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Produrre vaccini in Italia è possibile. Ecco come

Giovanni Rodriquez

Pfizer e Moderna potrebbero appoggiarsi ad alcuni stabilimenti italiani per allargare la produzione. In Veneto e nel Lazio sono già pronti due siti farmaceutici. Buoni motivi per percorrere questa strada

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“L'Italia è stata tra i primi promotori in Europa di facilities che consentano, in seguito all'accordo con le farmaceutiche autorizzate, la produzione anche domestica di vaccini. In Italia c'è già uno stabilimento di Anagni coinvolto nell'infialamento delle dosi di AstraZeneca ma ci sono altre facilities che sarebbero pronte. L'Italia è pronta”. Così la settimana scorsa il commissario all’emergenza Domenico Arcuri faceva il punto in conferenza stampa sulla capacità italiana di contribuire alla produzione di vaccini contro il Covid.

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“L'Italia è stata tra i primi promotori in Europa di facilities che consentano, in seguito all'accordo con le farmaceutiche autorizzate, la produzione anche domestica di vaccini. In Italia c'è già uno stabilimento di Anagni coinvolto nell'infialamento delle dosi di AstraZeneca ma ci sono altre facilities che sarebbero pronte. L'Italia è pronta”. Così la settimana scorsa il commissario all’emergenza Domenico Arcuri faceva il punto in conferenza stampa sulla capacità italiana di contribuire alla produzione di vaccini contro il Covid.

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Al momento, dunque, l’unico apporto dato dal nostro Paese riguarda proprio l’infialamento del vaccino di AstraZeneca grazie al contributo della Catalent ad Anagni. A differenza di quanto già avviene in Germania, Francia, Svizzera, Spagna e Belgio, siamo invece per ora tagliati fuori dal processo produttivo del vaccini mRNA di Pfizer e Moderna.

 

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Eppure, dopo le dichiarazioni di Arcuri, comincia a prendere forma l’ipotesi che Pfizer e Moderna possano appoggiarsi anche a stabilimenti italiani per allargare la loro produzione. In particolare sarebbero stati individuati due siti farmaceutici, nel Lazio e nel Veneto, già in possesso delle autorizzazioni rilasciate dagli enti regolatori e dei macchinari predisposti alla produzione di almeno una delle fasi del processo produttivo dei vaccini.

 

Per il Veneto c’è la Fidia Farmaceutici di Abano Terme, che sarebbe già stata contattata da Pfizer Biontech. “Le aziende tra loro si parlano e noi stiamo agevolando il dialogo tra Pfizer Biontech e Moderna con case farmaceutiche italiane in grado di collaborare alla produzione — ha confermato nei giorni scorsi Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria —. In tempi brevi potrebbero garantire solo l’infialatura, ma sarebbe comunque un buon supporto. L’iter burocratico, cioè le ispezioni degli enti regolatori per il rilascio delle specifiche autorizzazioni, in situazioni di emergenza può essere accelerato”.

 

Fidia, già a gennaio aveva dato la sua disponibilità a “partecipare alla produzione di vaccini anti Covid-19 nel rispetto degli accordi in essere con gli attuali partner, previa verifica e analisi della documentazione a supporto e delle autorizzazioni rilasciate dagli enti regolatori italiani e internazionali. Fasi propedeutiche alla produzione vera e propria e che coprono un arco di diversi mesi”.

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Anche la stessa Catalent nel Lazio potrebbe partecipare in tempi brevi al processo di infialatura per i vaccini mRNA. Come spiegato da Gennaro Ciliberto direttore scientifico dell’Irccs Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, la riconversione per il solo infialamento di questi prodotti potrebbe essere molto più semplice per chi ha già oggi le autorizzazioni degli enti regolatori per portare avanti questo tipo di procedure per altri vaccini. “L’intero processo - spiega Ciliberto - solitamente non avviene quasi mai in un unico stabilimento. Prima bisogna generare il Dna. Da lì si fa la trascrizione e si ottiene l’Rna. Si arriva poi alle nanoparticelle lipidiche e, infine, all’infialamento. Tutto questo processo solitamente avviene in stabilimenti diversi, ognuno con diverse facilities. Chi è esperto di infialamento può sicuramente fare l’infialamento di diverse tipologie di vaccini”.

 

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E se partendo dall’infialamento volessimo portare in Italia anche le tecnologie necessarie per gli altri processi produttivi? La questione qui si farebbe più complessa e, sicuramente, più lunga. Per i vaccini mRna, “il problema principale è che in Italia non abbiamo storicamente stabilimenti (le cosiddette strutture Good manufacturing practices – Gmp) specializzati nella produzione di vaccini genetici, siano essi a Rna, a Dna e con vettori virali quali gli adenovirus”, aggiunge Ciliberto.

 

Anche per gli adenovirus, se escludiamo quanto portato avanti con il progetto Reithera, in Italia come dicevamo ad oggi ci limitiamo all’infialamento di AstraZeneca. Per le altre fasi, infatti, non tutte le aziende farmaceutiche dispongono dei bioreattori indispensabili alla produzione. E’ ipotizzabile una loro riconversione, dal momento che non stiamo parlando di tecnologie particolarmente avanzate. Ma anche in questo caso servirebbe tempo. “Tra i lavori di riconversione e le approvazione da parte dell’Aifa potrebbe esser necessario quasi un anno”, sottolinea Ciliberto.

 

Ad ogni modo questa è una strada che l’Italia dovrebbe percorrere per una serie di motivi. Innanzitutto per non essere l’unico ‘big’ Ue ad esser tagliato fuori dal processo produttivo vero e proprio di questi vaccini. In secondo luogo perché sarà necessario soddisfare per lungo tempo una richiesta di vaccini di livello globale, dato che per la potenziale eradicazione del Covid non ci si potrà limitare ad un’immunità di comunità italiana o europea, ma sarà necessario allargare ben oltre lo sguardo. E infine, il ‘pericolo’ varianti resistenti ai vaccini ci impone il dovere di estendere e diversificare la loro produzione guardando a tutte le tecnologie più efficaci e promettenti, e dunque non solo a Rna e Dna, ma anche alla possibilità di avere a disposizione diversi vettori adenovirali. L’obiettivo resta quello di riuscire a rispondere in futuro in maniera più tempestiva a nuove minacce virali.

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