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gestire la seconda ondata

La capa delle terapie intensive ci spiega in che senso non si più scherzare

Giuseppe De Filippi

Dove mancano posti, cosa non è stato fatto in questi mesi: parla Flavia Petrini, presidente della Siaarti

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Roma. Flavia Petrini parla in base a più esperienze, quella di anestesista e rianimatrice che se la vede quotidianamente con le situazioni più estreme da gestire negli ospedali, quella di componente del comitato tecnico-scientifico, quella di presidente della società italiana che riunisce gli specialisti di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), tra l’altro a congresso proprio in questi giorni (da remoto), e quella di formatrice, come ordinario di anestesia e rianimazione all’università Gabriele D’Annunzio. Ha un tratto diretto e una certa schiettezza, che cerca bonariamente di tenere a bada.

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Roma. Flavia Petrini parla in base a più esperienze, quella di anestesista e rianimatrice che se la vede quotidianamente con le situazioni più estreme da gestire negli ospedali, quella di componente del comitato tecnico-scientifico, quella di presidente della società italiana che riunisce gli specialisti di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), tra l’altro a congresso proprio in questi giorni (da remoto), e quella di formatrice, come ordinario di anestesia e rianimazione all’università Gabriele D’Annunzio. Ha un tratto diretto e una certa schiettezza, che cerca bonariamente di tenere a bada.

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“Come lezione poteva bastare la prima ondata”, dice al Foglio e lascia in sospeso il seguito, ma subito si definisce, appellandosi alla fattività ereditata con le sue origini romagnole, se non proprio ottimista certamente pronta a continuare a contribuire al massimo, lei stessa e la società che presiede, per far uscire l’Italia dalla crisi pandemica. “Peccato però – ci dice – che si siano in parte buttati via gli sforzi fatti dal nostro sistema sanitario in tutte le sue articolazioni. Qualche eccesso estivo si poteva evitare. Ma siamo stati schiacciati dall’assurdo della negazione del virus, da chiacchiere da bar, anche da cattiva informazione e da qualche star della televisione. Ora si può recuperare, credo che i cittadini debbano essere informati attraverso messaggi corretti e oggi il mio messaggio è che le terapie intensive sono cresciute e abbiamo fondata speranza che raggiungano standard adeguati. Però ci sono squilibri gravi: in alcune regioni eravamo già quasi nelle condizioni ideali prima degli sforzi aggiuntivi, ma in altre no. Al centro-sud la velocità con cui vengono realizzati i nuovi posti letto e tutto ciò di cui hanno bisogno intorno è inferiore e in quelle regioni siamo anche vittime di forme di malgoverno clinico, e manca anche l’umiltà di sapersi confrontare, saper chiedere indicazioni alle associazioni specialistiche. Come presidente di società scientifica lamento che non sempre in alcune regioni è stato coinvolto l’esperto di una professione che così grandemente era coinvolta, come l’anestesista rianimatore e questo mi sembra increscioso”.

 

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Ci racconta di un patrimonio di informazioni che finora è stato sprecato dai decisori politici. “Lo chiamo il mio cruscotto – ci dice – e lì ho in tempo reale i dati su ciò che succede negli ospedali e nei reparti più rilevanti, mentre i rapporti che vengono analizzati dal Cts e che devono essere puliti dai piccoli errori di rilevazione e rimandati alle regioni per ulteriori verifiche non sostanziali spesso rappresentano situazioni della settimana precedente. E allora, di fronte agli 83 morti di giovedì, mi sono sentita in dovere di accendere il cruscotto, rilanciare la chat dei miei colleghi e ottenere aggiornamenti che sono stati in parte tranquillizzanti e in parte no, ma che corrispondono a un quadro più aggiornato, e quei dati li ho messi a disposizione del ministero. Perché ora o si è rigorosi o si perde il timone. E credo che il rischio di farsi sfuggire il controllo della situazione sia alto ora non tanto nelle terapie intensive quanto negli ospedali, nelle aree di ricovero mediche e semi intensive. Perché di nuovo appena c’è una persona positiva anziché ricorrere all’isolamento viene subito portata in ospedale e stiamo assistendo a un progressivo ma veloce riempimento degli ospedali che diventano poi difficili da gestire”.

 

E arriviamo alla questione del numero di posti in terapia intensiva, che, per ovvie ragioni, è legata al numero dei primi ricoveri. “Si sta rifacendo in parte lo stesso errore della prima fase, perché per coprire i bisogni dei reparti Covid, separati dagli altri, abbiamo attinto, in marzo e aprile, al personale delle normali sale operatorie, riducendone l’operatività. Invece ora sarebbe stato utile avere una nostra dotazione complessiva, non solo di posti letto ma anche di tutte le figure specialistiche necessarie, dai medici agli infermieri. E per noi anestesisti e rianimatori significa dover ridurre le attività di elezione e di conseguenza privare del nostro inevitabile contributo altri reparti, oltre all’apporto necessario che viene dato alla diagnostica o, ad esempio, ai punti nascita, perché le competenze non si creano dall’oggi al domani e abbiamo già fatto il massimo contrattualizzando tutti i nostri specializzandi già al quinto o quarto anno. E se nella fase di emergenza abbiamo dovuto tralasciare il rispetto degli standard europei di assistenza ora non dovrebbe avvenire più. Noi anestesisti siamo una risorsa ad alto costo, usateci bene, non si dovrebbero sprecare turni di lavoro in ospedali dove si lavora a bassa intensità”. E fuori dagli ospedali, che dice il cruscotto? “Non si può più scherzare, lo dico come opinione personale: niente feste o cose simili”. E nel dibattito pubblico? “Be’ per esempio si potrebbe uscire da questa strana condizione in cui i virologi fanno i politici e i politici parlano di virus”.

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