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I dati

Che cosa ci dicono i numeri dei contagi e perché serve tempo a capire se le misure funzionano

A spasso con Rt. Per Nino Cartabellotta di Gimbe, “l’indice Rt oggi sottostima ampiamente la velocità di diffusione del virus"

David Allegranti

Per comprendere se le misure di contenimento del contagio stanno avendo successo serve tempo. Un indice di contagio superiore a 1 non è sufficiente, perché significa che il virus sta ancora circolando. L’obiettivo è portarlo in tutte le regioni sotto l’1

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L’indice di contagio Rt di Milano ieri era attorno all’1.25, ha detto a SkyTg24 il direttore generale dell’Ats Città Metropolitana di Milano, Walter Bergamaschi. In Liguria, ha riferito il presidente Giovanni Toti, i dati continuano a migliorare. Secondo il report numero 26, arrivato già ieri alle Regioni (sarà diffuso ufficialmente solo oggi dal governo) e che comprende il periodo dal 2 all’8 novembre, i valori che fanno riferimento alla penetrazione del contagio in Liguria sono in discesa. “L’Rt medio è infatti di 1.2 e l’Rt sintomi di 1.1”, dice Toti: “Quando la Liguria è stata classificata in zona arancione avevamo un Rt pari a 1.47, con picco di 1.52 a Genova… Questo miglioramento è indubbiamente una notizia incoraggiante e dimostra come tutte le misure messe in campo dalla Regione, prima dell’ultimo Dpcm e della divisione del paese in fasce colore, stiano dando i loro frutti”. Ammesso che sia vero, il problema è che un indice Rt superiore a 1 non è sufficiente, perché significa che il virus sta ancora circolando. E lo dimostra il numero dei positivi di ieri: 635.054, cioè 37.978 in più rispetto al giorno precedente. Capire, comunque, a cosa sia dovuto questo miglioramento dell’indice Rt - dai provvedimenti del governo o da quelli delle Regioni - è complesso, anche perché i fattori da tenere in considerazione sono molti. 

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L’indice di contagio Rt di Milano ieri era attorno all’1.25, ha detto a SkyTg24 il direttore generale dell’Ats Città Metropolitana di Milano, Walter Bergamaschi. In Liguria, ha riferito il presidente Giovanni Toti, i dati continuano a migliorare. Secondo il report numero 26, arrivato già ieri alle Regioni (sarà diffuso ufficialmente solo oggi dal governo) e che comprende il periodo dal 2 all’8 novembre, i valori che fanno riferimento alla penetrazione del contagio in Liguria sono in discesa. “L’Rt medio è infatti di 1.2 e l’Rt sintomi di 1.1”, dice Toti: “Quando la Liguria è stata classificata in zona arancione avevamo un Rt pari a 1.47, con picco di 1.52 a Genova… Questo miglioramento è indubbiamente una notizia incoraggiante e dimostra come tutte le misure messe in campo dalla Regione, prima dell’ultimo Dpcm e della divisione del paese in fasce colore, stiano dando i loro frutti”. Ammesso che sia vero, il problema è che un indice Rt superiore a 1 non è sufficiente, perché significa che il virus sta ancora circolando. E lo dimostra il numero dei positivi di ieri: 635.054, cioè 37.978 in più rispetto al giorno precedente. Capire, comunque, a cosa sia dovuto questo miglioramento dell’indice Rt - dai provvedimenti del governo o da quelli delle Regioni - è complesso, anche perché i fattori da tenere in considerazione sono molti. 

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“Ogni giorno un piccolo passo verso il picco dei contagi, che è ormai vicino: la curva si appiattisce, ed è segno che gli sforzi stanno pagando”, dice Paolo Spada, medico dell’Humanitas di Milano, che ogni giorno su Facebook pubblica delle pillole di “buone notizie”. Il governo naturalmente dirà che è merito dei provvedimenti presi dai dpcm, ma è ancora presto per stabilirlo. Per avere una chiara comprensione degli effetti delle misure di contenimento del contagio serve più tempo, come si capisce da un recente studio pubblicato su Lancet Infectious Diseases da ricercatori dell’Università di Edimburgo, che ha analizzato dati da 131 Paesi. “In relazione ai risultati ottenuti dall’introduzione di ciascuna misura di contenimento”, dice Renata Gili, responsabile della Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE, “è stata stimata l’efficacia sul valore di Rt di quattro possibili gruppi di interventi a 7, 14 e 28 giorni. Se da un lato gli effetti dipendono dal numero e dalla tipologia di restrizioni, dall’altro non sono affatto immediati. Infatti, per dimezzare il valore di Rt servono 28 giorni di lockdown totale, tempi che in Italia potrebbero dilatarsi ulteriormente per il ritardo sempre maggiore nella notifica dei casi”.  

   
Considerato quindi che le misure introdotte con il dpcm del 24 ottobre includono divieto di eventi pubblici e assembramenti, invito allo smart working e didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado per almeno al 75 per cento delle attività, “è possibile stimare a 14 giorni una riduzione del valore di Rt di circa il 20-25 per cento, totalmente insufficiente per piegare la curva dei contagi e arginare il sovraccarico degli ospedali”. Peraltro dice Nino Cartabellotta di Gimbe, “l’indice Rt oggi sottostima ampiamente la velocità di diffusione del virus perché, oltre ad essere calcolato solo sui casi sintomatici (circa 1/3 del totale dei contagiati), si basa su dati relativi a due settimane prima e pubblicati dopo circa 10 giorni. In altri termini, le decisioni vengono prese sulla base di un Rt che riflette contagi di circa un mese fa”.

 

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Insomma, secondo Gimbe, i criteri di valutazione andrebbero cambiati. “Il governo ha preso delle misure e ha fatto degli interventi che produrranno sicuramente degli effetti rispetto alla metà di ottobre, quando non c’erano restrizioni”, dice al Foglio Michele Tizzoni, ricercatore della Fondazione Isi. “È abbastanza ovvio: con le chiusure, i casi di contagio si riducono. L’Irlanda è stato il primo paese, il 21 ottobre, ad andare in lockdown nella seconda ondata. Fino al 18 ottobre c’erano 1.280 casi al giorno, l’11 novembre ne sono stati registrati 358. Ora, c’è sempre molta fretta nel vedere i numeri. Se prendiamo i casi di contagio, tra lunedì e giovedì ce ne sono stati 131 mila, la scorsa settimana erano 115 mila. Quindi sono aumentati ancora nell’ultima settimana. L’unico effetto prodotto dalle misure è che c’è stato un rallentamento dell’aumento dei casi. I casi sono aumentati, sì, ma di meno in proporzione rispetto a un mese fa, quando raddoppiavano. È un fatto positivo? Sì, ma non è sufficiente a essere soddisfatti, se ogni settimana aggiungiamo 130 mila casi di contagio, anche se non ci fosse un aumento dei contagi ma una variazione costante. Dobbiamo abbassare il numero dei casi, come è successo in Irlanda”. Comunque, un altro segno positivo, osserva il dottor Tizzoni, è la percentuale di positività dei tamponi, che “sembra essere più o meno ferma intorno al 15-16 per cento anche su base settimanale. Il problema è che dobbiamo far scendere questa positività. All’inizio di settembre era del 3 per cento, adesso siamo al 17”. 

   
C’è da capire, osserva ancora Tizzoni, quale sia l’obiettivo del governo. Siamo contenti se Rt è all’1,2? No, perché il virus si diffonde ancora. Siamo contenti se il raddoppio settimanale dei casi è rallentato? Non è senz’altro sufficiente. Anche perché, osserva Tizzoni, “il sistema di tracciamento dei casi non riesce più a stare dietro ai contagi”. L’obiettivo semmai dovrebbe essere portare in tutte le regioni l’indice Rt sotto l’1. Ma qui evidentemente entra in gioco anche la politica. In un paese sfibrato socialmente ed economicamente, qualsiasi miglioramento viene visto come un invito alla riapertura. Per questo anche nel governo si discute da giorni fra chi vuole un lockdown pesante e chi vuole un lockdown leggero.

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