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IL FOGLIO SALUTE

Proposte per una odontoiatria pubblica che funzioni davvero

Antonella Sparaco, Aldo Bruno Giannì

Creare reparti in ogni grande ospedale con piccoli hub periferici. La Dental School dell’Università Statale di Milano apre il campo a un nuovo approccio, tra ricerca e formazione

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Perché negli ospedali lombardi si è scelto di demandare l’attività odontoiatrica in outsourcing? Le motivazioni sono diverse e complesse ma tra le principali ci sono i costi economici sicuramente importanti che un reparto di odontoiatria deve coprire. La qualità del risultato non è infatti solo frutto di un’accurata diagnosi e di un accurato piano terapeutico ma anche dell’utilizzo di una costosa tecnologia (oggi digitale per la stragrande parte) e di una merceologia con materiali di prima qualità a garanzia di un risultato che deve mantenersi nel tempo.

La sanità pubblica sembra quindi aver ritenuto tali costi eccessivi e non sostenibili e ha quindi scelto, evidentemente per evitare di farli pagare direttamente a prezzo pieno ai cittadini (scelta questa non sostenibile dal punto di vista sociale e politico), di appaltare nella maggior parte dei casi a società terze, come detto in precedenza, senza effettuare nessun tipo di controllo.
 

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Perché negli ospedali lombardi si è scelto di demandare l’attività odontoiatrica in outsourcing? Le motivazioni sono diverse e complesse ma tra le principali ci sono i costi economici sicuramente importanti che un reparto di odontoiatria deve coprire. La qualità del risultato non è infatti solo frutto di un’accurata diagnosi e di un accurato piano terapeutico ma anche dell’utilizzo di una costosa tecnologia (oggi digitale per la stragrande parte) e di una merceologia con materiali di prima qualità a garanzia di un risultato che deve mantenersi nel tempo.

La sanità pubblica sembra quindi aver ritenuto tali costi eccessivi e non sostenibili e ha quindi scelto, evidentemente per evitare di farli pagare direttamente a prezzo pieno ai cittadini (scelta questa non sostenibile dal punto di vista sociale e politico), di appaltare nella maggior parte dei casi a società terze, come detto in precedenza, senza effettuare nessun tipo di controllo.
 

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La comunicazione all’utente è tutt’altro che chiara: il paziente pensa di essere curato da una struttura pubblica, quando invece il SERVICE è una struttura privata che opera all’interno della struttura ospedaliera. Nella realtà però non viene considerato che un modello di odontoiatria pubblica sostenibile potrebbe concretamente essere creato. Partiamo da due semplici dati di fatto, vale a dire la necessità che quasi tutti i soggetti nel corso della vita necessitano di cure odontoiatriche e che la spesa odontoiatrica privata in Italia ammonta a circa 8/9 miliardi di euro negli ultimi 2 anni (fonte ANDI). Lo stato di fronte a questi numeri (di pazienti e di milioni di euro) non può demandare ad altri l’onere delle cure odontoiatriche. Il modello che si potrebbe perseguire è la creazione di moderni reparti di odontostomatologia all’interno di ogni grande ospedale, con dei piccoli hub periferici sul territorio, ciascuno dei quali si riferisce a un ospedale metropolitano in cui eseguire screening e prime visite, in stretta connessione con i medici di medicina generale. Tali reparti se costruiti in modo razionale e moderno con la selezione di personale medico, infermieristico e di supporto (es. ASO) dedicato, sarebbero in grado di competere con l’odontoiatria privata e, soprattutto, sarebbero in grado di intercettare buona parte del budget odontoiatrico attualmente nelle mani dei privati.
 

L’odontoiatria pubblica può infatti essere in grado di fare concorrenza alle srl solo investendo in ambienti idonei, moderni e tecnologicamente avanzati, garantendo nel contempo agli odontoiatri più bravi ed esperti di poter eseguire libera professione, all’interno dell’ospedale stesso (intramoenia), a prezzi corretti e con margini anche significativi per l’ospedale. Tale marginalità economica, tutt’altro che trascurabile se rapportata agli 8/9 miliardi prima ricordati, è in grado di creare un circuito virtuoso in cui i proventi ospedalieri della libera professione potrebbero garantire anche a quella fetta meno abbiente di popolazione (oggi stimata all’incirca nel 37 per cento che rinuncia o dilaziona eccessivamente le cure odontoiatriche) e a quei pazienti più fragili dal punto di vista sanitario (bambini, disabili, affetti da patologie croniche sistemiche etc.) di accedere a prestazioni di qualità, economicamente calmierate e addirittura sottocosto per quanto riguarda i materiali, che devono essere sempre di prim'ordine.
 

La realizzazione di tale modello convincerebbe poi i professionisti migliori, che oggi fuggono dall’ospedale e dalle università, a rimanere a lavorare all’interno del pubblico con la prospettiva di remunerazioni, forse sempre inferiori rispetto al privato, ma comunque soddisfacenti e adeguate al mercato e soprattutto con la prospettiva di godere di condizioni di lavoro decisamente migliori sia in termini di organizzazione che in termini di crescita culturale grazie anche alla vicinanza di colleghi di altre branche.

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In ultimo, il terzo pagante sarebbe probabilmente molto interessato o addirittura obbligato a creare sinergia con questo sistema. In tal modo, anche in odontoiatria lo stato garantirebbe la tutela della salute a tutti i cittadini, a prezzi bassi o comunque molto calmierati a chi è fragile economicamente, e a prezzi rispondenti alle logiche del mercato per chi, viceversa, può permetterselo. Non è altro che il principio della socialdemocrazia in cui ogni cittadino paga le tasse proporzionalmente al suo reddito per finanziare progetti di utilità sociale che si ripercuotono però su tutta la popolazione e, mutatis mutandis, la libera professione intramuraria consentirebbe a tutti di accedere a prestazioni pubbliche odontostomatologiche di qualità. L’attuazione di questo progetto è però estremamente difficile in Italia, a causa della eccessiva burocratizzazione e dei fardelli legislativi connessi alle attività proprie della pubblica amministrazione, e per questo rischia di rimanere una pura chimera.
 

La Lombardia, che spesso anche in ambito sanitario è stata in grado di aprire la strada a soluzioni innovative, dovrebbe avere la forza ed il coraggio di guidare e portare avanti questa idea nell’ambito di una sperimentazione pubblico-privato, in modo da dimostrare all’opinione pubblica che la stagione del malaffare odontoiatrico connesso alla politica è definitivamente superato e sostituito da un progetto di vera odontoiatria pubblica o meglio al servizio del pubblico. I pilastri su cui tale progetto si dovrebbe basare sono professionisti di elevato standard (odontoiatri, infermieri, ASO e amministrativi), tecnologia all’avanguardia, e ristrutturazione logistica. Sulla scorta di quanto precedentemente affermato, l’università degli studi di Milano ha in animo, come riportato all’interno del piano strategico triennale di ateneo, di creare una Dental School all’interno di uno dei grandi ospedali metropolitani milanesi. La Dental School si propone in pratica la realizzazione del progetto sopra esposto e cioè la creazione di un unico grande ambiente, moderno e tecnologicamente avanzato, di circa 8.000-10.000 metri quadri in cui tutta l’odontoiatria milanese universitaria potrà svolgere la sua opera assistenziale e formativa per gli studenti pre e post laurea. I docenti insegnano sul campo la professione di odontostomatologo in un ambiente in cui si fa anche ricerca di base e ricerca traslazionale al fine di creare una diversa figura di odontostomatologo, aperto al terzo millennio.

 

Antonella Sparaco, direttore U.O.C Odontoiatria ASST Fatebenefratelli-Sacco Milano
Aldo Bruno Giannì, professore ordinario di Chirurgia Maxilo-Facciale, Università degli studi di Milano, direttore U.O.C di Chirurgia Maxilo-Facciale e Odontostomatologia Fondazione Ca' Granda IRCCS, Policlinico Milano

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