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Equilibrio instabile

Nella guerra al virus "coltello tra i denti", tanto più adesso, è importante il network testing, dice Crisanti

Intanto il governo decide di procedere verso la proroga dello stato d'emergenza

Marianna Rizzini

Il virologo padre del "modello Vo' Euganeo" spiega perché il "contact tracing" è meno efficace del test globale di individuazione dei positivi. L'utilità dei test rapidi per una prima indagine, e la necessità del tampone tradizionale quando c'è circolazione virale in una comunità

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“Equilibrio instabile”. Questa è la situazione in cui ci troviamo rispetto al virus secondo Andrea Crisanti, il virologo e docente all’Università di Padova che, nel momento drammatico d’inizio epidemia, ha adottato sul campo il cosiddetto “modello Vo’”, da Vo’ Euganeo, il paese in cui per la prima volta è stato provato sul campo il test globale a tutta la popolazione, a periodi alterni, con isolamento dei positivi e delle loro famiglie. Un modello poi studiato e copiato a livello internazionale. Come restare in equilibrio, ci si domanda ora mentre la ricomparsa dei bollettini Covid sui giornali, contestualmente alla riapertura delle scuole, rende di nuovo nebuloso il futuro, in attesa di cure e vaccino. E’ il giorno in cui il ministro della Salute Roberto Speranza, mentre il governo procede verso la richiesta di proroga dello stato d’emergenza, ricorre a un lessico bellico: “Dobbiamo resistere con il coltello tra i denti per sette-otto mesi”.
   

 

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“Equilibrio instabile”. Questa è la situazione in cui ci troviamo rispetto al virus secondo Andrea Crisanti, il virologo e docente all’Università di Padova che, nel momento drammatico d’inizio epidemia, ha adottato sul campo il cosiddetto “modello Vo’”, da Vo’ Euganeo, il paese in cui per la prima volta è stato provato sul campo il test globale a tutta la popolazione, a periodi alterni, con isolamento dei positivi e delle loro famiglie. Un modello poi studiato e copiato a livello internazionale. Come restare in equilibrio, ci si domanda ora mentre la ricomparsa dei bollettini Covid sui giornali, contestualmente alla riapertura delle scuole, rende di nuovo nebuloso il futuro, in attesa di cure e vaccino. E’ il giorno in cui il ministro della Salute Roberto Speranza, mentre il governo procede verso la richiesta di proroga dello stato d’emergenza, ricorre a un lessico bellico: “Dobbiamo resistere con il coltello tra i denti per sette-otto mesi”.
   

 

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Non a caso, in questi giorni, i paragoni con le situazioni di guerra si intersecano ai bollettini stessi: in guerra si correva tutti nel rifugio durante i bombardamenti, ora bisognerebbe correre a fare quanti più test possibili, si sente dire dai medici. E resistere vuol dire anche, per Speranza, “lavorare per evitare un nuovo lockdown monitorando la situazione passo passo, territorio per territorio”. Dice Crisanti: “Il virus sfrutta tutte le opportunità di contatto che noi gli offriamo. Quest’estate poteva sfruttare gli assembramenti, ora le scuole. Dall’altra parte c’è la nostra capacità di bloccarlo attraverso il nostro comportamento: indossando le mascherine, cercando di rispettare il distanziamento e le regole di igiene. Terzo e importantissimo elemento da considerare: quasi tutto dipende dalla nostra capacità di intercettarlo, il virus”. Ed è qui che si torna alla “guerra”: come fare a intercettare quanto più possibile e quanto più tempestivamente possibile i positivi e circoscrivere quindi in fretta i focolai? L’Italia sta facendo meglio degli altri, ha scritto il Financial Times. Quali sono i nostri punti di forza? “All’estero prevale il sistema classico di contact tracing, cioè la ricostruzione dei contatti delle persone risultate positive al virus”, dice Crisanti.

 
 
“Invece in Italia, sebbene con differenze da regione a regione, prevale il network testing mutuato dall’esperienza di Vo’: dove si individua un focolaio, si testano tutti. E si è visto che questo metodo è più efficace del contact tracing nel circoscrivere la diffusione del virus, perché testando tutti non si deve, come nel caso del contact tracing, fare affidamento sulla memoria della persona risultata positiva e sulle capacità logistiche delle singole Ats”. Anche perché, dice Crisanti, tutta l’attenzione che si mette nel prevenire, con distanziamento e dispositivi, e anche con la migliore volontà possibile, “da sola non basta: su sessanta milioni di persone è inevitabile che si facciano errori, e quando i contagi si alzano oltre un certo livello non c’è comportamento corretto che tenga. Si ricordi quello che dicevano gli abitanti di Bergamo nei momenti più drammatici: che il virus sembrava passare attraverso le pareti”.

 

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E quindi, “l’unica via è identificare in fretta i focolai per potere circoscrivere la diffusione”. Un aiuto sembra poter arrivare anche dai test rapidi annunciati anche per le scuole. “I test rapidi sono di grandissima utilità”, dice il professore, “non hanno la stessa prestazione del tampone tradizionale, hanno una minore sensibilità, ma sono utili. Però ripeto: tutto dipende dall’obiettivo. Se voglio capire se una comunità è a rischio, come nel caso di una scuola, posso testare tutti gli studenti con il test rapido, e se vedo che non c’è nessun positivo, posso concludere che non c’è trasmissione virale in quell’istituto. Ma se poi vado in un’altra scuola e trovo dieci positivi, a quel punto so che in quella scuola c’è trasmissione virale. E visto che il test rapido ha minore sensibilità e potrebbe non avere rilevato tutti i positivi, devo a quel punto ricorrere al tampone tradizionale”.

 

La seconda ondata può essere evitata, dice Crisanti, se il network testing non sarà “superato” dalla trasmissione virale. E i test sublinguali che si stanno studiando? “Il test sublinguale è in fase di validazione, ma può diventare una prima linea di indagine nella comunità degli asintomatici”.

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