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Una bolla anti Covid per le Rsa

Francesco Del Prato e Gianluca Rinaldi

Gran parte dei decessi per coronavirus è nelle residenze per anziani. Una proposta per isolare ospiti e lavoratori

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Nel pieno della ripresa della seconda ondata, gli interventi messi in campo dal governo sono una riproposizione di quanto è stato già fatto tra marzo e maggio scorso. All’epoca del virus non si sapeva quasi niente, ed era comprensibile navigare a vista. Oggi le informazioni a disposizione sono comunque poche, ma ciò che sappiamo non sembra essere usato nel disegnare le restrizioni. La letalità del Covid è molto maggiore per gli anziani. Tutti ricordano il dramma delle Rsa (strutture che ospitano persone non autosufficienti che non possono essere assistite a casa), che durante la fase iniziale della pandemia si erano rivelate i peggiori focolai del virus: concentrazioni di anziani in cattive condizioni di salute, e protocolli igienico-sanitari non coordinati.

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Nel pieno della ripresa della seconda ondata, gli interventi messi in campo dal governo sono una riproposizione di quanto è stato già fatto tra marzo e maggio scorso. All’epoca del virus non si sapeva quasi niente, ed era comprensibile navigare a vista. Oggi le informazioni a disposizione sono comunque poche, ma ciò che sappiamo non sembra essere usato nel disegnare le restrizioni. La letalità del Covid è molto maggiore per gli anziani. Tutti ricordano il dramma delle Rsa (strutture che ospitano persone non autosufficienti che non possono essere assistite a casa), che durante la fase iniziale della pandemia si erano rivelate i peggiori focolai del virus: concentrazioni di anziani in cattive condizioni di salute, e protocolli igienico-sanitari non coordinati.

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Quella delle Rsa è stata una strage: al 6 aprile scorso, i morti ufficiali per Covid in Italia erano 9.500, di cui più della metà stimati proprio nelle Rsa – estrapolando dai dati dell’Istituto superiore di Sanità (Iss), raccolti solo per un numero limitato di strutture. È una percentuale enorme, ma non solo italiana: la maggioranza degli altri paesi europei viaggia su cifre simili. E il problema è attuale anche in questa seconda ondata. Negli ultimi giorni, in una Rsa della provincia di Milano si sono contati 5 decessi su 50 residenti, il 90 per cento degli ospiti è ormai contagiato e il primo tampone positivo era di un dipendente asintomatico. In un’altra struttura in provincia di Firenze, su 84 ospiti si contano 82 positivi e 12 decessi.

 

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È particolarmente strano allora che la discussione su come rendere sicure le residenze per anziani sia praticamente assente dal dibattito politico. Ridurre al minimo i contagi in questi ambienti garantirebbe risultati importanti con costi contenuti. È cruciale isolare pazienti e operatori di Rsa e case di riposo, ma non semplice: come convincere una fetta specifica di popolazione a imporsi un “secondo lockdown”? Un’analisi della Regione Lombardia ha recentemente mostrato che almeno un dipendente Rsa su quattro era stato a sua volta contagiato durante la prima ondata. Queste persone entrano ed escono dalle Rsa, rischiando di diventare vettori del contagio: il focus dell’intervento dovrebbe quindi essere rivolto a loro.

 

Un bonus straordinario su base volontaria, ad esempio, sarebbe uno strumento utile per incentivare comportamenti responsabili: si aumenta lo stipendio ai dipendenti delle strutture per anziani per un certo periodo di tempo, in cambio della loro disponibilità a risiedere per quel periodo nella struttura stessa o in residenze isolate e adatte allo scopo. Usando dati del rapporto Iss sulla composizione del personale delle Rsa, possiamo provare a stimare la spesa che comporterebbe un intervento del genere.

 

Ad esempio, raddoppiare la retribuzione lorda dei dipendenti di tutte le Rsa per un mese costerebbe intorno ai 320 milioni di euro. Una cifra contenuta, rispetto ai benefici di un intervento alla fonte di più della metà dei decessi nella fase iniziale del contagio. Chiaramente, non è possibile chiedere a tutti i dipendenti di isolarsi per mesi. Ipotizzando una turnazione con tre settimane di isolamento e una di allentamento, sarebbe sufficiente assumere un 25 per cento in più di forza lavoro per il periodo di emergenza – garantendo naturalmente il doppio tampone negativo a tutti gli operatori che devono rientrare al lavoro.

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Oltre che relativamente poco costosa rispetto ai benefici che potrebbe garantire, questa proposta è anche facilmente implementabile, al contrario di altre ipotesi di segmentazione per fasce di età che, pur promettenti, si scontrano con una logistica complessa. Focalizzare sforzi e attenzione sul contenimento del contagio nelle residenze per anziani risponde a una duplice esigenza. Innanzitutto, si salvano vite e si impedisce lo sviluppo di focolai. Inoltre, si restituisce un’immagine all’opinione pubblica meno catastrofica. La letalità della malattia, infatti, è altissima per gli anziani, ma resta molto bassa per tutti gli altri. Ridurre sostanzialmente il numero di decessi contribuirebbe ad alleggerire una situazione che rischia di sfociare in decisioni drastiche come un lockdown generalizzato, estremamente gravoso per tutti.

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