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le imprese chiedono un incontro

Il piano italiano per distribuire il vaccino anti Covid ha dimenticato la logistica

Maria Carla Sicilia

Il ministero della Salute è al lavoro per la distribuzione del farmaco anti Covid, ma al Mit il tavolo con gli operatori del settore non si è mai tenuto. Senza un piano nazionale il rischio è che accada quello che è successo in questi mesi con i vaccini anti influenzali: disponibili sul mercato ma introvabili in farmacia. L'appello delle associazioni di categoria 

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Il ministero della Salute, ha detto il presidente del Consiglio la scorsa settimana, è già a lavoro su un piano operativo per la distribuzione dei vaccini, di cui però non sono stati condivisi altri dettagli, neppure con chi la distribuzione dovrebbe poi effettuarla. Se si tiene conto anche dell’importazione, dello stoccaggio e del trasporto, oltre che della somministrazione, non si può escludere il ruolo che avranno gli operatori della logistica, che però al momento non sono stati convocati neppure per una ricognizione dei servizi che sono in grado di offrire.

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Il ministero della Salute, ha detto il presidente del Consiglio la scorsa settimana, è già a lavoro su un piano operativo per la distribuzione dei vaccini, di cui però non sono stati condivisi altri dettagli, neppure con chi la distribuzione dovrebbe poi effettuarla. Se si tiene conto anche dell’importazione, dello stoccaggio e del trasporto, oltre che della somministrazione, non si può escludere il ruolo che avranno gli operatori della logistica, che però al momento non sono stati convocati neppure per una ricognizione dei servizi che sono in grado di offrire.

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Già un mese fa l’associazione che rappresenta circa il 60 per cento della logistica italiana, Confetra, ha chiesto che fosse avviato un confronto con il ministero dei trasporti e il commissario nazionale deputato alla gestione dell’emergenza Covid, senza però ricevere risposta. Doveva tenersi un tavolo al Mit, come hanno riportato alcuni giornali di settore e l’Huffington Post, ma non se n’è fatto nulla. Neppure la lettera di Assoram, l’unica associazione che in Italia riunisce gli operatori commerciali e logistici della farmaceutica ha mai ricevuto risposta. E così, se si chiede a chi dovrà effettivamente svolgere le consegne dei vaccini in Italia e poi nei centri di somministrazione a che punto siamo, la risposta è ancora: siamo a un punto morto. Perché è vero che la dinamica industriale che prenderà forma sarà costruita anche sulla base di accordi commerciali privati – la compagnia marittima Maersk ha reso noto pochi giorni fa di aver firmato un accordo per il trasporto di un vaccino anti Covid prodotto da una casa farmaceutica americana – ma senza una ricognizione nazionale che di eventuali accordi tenga conto, senza una sinergia tra pubblico e privato, la sfida logistica del secolo rischia di iniziare in salita.

 

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“Serve un progetto nazionale”, dice al Foglio Ivano Russo, direttore generale di Confetra. “Non sarà sfuggito a nessuno che la distribuzione dei vaccini anti influenzali ha incontrato qualche problema in questi mesi. È successo anche perché da 9 milioni di dosi nel 2019, ne abbiamo distribuito circa 17 milioni quest’anno. C’è stato uno stress logistico che dobbiamo evitare nella consegna del vaccino anti Covid, e l’unico modo per affrontare la sfida di distribuire 70 milioni di dosi è essere preparati”.

 

Solo nel primo trimestre del 2021, in Italia è prevista una distribuzione di 20-30 milioni di dosi, uno “sforzo straordinario”, lo definisce Assoram, che impone un coordinamento di tutti gli operatori: vettori aerei, spedizionieri, scali aeroportuali, dogane e Usmaf, hub logististici e i magazzini per la conservazione, sorveglianza, compagnie assicurative. A complicare le cose c’è la necessità di garantire temperature molto basse in tutta la catena della distribuzione, che nel caso del vaccino di Pfizer/Biontech non devono superare i 70 gradi Celsius sotto lo zero. “Il prodotto delle due società necessita di uno stoccaggio a temperature bassissime e una volta estratto dei container potrà “sopravvivere” tra i 2 e gli 8 gradi centigradi solo per due ore”, spiega Assoram.

 

Anche per questo sarebbe necessaria una ricognizione dei magazzini di stoccaggio in grado di garantire queste temperature dislocati tra porti e aereoporti italiani. Nel secondo caso è più semplice, perché solo Malpensa e Fiumicino hanno le infrastrutture adatte a stoccare farmaci, anche se oggi non raggiungono i meno 70 gradi centigradi. Nel mondo degli interporti invece le cose si complicano e per mappare l’offerta di stiva disponibile servirebbe un lavoro ancora tutto da avviare. “Senza dimenticare – fa notare Russo – che parte della capacità di stiva è già occupata da altre merci su cui sono stati stipulati contratti: anche per questo serve una ricognizione preventiva e un’adeguata programmazione”.

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Dopo una prima tappa nei porti e negli aeroporti, i vaccini dovranno essere trasportati fino a raggiungere in modo capillare tutto il territorio nazionale, con una staffetta tra mezzi pesanti e furgoni dell’ultimo miglio. “Una soluzione a cui guardare è quella tedesca, dove il modello che si è scelto prevede dei centri di distribuzione intermedi da cui poi si attiva la logistica dell’ultimo miglio”. Anche in questo caso occorre però individuare i luoghi più strategici e valutare la presenza di infrastrutture adatte. Tenendo conto, senza confonderli, di due aspetti: quello che riguarda la distribuzione del principio attivo, che arriverà in Italia contenuto in cisterna per essere lavorato nei laboratori di Pomezia, partner di Oxford-AstraZeneca, e quello delle fiale da consegnare direttamente per la somministrazione. E anche se questo secondo aspetto sembra quello più semplice, non c'è da stare sereni. In mancanza di un attore nazionale, e con una filiera tanto frammentata come è quella italiana, un piano logistico è il punto da cui partire per non ritrovarsi nella stessa situazione dei vaccini anti influenzali: pronti ma introvabili

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