Con l’avvento della medicina personalizzata è probabile che i farmaci, rivolgendosi a pochi ammalati, aumentino notevolmente di prezzo (Foto Ansa)

una imprenditorialità non-profit?

È questo il momento giusto per ripensare i brevetti dei farmaci

Silvio Garattini

Il ruolo delle multinazionali e quello delle autorità nazionali: di fronte alla pandemia è necessario ridiscutere abilitazioni, licenze e proprietà intellettuale. Una questione non solo etica, ma anche economica e temporale

Fra i tanti problemi che la pandemia da SarsCov-2 ha evidenziato vi è la discussione sulla liceità di un brevetto quando si ha a che fare con milioni di morti e la disponibilità di un vaccino rimane insufficiente. Se le multinazionali proprietarie del brevetto dei vaccini avessero per tempo moltiplicato le possibilità produttive concedendo licenze ad altri produttori non saremmo di fronte a questa ecatombe. Alternativamente, le autorità nazionali o europee avrebbero potuto imporre licenze obbligatorie sempre considerando che una pandemia non può aspettare lunghe trattative per produrre prodotti fondamentali non solo per la salute, ma anche per l’economia. Non solo, è anche importante ricordare che la disponibilità dei vaccini deve essere estesa ai paesi a basso reddito non per ragioni di beneficenza, ma per evitare che circolando il virus si formino varianti insensibili agli attuali vaccini.

 

La liceità della temporanea messa in comune della proprietà intellettuale, spontanea o obbligata, è sostenuta non solo da ragioni etiche ma, anche, dal fatto che gli stati hanno speso miliardi di dollari per sostenere la rapidità della sperimentazione e della produzione. Inoltre la ricerca a cui hanno attinto le multinazionali per realizzare vaccini innovativi è largamente il frutto di una ricerca di base che è stata realizzata da strutture pubbliche e private non-profit, senza le quali sarebbe stato difficile raggiungere un risultato in tempi così brevi. Non vi è dubbio che lo sviluppo di vaccini e farmaci non sia sostenuto solo dalle aziende, ma anche dai finanziamenti pubblici che producono e rendono disponibili risultati a costo zero. Nell’ultimo decennio molte cose sono cambiate anche nella ricerca dell’industria farmaceutica. A differenza del passato, è molto diminuita la ricerca “preliminare” perché oggi molte idee innovative si ritrovano nelle start-up di tutto il mondo.

 

 

È in queste strutture che sono presenti gli “abbozzi” di prodotti che poi vengono utilizzati per la cosiddetta ricerca di sviluppo. Ma poiché molte industrie si ritrovano a competere per gli stessi prodotti, i costi d’acquisto stanno salendo vertiginosamente e si ripercuotono sui prezzi di vendita. Molti ricorderanno che il brevetto del Sofosbuvir, un farmaco attivo sull’epatite C, è stato acquistato per 10 miliardi di dollari, il che ha determinato un prezzo di 80.000 dollari al ciclo. In Italia per la prima volta si è dovuto acquistare il farmaco in più anni, con molti danni alla salute, perché la spesa globale era insostenibile considerando che avevamo quasi un milione di ammalati. Con l’avvento della medicina personalizzata è probabile che i farmaci, rivolgendosi a pochi ammalati, aumentino notevolmente di prezzo e quindi creino problemi anche ai paesi ricchi. Bisogna perciò pensare per tempo a una disciplina dei brevetti nel campo della salute. L’Italia è poco presente nel mondo dei brevetti, ma a livello ministeriale, Ricerca e Salute, vi è una notevole pressione perché aumenti la brevettabilità a livello delle strutture pubbliche mettendo a disposizione servizi di transfer tecnologico e addirittura giudicando il numero dei brevetti ottenuti un parametro di eccellenza delle università e degli Irccs.

Si tratta di una commercializzazione della scienza che in queste strutture dovrebbe essere rivolta più alla conoscenza che al ritorno economico. Da parte ministeriale si dice che comunque i brevetti possono portare danaro per aumentare e migliorare la ricerca. In realtà le somme spese dall’acquisto di un brevetto si ripercuotono necessariamente sul prezzo del farmaco che poi verrà acquistato dal Sistema sanitario nazionale. In questo modo ciò che si ottiene si ripaga ampiamente. Diversa sarebbe la situazione se invece la disponibilità di un brevetto servisse a condizionare verso il basso il prezzo del farmaco che ne risulta. Occorre quindi ripensare al brevetto ricordando che la sua adozione denatura la finalità della ricerca, perché se il brevetto è un obiettivo, ne deriverà la tendenza a percorrere linee di ricerca in quella direzione e perciò diventerà difficile collaborare con gli altri, non si potranno pubblicare i risultati in tempi rapidi, bisognerà mantenere il segreto per alcune informazioni e si dovrà difendere il brevetto, spesso con conflitti di interesse o di funzione. Una funzione diversa avrebbe il brevetto se si iniziasse a pensare, nel campo della salute, a una imprenditorialità non-profit, ad esempio, iniziando in settori di grande interesse, come i vaccini, i farmaci per le malattie rare, i farmaci adattati al genere, all’età pediatrica o geriatrica. Dovrebbero essere aziende sperimentali finanziate dal pubblico attraverso cui stabilire se si possono ottenere i risultati del privato, ma a prezzi minori. Siamo pronti a discuterne?

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