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I pericoli del nazionalismo vaccinale

Luciano Capone

Più che imitare gli Stati Uniti con un blocco alle esportazioni (pericoloso per la supply chain globale), l’Unione europea dovrebbe chiedere a Biden di abbandonare l'"America first" ed essere più solidale col mondo

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In questi giorni si torna a parlare di un blocco europeo alle esportazioni, come discusso al vertice dei leader dell’Unione europea. L’Ue è indietro nella distribuzione e somministrazione dei vaccini, mentre altri paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito sono in una fase molto più avanzata. E se questi due paesi hanno adottato meccanismi che bloccano l’export di vaccini, perché non l’Unione europea? Quindi: “Prima gli europei!”. Questo terreno è molto scivoloso, perché può innescare meccanismi di “nazionalismo vaccinale” con ricadute pesanti per tutto il mondo: in primo luogo per i paesi più poveri che non hanno una produzione domestica; ma anche per il mondo sviluppato, visto che la produzione dei vaccini richiede una supply chain globale di componenti e materie prime che il protezionismo rischia di spezzare.

 

La questione però, posta in un’Europa che arranca con appena 36 milioni di dosi consegnate, e che con i suoi siti produttivi soddisfa buona parte della domanda globale, ha un suo fondamento. Ma riguarda il ruolo e la politica degli Stati Uniti, la più grande potenza globale eppure l’unica che produce solo per se stessa. E l’America first vaccinale di Donald Trump non è cambiato con l’arrivo di Joe Biden. L’amministrazione democratica ha puntato molto sulla campagna vaccinale e sta ottenendo ottimi risultati. Biden aveva promesso 100 milioni di vaccinazioni nei primi 100 giorni e, dopo soli 37 giorni, è già a metà strada con 50 milioni di vaccini somministrati. Ottime notizie arrivano anche dal lato della produzione, che subirà una forte accelerata già nei prossimi giorni. Pfizer e Moderna, che producono i due vaccini già autorizzati, hanno annunciato un notevole incremento delle consegne: Pfizer passerà da 4-5 milioni di dosi a settimana di febbraio a 13 milioni di dosi a settimana da metà marzo; Moderna, che ora consegna 20 milioni di dosi al mese, raddoppierà ad aprile. Insieme avranno fornito complessivamente 220 milioni di dosi entro marzo, a cui si aggiungeranno 20 milioni di dosi Johnson & Johnson (dato per approvato); a maggio si arriverà a 400 milioni.

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Come detto, neppure un flaconcino prodotto andrà all'estero: tutti gli stabilimenti sul territorio statunitense lavoreranno per il mercato domestico. Questo crea distorsioni per l’Europa. Un caso emblematico è quello di Pfizer, che usa gli stabilimenti europei (passati da tre a undici) per rifornire l’Unione europea e il resto del mondo, inclusi paesi del continente americano come il Canada a nord e tutta l’America latina a sud. Non vuol dire che le aziende stiano “dirottando” le dosi altrove, perché come ha dichiarato anche la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, Pfizer e Moderna stanno rispettando i termini del contratto (i problemi sono tutti con AstraZeneca). Ma in ogni caso è dai siti europei che partono i vaccini per il resto del mondo. Più che adeguarsi al blocco delle esportazioni, l’Europa dovrebbe convincere l’Amministrazione Biden a condividere l’onere delle forniture globali. Ricordando agli Stati Uniti che in questo modo, ripiegandosi in un autarchico egoismo, stanno rinunciando alla loro leadership globale e anche alla dottrina Monroe. Fa un po’ impressione vedere i paesi dell’America latina, anche alleati degli Stati Uniti, rivolgersi per i vaccini ai suoi storici nemici, Russia e Cina, mentre lo zio Sam si guarda l’ombelico della politica interna.

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