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“Si può fare”. Ed è ora

Milano e la Lombardia martoriate, servono i test di massa come a Bolzano

Maurizio Crippa

Gli esperimenti e i consigli del prof. Galli. Il modello altoatesino (e abruzzese). Sanità in difficoltà. Le dimensioni contano, ma poco

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Il comune di San Pellegrino Terme, Bergamo, i test di massa li ha effettuati, come alcuni altri comuni della bergamasca, aderendo a una iniziativa scientifica guidata dal professor Massimo Galli, elaborata con l’Università degli Studi di Milano e l’Ospedale Sacco. Un tipo di screening differente da quello effettuato in Alto Adige, e che ora permette alla provincia autonoma di ipotizzare la revoca del lockdown (per ora è stata però confermata la zona rossa), o di quello effettuato in Slovacchia su oltre tre milioni di abitanti, o di quello annunciato ieri per la provincia dell’Aquila. Ma è la dimostrazione che i test si possono, e si devono, fare anche nella martoriata Lombardia.

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Il comune di San Pellegrino Terme, Bergamo, i test di massa li ha effettuati, come alcuni altri comuni della bergamasca, aderendo a una iniziativa scientifica guidata dal professor Massimo Galli, elaborata con l’Università degli Studi di Milano e l’Ospedale Sacco. Un tipo di screening differente da quello effettuato in Alto Adige, e che ora permette alla provincia autonoma di ipotizzare la revoca del lockdown (per ora è stata però confermata la zona rossa), o di quello effettuato in Slovacchia su oltre tre milioni di abitanti, o di quello annunciato ieri per la provincia dell’Aquila. Ma è la dimostrazione che i test si possono, e si devono, fare anche nella martoriata Lombardia.

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Il ministro Speranza si è mostrato favorevole all’iniziativa abruzzese, il commissario Arcuri ha dichiarato che manderà 200 mila kit test in Abruzzo. 
E’ l’ora di iniziare. Perché, come ha detto il professor Galli, ora “il tracciamento tradizionale è praticamente impossibile”. Come spiega il sindaco di San Pellegrino Vittorio Milesi, lo screening ha funzionato permettendo di individuare una percentuale (piuttosto alta, non siamo in Alto Adige) di persone positive o entrate in contatto con il virus in passato. E di procedere poi, subito, per i positivi con i tamponi. Il tribunale di Milano, frequentato per lavoro da oltre un migliaio di persone, ha effettuato nelle scorse settimane test di massa, in collaborazione con la Ats di Milano.

 

Le aziende private possono già, sulla base di un protocollo della regione, attivare una analoga procedura per i test di tutti i dipendenti, e moltissime lo hanno già fatto. Due giorni fa il professor Galli, commentando l’iniziativa dell’Alto Adige ha dichiarato: “Confesso di avere in mente un piccolo esperimento di questo genere in un comune lombardo”.  Si deve dunque iniziare. Proprio perché Milano e la Lombardia sono i luoghi più colpiti. Soprattutto se si pensa che L’Aquila, la provincia più colpita in Abruzzo in questa fase due, ha ottomila positivi in tutto, nulla rispetto alla drammatica situazione lombarda. Ovviamente non è tutto semplice.

 

San Pellegrino Terme ha cinquemila abitanti, gli altri comuni bergamaschi coinvolti nello screening sono più o meno della stessa taglia. In Italia il benchmark Alto Adige, che ha effettuato uno screening di massa su tutta la popolazione, ha rilevato l’1 per cento dei casi e isolato 3.400 persone, ha metà degli abitanti della città di Milano; la provincia dell’Aquila un terzo di quella di Bergamo. Eppure, anche lasciando perdere i numeri monstre della Cina, la Slovacchia ha effettuato test su un numero di abitanti pari alla Città metropolitana di Milano. Dunque non è impossibile. Anche l’Austria ha deciso di seguire l’esempio del “sud Tirolo”, con un metodo selettivo che appare realistico: si inizierà con i test per 200 mila insegnanti, poi i poliziotti (40 mila) per poi passare ai comuni dal più alto tasso di contagio.

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La strategia degli screening di massa è ormai nota e provata: se si individua la maggior parte delle persone positive, e si impongono restrizioni solo a quelle, il resto della popolazione può continuare la vita “normale”, andare al lavoro, nei negozi, al bar. Cosa impedisce a Milano o alla Lombardia di fare altrettanto? Le dimensioni, certo; ma la situazione, di caos organizzativo, della Sanità lombarda è nota, soprattutto a livello di medicina territoriale. La disastrosa gestione dei vaccini anti influenzali è una controprova. Poi, ovviamente, c’è che l’emergenza più dura è negli ospedali. Ma è proprio per cercare di non riempirli, e allo stesso tempo di permettere all’economia di riaprire, che organizzare i test di massa sarebbe probabilmente decisivo.

 

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Per ora, la regione non sta predisponendo nulla in questa direzione. E’ possibile che vengano messi in campo nelle prossime settimane test di massa per gli studenti delle medie nel caso di ritorno alla scuola in presenza. Ieri, via Twitter, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha ricordato che a Bergamo in estate sono stati effettuati 22 mila test sierologici, “non rapidi” e la città era pronta per 50 mila. “Abbiamo individuato centinaia di positivi e interrotto la catena del virus”, ha scritto il sindaco, concludendo che questa esperienza “dimostra che ‘si può fare’”. Ma lo screening era stato realizzato dal comune con il contributo del terzo settore (ah, i privati… ma sociali). Da parte di regione e Ats c’era stata solo un’autorizzazione formale.

 

A Milano intanto è entrato in funzione il Drive Through al Parco Trenno per eseguire tamponi rapidi per studenti e personale scolastico. “Il più grande d’Italia”, s’è detto con un eccesso di retorica, in grado di effettuare circa 500 tamponi rapidi al giorno. Nulla a che vedere con la logica “di massa” di uno screening rivolto a tutta, o almeno a porzioni significative e ben selezionate, della popolazione. Ma si può fare, ed è ora di farlo.

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