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sputnik e l'europa

I conti che non tornano sui dati di efficacia del vaccino russo

Enrico Bucci

In una lettera all’Ema le perplessità di un gruppo internazionale di scienziati (anche russi)

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C’è gente, tra cui qualche mio amico, che sarebbe disposta a utilizzare canali non si sa quanto legittimi pur di farsi inoculare il vaccino Sputnik – anche se magari è già prenotata per AstraZeneca. Dunque, parliamo ancora una volta di Sputnik. Proprio ieri, insieme a diversi colleghi di ogni paese del mondo – anche russi – abbiamo pubblicato una prima lettera sul British Medical Journal, in cui sottolineiamo un aspetto importante sui dati di efficacia sin qui comunicati: un semplice test statistico può dimostrare che tutti quei 90 e passa per cento di efficacia discussi in tre comunicazioni ad interim sono troppo omogenei per essere veri – ovvero i numeri comunicati, tenendo conto della variabilità intrinseca che si dovrebbe osservare, sono troppo simili – e sono anche troppo simili a quel 91,6 per cento di efficacia pubblicato sul Lancet dopo la fase 3. Il Lancet, a sua volta, mi ha richiesto una lettera per dettagliare tutti i restanti aspetti critici che riguardano l’articolo pubblicato sulla fase 3, che si spera saranno a breve pubblicati da quel giornale; in sostanza, i lettori ricorderanno che il problema principale sta nella non disponibilità dei dati che permettano di riottenere i risultati pubblicati. Non, quindi, di ogni singolo dettaglio su ogni singolo paziente, ma solo il minimo sindacale per riprodurre almeno i conti degli autori.

Come annunciamo nella lettera pubblicata da Bmj, le nostre perplessità sono state trasmesse anche all’Ema; e il fatto stesso che esista un canale, attraverso cui chiunque possa comunicare dubbi e problemi scientifici su un vaccino, dovrebbe farci riflettere sul valore e sul significato dell’Agenzia di farmacovigilanza europea. Del resto, l’Ema sembra condividere almeno alcune delle perplessità nostre e di altri gruppi sulla reale consistenza dei dati presentati dai russi: in un articolo del Financial Times si annuncia che un team scientifico di Ema vuole investigare se i ricercatori russi abbiano seguito le buone pratiche cliniche, etiche e scientifiche durante la loro sperimentazione di Sputnik.


 

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A ciò si aggiunge il fatto che in Slovacchia, dove Sputnik è diventato un caso politico a causa del modo frettoloso in cui il primo ministro ha proceduto all’acquisto di dosi, la principale agenzia regolatoria Sukl e il ministro della Salute hanno dichiarato ancora una volta che mancano i dati sul vaccino Sputnik e che non si può autorizzare il suo uso, “a causa di una quantità di dati mancanti dal produttore, incoerenza delle forme di dosaggio e l’impossibilità di confrontare fra loro i lotti utilizzati in vari studi e paesi” . I dati, ancora una volta, proprio come con tanti altri ricercatori chiedo da mesi. Proprio quei dati che, sprezzantemente, il capo delle ricerche su Sputnik dichiarò di non poter fornire a chiunque dei 7 miliardi di abitanti del mondo li richiedesse, in risposta alle domande della comunità scientifica internazionale.

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Intanto, in Italia partono gli studi su Sputnik – in aggiunta allo studio annunciato dallo Spallanzani sulle varianti è interessante quanto annunciato dall’Università di Ferrara, che utilizzando i dati ricavati da 10.000 abitanti di San Marino cercherà di valutare la reale efficacia e sicurezza, in maniera indipendente.

Così forse, rivolgendosi ad altri paesi e utilizzandone come cavie gli abitanti e come scienziati i ricercatori del luogo, finalmente i russi riusciranno ad avere qualcosa di solido, seguendo il metodo scientifico sperabilmente con maggior rigore e senza comunicare numeri che non stanno in piedi. E alla fine, sempre che i problemi di produzione si risolvano, potremo avere un altro vaccino ad adenovirus, che – potete scommetterci – funzionerà esattamente come tutti gli altri vaccini ad adenovirus, né meglio né peggio.

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