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“E’ presto per il vaccino anti Covid”. Parla Crisanti, l’antidogmatico

Annalisa Chirico

Per l’ideatore del “modello Veneto” la sperimentazione necessita di più tempo. E a chi lo vuole in politica (il M5s) dice “No, grazie”

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Roma. “Un vaccino entro la fine dell’anno? Non so se lo farei”, le conversazioni con il professore Andrea Crisanti hanno sempre un che di sorprendente. L’artefice del “modello Veneto”, che prese a effettuare tamponi sugli asintomatici quando nessuno li faceva e le leggi della sanità (e dell’Oms) lo vietavano, è un antidogmatico per vocazione. “La sperimentazione di un vaccino richiede fra i tre e i cinque anni, di solito nella fase di valutazione della sicurezza si testa una popolazione di almeno 80 mila persone, gente sana che viene tenuta sotto osservazione per un lasso di tempo congruo al fine di accertarsi che non si manifestino conseguenze negative, indipendentemente da sesso, età, etnia, condizioni patologiche iniziali”.

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Roma. “Un vaccino entro la fine dell’anno? Non so se lo farei”, le conversazioni con il professore Andrea Crisanti hanno sempre un che di sorprendente. L’artefice del “modello Veneto”, che prese a effettuare tamponi sugli asintomatici quando nessuno li faceva e le leggi della sanità (e dell’Oms) lo vietavano, è un antidogmatico per vocazione. “La sperimentazione di un vaccino richiede fra i tre e i cinque anni, di solito nella fase di valutazione della sicurezza si testa una popolazione di almeno 80 mila persone, gente sana che viene tenuta sotto osservazione per un lasso di tempo congruo al fine di accertarsi che non si manifestino conseguenze negative, indipendentemente da sesso, età, etnia, condizioni patologiche iniziali”.

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Il ministro della Salute Roberto Speranza dice che le prime dosi potrebbero arrivare entro il 2020. “Ne dubito. Un vaccino non adeguatamente sperimentato io non lo farei”. Il consulente del ministro, Walter Ricciardi, ha messo in guardia dal pericolo che la Food and Drug Administration agisca con eccessiva fretta. “Lo escludo, gli americani sono professionisti seri, non rischierebbero un crollo verticale di credibilità”.

 

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L’ex presidente della Bce Mario Draghi ha dichiarato che per rilanciare l’economia, finché non sarà trovato il vaccino, servono test di massa e tracciamento. “Un messaggio importante da parte sua, l’ho appreso con piacere. Lo sostengo da sempre: la vera svolta è la sorveglianza attiva su larga scala, test a tappeto per tutti, sempre. Purtroppo, la capacità operativa attuale è al di sotto di quella necessaria”.

 

Lei ha presentato un piano nazionale all’esame di Palazzo Chigi. “L’idea è nata da una conversazione con Sileri e D’Incà (rispettivamente viceministro della Salute e ministro dei Rapporti con il Parlamento, ndr). In cinque pagine ho dettagliato le cose da fare, modalità e costi, inferiori a quanto è stato speso finora”. Lazio e Veneto adotteranno nelle scuole i tamponi rapidi, gli “antigenici”, per velocizzare i tempi di attesa che spesso obbligano le persone, magari sane, a diversi giorni di isolamento fiduciario. “Il tampone nasofaringeo classico, che deve passare per l’analisi di laboratorio, dilata i tempi, perciò tante persone preferiscono evitarlo e non scaricano l’app Immuni: nessuno vuole restare bloccato in casa. E’ la stessa ragione per cui gli insegnanti si oppongono ai test sierologici: se fossero asintomatici, dovrebbero fare la quarantena. Il test rapido dà i risultati nel giro di mezz’ora, lo svantaggio è che presenta un’attendibilità inferiore (circa l’85 per cento) e una tracciabilità ridotta”.

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A Padova sono stati effettuati circa 5 mila tamponi al giorno. “Se avessimo più personale, ne faremmo il doppio. Da noi i reagenti non finiscono mai, vengono progettati da noi con una tecnologia prodotta in casa che costa meno e andrebbe estesa a livello nazionale”. Costo di un tampone “made by Crisanti”? “Circa due euro e mezzo”. Negli ultimi giorni sono stati effettuati, a livello nazionale, anche centomila tamponi al giorno ma lei sostiene che questa capacità andrebbe quadruplicata. “E’ l’unico modo per convivere con il virus, se non si vuole applicare esclusivamente una prevenzione passiva. Il punto di rottura si determina quando la domanda di tamponi supera la capacità del sistema di fornirli: dobbiamo evitare che ciò accada”.  

 

In una lettera al Corriere della Sera lei ha spiegato che il virus non è mutato, ma oggi vediamo oltre la punta dell’iceberg. “Sento dire che l’età media sarebbe calata o il virus sarebbe diventato meno letale. In realtà non è cambiato niente rispetto a febbraio e marzo, i contagi sono gli stessi ma allora i tamponi scarseggiavano, i test venivano effettuati solo sui ricoverati, non c’era traccia degli asintomatici. Oggi sappiamo che quei numeri erano una drammatica sottostima della realtà”.

 

Alcuni suoi colleghi, come Alberto Zangrillo e Matteo Bassetti, sono stati accusati di negazionismo per avere affermato, per esempio, che un positivo non è un malato. “Era prevedibile che sarebbe esploso lo scontro tra fazioni opposte, sia scientifiche sia politiche. Io cerco, se posso, di fornire un’analisi equilibrata e razionale tenendomi alla larga dal fronte cosiddetto degli allarmisti e dei negazionisti. Un positivo non è un malato, certo, di solito il ‘viraggio’ può verificarsi intorno al quinto giorno dal contagio: se non avviene sei un asintomatico che può infettare gli altri. Oggi siamo fuori dall’emergenza medica: non c’è pressione sul sistema sanitario, poche persone entrano nei reparti di rianimazione per Covid-19. Tuttavia, l’emergenza sanitaria è ancora in corso perché il virus continua a circolare”. 

 

Come sarà il rientro a scuola? “La prevenzione passiva non basta. Ho assistito a un dibattito surreale, tra banchi con le rotelle e termometri casalinghi. Degli 8 milioni di studenti che tornano in aula almeno il 2-3 percento potrebbe essere positivo. La temperatura va misurata a scuola e la soglia andrebbe ridotta dall’attuale 37,5 a 37,1”.

 

La reazione italiana alla crisi pandemica può essere considerata un modello a livello europeo? “All’inizio l’Italia ha fatto male: la Lombardia andava chiusa la prima settimana di febbraio quando i politici, di ogni schieramento, minimizzavano, facevano gli aperitivi e parlavano di ‘epidemie mediatiche’. C’è stata una generale sottovalutazione, gli industriali hanno esercitato pressioni legittime – in buona fede, per carità – ma la politica ha ceduto. Nella fase di lockdown invece il governo ha agito bene. Il problema è che poi, quando si è decisa la riapertura, non è stato in grado di imporre una linea nazionale per non intaccare l’autonomia delle regioni”.

 

Con il governatore Luca Zaia avete ripreso il dialogo? “Non ci parliamo. Il presidente ha il merito di essere un uomo scevro da pregiudizi, perciò se un’idea lo convince se ne appropria al punto di ritenere di averla concepita lui”. Il Movimento 5 stelle voleva candidarla senatore alle scorse suppletive? “Sì ma io ho rifiutato. La politica non è il mio mestiere, voglio continuare a fare il medico”.

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