PUBBLICITÁ

cattivi scienziati

Cercansi dati clinici

Enrico Bucci

Si fa largo la tendenza a usare motivi contingenti per accantonare la sperimentazione clinica. Anche in Italia

PUBBLICITÁ

In India, la Bharat Biotech ha sviluppato un vaccino di vecchia generazione contro Sars-CoV-2: si tratta cioè di un vaccino basato sul virus inattivato, somministrato intero. La cosa non avrebbe particolare importanza per noi, se non fosse per una notizia appena riportata da Nature: a quanto pare, sono già in corso i test per vedere se quel vaccino è in grado di neutralizzare la cosiddetta “variante inglese”, ovvero il ceppo B.1.1.1.7, la cui mutazione principale – N501Y – è stata già trovata non essere rilevante per il vaccino Pfizer/BioNTech. Lo stesso risultato trovato per il vaccino di Pfizer è stato a quanto pare trovato anche per un altro vaccino di vecchia generazione, quello prodotto dalla cinese Sinopharm: gli anticorpi prodotti da scimmie e persone immunizzate sono in grado di neutralizzare quella mutazione.

    

 

PUBBLICITÁ

A parte le singole mutazioni, sia Moderna sia Pfizer stanno testando la capacità del ceppo inglese B.1.1.1.7 e di quello sudafricano 501Y.V2 di evadere i propri vaccini; in ogni caso, il ceo di Moderna ha dichiarato già lunedì che con la tecnologia dei vaccini a Rna sarà semplice eventualmente modificare il vaccino per “inseguire” mutazioni che diano problemi. Mentre questa è una dichiarazione ovvia, in linea con quanto tutti abbiamo scritto (anche su queste pagine), il ceo di Moderna ha fatto anche una seconda, ben più inattesa dichiarazione: secondo i dati in mano all’azienda, la protezione dal virus – inclusi gli effetti sulla trasmissione virale – potrebbe durare almeno un anno. Per questa seconda dichiarazione vale la considerazione di sempre: prima vediamo i dati, poi verifichiamo le chiacchiere dei ceo e dei politici. Tuttavia, almeno finora, ciò che l’azienda ha anticipato è sempre poi stato verificato nei dati pubblicati, e dunque possiamo considerare questa notizia con moderato ottimismo – anche alla luce del fatto che le prime dosi del vaccino di Moderna sono arrivate in Italia.

PUBBLICITÁ

 

Ora, la cosa su cui vorrei richiamare l’attenzione del lettore è che, in linea di massima, il modo in cui si sta rispondendo alle domande dettate dalla pandemia – che si tratti di come fronteggiare nuove varianti, o di quanto durerà l’immunità conferita dai vaccini e così via – passa per la sperimentazione e l’evidenza scientifica. Anche quando a parlare sono i ceo, essi fanno riferimento a esperimenti fatti dalle proprie aziende e dai laboratori universitari che collaborano con esse: non si sognano di comunicare notizie fondate su proprie o altrui interpretazioni o deduzioni, pur se comunicano con l’evidente scopo di influenzare positivamente mercato e investitori.

   

 

Anzi: quando vi sono notizie circa l’utilizzo dei propri vaccini al di fuori di ciò che è stato già sperimentato, come nel caso della proposta proveniente dall’Inghilterra di allungare il periodo di tempo tra la prima dose e la seconda, di abolire la seconda dose o di usare vaccini diversi per la prima e la seconda dose, correttamente le aziende, proprio come ha fatto Anthony Fauci negli Stati Uniti, sottolineano come si tratta di proposte che mettono a rischio l’efficacia della vaccinazione, perché si muovono al di fuori di quanto si è acquisito dalla sperimentazione clinica.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Eppure, anche in Italia, seguendo forse la moda inglese, qualcuno ha deciso di riproporre queste ipotesi, che non sono fondate sulla conoscenza attuale e sulla sperimentazione clinica acquisita. Sulla base di non si sa quali considerazioni circa il meccanismo di funzionamento dei vaccini attualmente autorizzati, si decide di ignorare il significato del boosting con la seconda dose (dimostrato), per ipotizzare una fantomatica sufficiente efficacia di una singola dose, senza nessuna evidenza nota che questo possa funzionare.

 

PUBBLICITÁ

Di più: con suggerimenti come questi, specie quando provengano da persone percepite come autorevoli dal pubblico, si dà anche l’idea che, alla fine, il rigore della sperimentazione clinica, con i suoi protocolli approvati da autorità indipendenti, con i suoi dati validati e con il suo stretto perimetro regolatorio per definire efficacia e sicurezza, valga solo fino al punto in cui si è ottenuta l’autorizzazione all’uso: da quel momento in poi, invece, ogni stato, addirittura ogni ricercatore possono suggerire variazioni d’uso non testate, ipotesi fantasiose, tentativi di estrapolazione dei dati oltre al loro stretto valore e significato.

 

Si tratta di un comportamento estremamente pericoloso e irresponsabile, se dovesse trovare seguito senza una sperimentazione preliminare, che si muova nei canoni regolatori faticosamente stabiliti nel corso di un secolo; e se la pandemia o le necessità contingenti dovessero essere usate per fare strame della sperimentazione clinica, pur nel caso in cui alla fine la scelta effettuata si rivelasse fortuitamente corretta, lo sarebbe per ragioni certamente sbagliate, e in danno al metodo scientifico che così faticosamente si è cercato di introdurre con la medicina basata sulle evidenze.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ