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politica sanitaria

Cosa non dice Meloni sulla sanità

Giovanni Rodriquez

La salute non fa parte dell'agenda del nuovo primo ministro. Il premier ha criticato i modelli che non vuole seguire, definiti troppo coercitivi, e ha chiesto chiarezza in merito alla gestione della pandemia. Un discorso più da opposizione che da governo

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La sanità sembra non faccia parte dell’agenda Meloni. Nei settanta minuti di intervento e nei successivi trentatrè della replica alla Camera, la premier non ha mai parlato di sanità. Un discorso da opposizione, con le consuete critiche alla passata gestione della pandemia alle quali, peraltro, non sono seguite indicazioni su come si intenderà procederà da qui in avanti, ad esempio sulle vaccinazioni che non sono mai state citate. 

 

Meloni ha ricordato come l'Italia abbia adottato “le misure più restrittive dell'intero occidente, arrivando a limitare fortemente le libertà fondamentali di persone e attività economiche, ma, nonostante questo, è tra gli stati che hanno registrato i peggiori dati in termini di mortalità e contagi. Qualcosa decisamente non ha funzionato e, dunque, voglio dire, fin d'ora, che non replicheremo, in nessun caso, quel modello”. E ancora: “L’informazione corretta, la prevenzione e la responsabilizzazione sono più efficaci della coercizione, in tutti gli ambiti”. Eppure, alcune di queste misure restrittive come il green pass e l’obbligo vaccinale hanno contribuito a far sì che l’Italia abbia avuto una delle campagne vaccinali di maggior successo dell’intero Occidente.

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Fattore, quest’ultimo, che ha permesso un progressivo abbandono di ogni restrizione in sicurezza e garantito la piena operabilità degli ospedali. Il presidente del Consiglio dovrebbe inoltre ricordare come il nuovo ministro della Salute, Orazio Schillaci, indicato proprio dal suo partito, sia stato uno dei tanti sostenitori di quelle restrizioni avendo già lo scorso anno, nel ruolo di rettore dell’università Tor Vergata, appoggiato  il green pass anche negli atenei.


Non è mancato un passaggio sulle cure domiciliari, quando la premier ha spiegato come “l'ascolto dei medici sul campo è più prezioso delle linee guida scritte da qualche burocrate”. Le linee guida sono state però elaborate da un gruppo di lavoro costituito da rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico, di contro è bene ricordare che tra quei medici sul campo citati da Meloni erano presenti anche coloro che sconsigliavano il ricorso ai vaccini e prescrivevano terapie off-label a base di farmaci non solo inutili ma spesso anche nocivi come l’ivermectina.

 

Infine Meloni ha chiesto chiarezza sulla gestione della pandemia: “Lo si deve a chi ha perso la vita e a chi non si è risparmiato nelle corsie degli ospedali, mentre altri facevano affari milionari con mascherine e respiratori”. Una richiesta che sembra richiamare le proposte di istituzione di una commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid già avanzata nella scorsa legislatura. Inchieste che stando alle parole della premier sembrerebbe debbano fermarsi solo a una fase iniziale dell’emergenza, guidata dall’ex commissario Domenico Arcuri, per l’approvvigionamento di attrezzature e dispositivi di protezione. 

 

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Neanche un accenno invece sulle urgenze della sanità, dalla messa a terra del Pnrr alla riforma della sanità territoriale messa in discussione nel corso della campagna elettorale da FdI, fino alla carenza di medici e al finanziamento del Servizio sanitario nazionale che, dopo aver toccato il 7 per cento del pil durante l’emergenza, scenderà al 6,1 per cento nel 2025 come previsto dalla Nadef, ovvero addirittura meno di quanto si spendeva prima del Covid. Troppo poco presidente Meloni, la sanità non è il Covid e non si esaurisce con la fine dell’emergenza.

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