola inchioda a una doppia riflessione la parte di noi che fatica a metabolizzare il “tutti a casa”: erano appena usciti dalla Prima guerra mondiale, i nonni e i bisnonni, e la spagnola, arrivata con una maledetta primavera, aveva aggiunto terrore al dolore delle trincee, simbolo nefasto del conflitto. E se l’Aids degli anni Ottanta e Novanta sembra lontano, perché è come se il pericolo scampato infine dall’umanità (le cure oggi funzionano) avesse cancellato anche la memoria del rischio, ci si sorprende a riflettere sulle parole di Tucidide, che Burioni riporta nel capitolo sulla pestilenza che colpì Atene nell’estate del 430 a. C: “… Un tale contagio e una tale strage quali non erano avvenuti in nessun luogo a memoria d’uomo”. Tucidide, contagiato e guarito, va al cuore delle conseguenze che la pestilenza ha sulla vita morale, sociale e politica di una città (“il morbo dette inizio a numerose infrazioni delle leggi…”). Cita anche Boccaccio, il virologo, e proprio a proposito delle implicazioni etiche e psicologiche della peste. Quali saranno le implicazioni del coronavirus non sappiamo, ma il meccanismo dell’iniziale minimizzazione e rimozione, come si evince dal capitolo su Wuhan, è scattato anche questa volta.

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